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Intervista / Mons. Ptasznik

«L’eredità di Wojtyła: la speranza di Cristo e la Chiesa maestra»

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San Giovanni Paolo II ci ricorda che «la Chiesa è un particolare aiuto dato da Cristo per trovare la risposta alla domanda di ognuno su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato». Il destino e la speranza dell’umanità passano da questo discernimento e dal rimettere Cristo al centro. La Bussola intervista mons. Ptasznik, tra i più stretti collaboratori di papa Wojtyła.

Ecclesia 22_10_2024
San Giovanni Paolo II

San Giovanni Paolo II non è morto. È vivo più che mai. E oggi la sua memoria liturgica ci spinge a riflettere sul ruolo che ha avuto nella Chiesa e nella storia del mondo. Per dialogare su questi temi, La Nuova Bussola Quotidiana ha incontrato monsignor Pawel Ptasznik, tra i collaboratori più stretti di Giovanni Paolo II negli ultimi dieci anni del suo pontificato. Nel 1995, infatti, Ptasznik iniziò a lavorare nella sezione polacca della Segreteria di Stato della Santa Sede e tra l’altro collaborò con Karol Wojtyła per la stesura dei suoi discorsi.

Monsignor Ptasznik, qual è la prima immagine che le viene in mente se pensa a san Giovanni Paolo II?
La prima immagine è quella di un uomo buono. La sua bontà si dimostrava nella sua delicatezza. Ricordo bene la sua attenzione verso ogni singola persona. Ognuno per lui era importante. Era davvero incredibile questo suo desiderio di voler “entrare” nella storia di ognuno che incontrava: sempre attento alle sue parole. Non le ascoltava per dovere di cerimonia, ma era attento a comprendere cosa ci fosse dietro a quelle parole. Con lui il dialogo diventava un vero incontro. E poi era un uomo di preghiera: grazie a questa, riusciva a comprendere cosa fare e cosa non fare nel suo operato di uomo e di pontefice.

Qual è stata l’importanza di san Giovanni Paolo II nella Chiesa?
Per comprendere appieno l’importanza di san Giovanni Paolo II per la Chiesa, è necessario fare prima un salto indietro nel tempo. Cercare di comprendere come lo Spirito Santo abbia agito nella Chiesa da san Giovanni XXIII in poi. Con lui, con papa Roncalli, troviamo l’apertura della Chiesa a una nuova società che iniziava ad affermarsi: parliamo di una società, ad esempio, assai più industrializzata rispetto al prima. Ma non solo: cominciava un discorso dialettico con essa. Il Concilio Vaticano II, in fondo, rappresenta ciò. Poi, in successione al soglio di Pietro, verrà papa Montini, Paolo VI: l’uomo che conduce a termine il Vaticano II. Il papa, poi, dell’enciclica Humanae Vitae. Dobbiamo ricordare come l’allora cardinale e arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyła, abbia dato il suo contributo personale, importante, sia al Concilio che a quella enciclica che ribadiva il fondamentale tema della vita nella Chiesa. Questi passaggi sono importanti perché riescono davvero a farci comprendere l’evoluzione e lo stato della Chiesa prima che papa Giovanni Paolo II entrasse nel palcoscenico della storia. Infine, abbiamo papa Luciani, ma sappiamo bene la brevità del suo pontificato. Giovanni Paolo II viene eletto il 16 ottobre 1978, dopo due grandi pontefici quali Roncalli e Montini. È giovane rispetto ai predecessori, molto giovane. Ma ciò non lo intimorisce, anzi sembra quasi dargli ancora più forza, più lungimiranza per agire all’interno della Chiesa. Nei due pontefici precedenti, potremmo quasi dire che si sia aperta una nuova fase della Chiesa ma che, in fondo, sia stata davvero “incarnata” in Wojtyła.

