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Le vere elezioni saranno: Trump contro i giudici

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Quasi certa la vittoria nelle primarie repubblicane, Trump dovrà sfidare ancora Biden. Ma, più che Biden, i giudici. Che a Washington gli hanno dato torto sull'immunità.

Esteri 08_02_2024
La foto segnaletica di Trump (Imagoeconomica)

Nel lungo ciclo di elezioni primarie per la selezione dei candidati alla presidenza Usa, Trump appare ancora il vincitore assoluto. Paradossalmente, anche quando non si presenta, come in Nevada, dove la sua rivale diretta, Nikki Haley, ha affrontato (per una serie di motivi organizzativi) nessun candidato e “nessun candidato”, che è scritto sulla scheda come tale, ha vinto. Oggi si terrà il caucus, dove Trump partecipa e si è pressoché certi della sua consacrazione da parte della base repubblicana dello Stato del Sud. La vera sfida all’orizzonte è ormai quella fra Trump e Biden, dunque la riedizione del 2020. Ma prima di combatterla alle urne, si giocherà nelle aule di tribunale. Trump contro Biden, è infatti da leggere, per ora, come “Trump contro giudici”, che in ben due su quattro processi, si sono mossi su accuse sporte dal governo federale (di Biden).

In questa sfida, la prima mano l’ha persa Trump, a Washington DC, quando la Corte d’Appello ha respinto la richiesta di immunità dell’ex presidente per reati commessi quando era in carica. I legali di Trump intendevano fermare il processo più grave, quello nella capitale, dove l’ex presidente è accusato di aver interferito con il processo elettorale e il pacifico cambio di potere. Interpretando in modo abbastanza restrittivo i precedenti per cui un capo di Stato non può essere processato per atti che rientrano nelle sue funzioni, nel momento in cui siede alla Casa Bianca, i tre giudici della capitale americana hanno valutato che: «Né la dottrina della separazione dei poteri, né la necessità di riservatezza delle comunicazioni ad alto livello, senza altro, possono sostenere un privilegio presidenziale assoluto e incondizionato di immunità dal processo giudiziario in ogni circostanza».

In un editoriale di mercoledì 7, il Wall Street Journal commentava: «In un’opinione non firmata, il collegio di tre giudici di Washington ha fatto un lavoro sbrigativo sulle argomentazioni di immunità sbagliate, come l’affermazione che Trump non può essere incriminato perché è già stato messo sotto impeachment dalla Camera e assolto dal Senato. Non si tratta di doppia incriminazione. È un sofisma legale». L’impressione è che si sia tratto di un giudizio affrettato, motivato, più probabilmente dall’oltraggio per l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio. Quello che gli stessi giudici definiscono: «un attacco senza precedenti alla struttura del nostro Stato». Ma su cui, comunque, Trump non è stato condannato, perché non è affatto accertata la sua responsabilità in merito.

La difesa dell’ex presidente citava il precedente Nixon contro Fitzgerald del 1982. L’uomo che fece causa a Nixon, nel 1969 era un dipendente civile dell’Aviazione militare e accusò l’ormai ex presidente di averlo ingiustamente licenziato, per aver criticato pubblicamente quel che vedeva come uno sperpero di denaro pubblico nel programma di costruzione degli aerei da trasporto C-5 Galaxy. La Corte Suprema, esaminò il caso solo nel 1981 e l’anno successivo diede ragione a Nixon, sostenendo che fosse immune, in veste di presidente, da accuse derivanti da decisioni che rientravano nelle sue funzioni ufficiali. A questo punto, quali sono le “funzioni ufficiali” di un presidente? Anche ordinare a Mike Pence di fermare la certificazione della vittoria di Biden, che allora Trump contestava? O anche quello di far pressione su altri funzionari di Stato, soprattutto a livello locale, per ottenere riconteggi e nuovi controlli dei voti? La Corte d’Appello di Washington ha deciso che Nixon non può essere processato, nemmeno tredici anni dopo, per aver licenziato in tronco un analista dell’Aviazione, mentre Trump può essere processato perché, dicono i giudici: «Non possiamo accettare che la carica della Presidenza ponga i suoi ex occupanti al di sopra della legge per tutto il tempo successivo».

Cosa può accadere adesso? Il team legale di Trump ha tempo fino al 12 febbraio per fare ricorso alla Corte Suprema e quasi certamente lo farà. La sua strategia potrebbe essere quella di dilazionare, invece che vincere. Dunque non importa tanto il merito delle cause, quanto il tempo per processarle. Se la Corte Suprema dovesse accogliere l’istanza e sospendere il processo di Washington per mesi, potrebbe anche darsi che Trump possa presentarsi alle elezioni presidenziali prima della prima udienza.

Sul giudizio che la Corte Suprema (a maggioranza conservatrice) potrebbe esprimere, invece, è difficile prevedere un ribaltamento del verdetto della Corte d’Appello. Però l’effetto quale sarebbe? Gli opinionisti si dividono. Mitchell Sollenberger e Mark Rozell, nel loro editoriale di The Hill, ritengono che il precedente sia ormai creato e che Trump potrebbe essere processato anche se dovesse di nuovo insediarsi alla Casa Bianca. «In primo luogo, se la motivazione fornita dalla Corte d’Appello di Washington è valida - e noi crediamo che lo sia - allora la Corte Suprema respingerà ogni pretesa di protezione assoluta dalla responsabilità penale. In secondo luogo, anche se tale decisione non verrà emessa prima delle elezioni, non ne consegue che Trump rimanga immune da azioni penali mentre è in carica come presidente».

Di parere opposto è invece Neama Rahmani, ex procuratore federale, intervistato dalla BBC: «È nell'interesse di Trump ritardare il caso fino a dopo le elezioni di novembre. Se vince il controllo della Casa Bianca, un presidente in carica non può essere perseguito». Se non altro perché avrebbe la possibilità di far cadere le accuse che partono dal Dipartimento di Giustizia (di sua nomina, a questo punto). E in casi estremi, potrebbe addirittura graziare se stesso. Non ci sono precedenti, nemmeno per questo.

Il pericolo vero, però, è che, negando l’immunità, non solo Trump, ma ogni futuro presidente ed ex presidente sarà a rischio di processo per motivi politici. E per questo potrebbe rimanere paralizzato per paura, come un sindaco sotto la scure dell’accusa di abuso di ufficio. Lo stesso Trump, se vincesse, potrebbe far incriminare Biden dal nuovo Dipartimento di Stato di sua nomina.