In che senso “incarnata”?
Incarnata perché è stato Giovanni Paolo II a determinare nella Chiesa un nuovo modo di vedere i problemi della società e dare soprattutto risposta ad essi. La Chiesa deve dare sempre risposte ai fedeli, dobbiamo ricordarlo: è maestra, guida per il popolo di Dio. San Giovanni Paolo II non si è mai tirato indietro nel farlo: le sue risposte non davano possibilità di interpretazioni. Nette e sicure perché erano frutto di un reale dialogo con lo Spirito Santo, di un ascolto profondo del Signore. Questo suo modo di fare ha prodotto documenti, lettere, omelie sempre profonde, mai “scontate” si potrebbe dire. Prendiamo, ad esempio, l’enciclica Veritatis Splendor del 1993: uno degli interventi magisteriali di teologia morale più completi e filosoficamente fondati della tradizione cattolica. Questo documento esprime la posizione della Chiesa sulla condizione dell’uomo davanti al bene e al male, e sul ruolo della Chiesa nell’insegnamento morale. Penso che, fra i documenti pontifici di Wojtyła, sia uno dei più importanti per comprendere il Pastore Giovanni Paolo II: «La risposta alle domande fondamentali è possibile solo grazie allo splendore della verità che rifulge nell’intimo dello spirito umano», così recita il documento. Nelle pagine dell’enciclica, poi, troviamo l’importanza della Chiesa per l’umanità: «Solo Dio può rispondere alla domanda sul bene, perché Egli è il Bene. Interrogarsi sul bene, in effetti, significa rivolgersi in ultima analisi verso Dio, pienezza della bontà». Contro la convinzione che l'insegnamento ecclesiale abbia un ruolo principalmente esortativo, Giovanni Paolo II riafferma la dottrina tradizionale, secondo cui il magistero della Chiesa cattolica ha l’autorità di esprimere pronunciamenti definitivi sulle questioni morali. Ancora, il Papa insegna che la Chiesa è un particolare aiuto dato da Cristo per trovare la risposta alla domanda di ognuno su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. In fondo, se ci pensiamo bene, è proprio da questa capacità di discernere che dipende il destino dell’umanità intera, della storia e della storia della Chiesa. Sapere che l’istituzione Chiesa riesca ad aiutare ogni singolo uomo in questo, vuol dire dare sicurezza al mondo, a ogni singolo fedele.

Veniamo all’importanza di Giovanni Paolo II per la storia politica del mondo. Qual è stato il suo maggior apporto al riguardo?
Quanto il pontificato di Giovanni Paolo II sia stato importante per la caduta del muro di Berlino nel 1989 è cosa risaputa. Ma vorrei sottolineare un punto che non sempre viene ricordato, cioè quanto lo stesso Wojtyła abbia dato al tutto una valenza provvidenziale, leggendo la storia con lo sguardo della fede. L’uomo agisce sì nella storia, ma – alla fine – è Dio che dispone pienamente della storia, va ricordato sempre. E Giovanni Paolo II lo sapeva bene, lui, uomo di preghiera prima di tutto. Nell’aprile del 1990, sull’aereo verso Praga, dopo la caduta del regime comunista conseguente alla “rivoluzione di velluto”, un giornalista chiese a Wojtyła quanto fosse stato determinante il suo ruolo. E il Papa rispose: «Andando in un Paese così provato negli ultimi decenni... io mi sento un servus inutilis, ma soprattutto mi inchino profondamente, con grande umiltà e profonda fiducia, davanti alla Provvidenza Divina, che guida le sorti dei popoli, delle nazioni, di ogni uomo e di tutta l’umanità». Queste, le sue parole. Ma ancora prima che iniziasse tutto il percorso politico che poi portò alla caduta del muro di Berlino e al crollo del comunismo, c’è un episodio che deve essere ricordato. O meglio, ci furono alcune sue parole che per intensità e forza potrebbero davvero assurgere a una sorta di esorcismo contro il male del comunismo. Dobbiamo andare con l’orologio del tempo al suo primo viaggio in Polonia, nel 1979. A Varsavia pronunciò un’omelia storica. Era il 2 giugno: «E grido, io, figlio di terra polacca e insieme io, Giovanni Paolo II Papa, grido da tutto il profondo di questo millennio, grido alla vigilia di Pentecoste: Scenda il tuo Spirito! Scenda il tuo Spirito! E rinnovi la faccia della terra. Di questa Terra!».

Qual è l’eredità che ci lascia Giovanni Paolo II? Quale il suo insegnamento più importante che andrebbe ricordato oggi?
Penso che mai come oggi dovremmo tornare al suo famoso programma di inizio pontificato: «Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo». Viviamo un mondo troppo liberale, o meglio libertario: penso alla situazione europea e non solo. E, allora, le sue prime parole da pontefice dovrebbero ancora oggi essere seguite: il ritorno al Vangelo, l’importanza delle radici che stiamo sempre più perdendo. Cristo deve essere al centro, deve ritornare al centro! E poi, si parla poco della speranza di Cristo: del messaggio di salvezza del Vangelo! San Giovanni Paolo II ci invita a ricordarlo a tutti! E per farlo c’è bisogno dell’evangelizzazione: un’evangelizzazione che passa per il dialogo tra religione e cultura che tanto gli stava a cuore. Non si parla più di questo, mi sembra. Stiamo perdendo un aspetto importante: l’evangelizzazione. E poi c’è tanto bisogno della speranza: non abbiate paura!



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