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IL CASO

L'altro Pascoli, nazionalista e massone

Nelle commemorazioni del grande poeta ignorati i suoi legami con la Massoneria e il suo nazionalismo.

Cultura 14_04_2012
Pascoli
Lorenzo Ornaghi, ministro della pubblica istruzione, si è recato a Barga in provincia di Lucca per la commemorazione di Giovanni Pascoli a cento anni dalla morte. Il ministro ha portato in dote alla Fondazione Pascoli il finanziamento del restauro, catalogazione e informatizzazione dell’Archivio Pascoli.

Giovanni Pascoli, chi era costui? In un periodo in cui tutta la cultura italiana ufficiale era in mano alla massoneria (non sapremmo dire quanto diversa sia la situazione oggi), Pascoli non faceva eccezione: aveva fatto il proprio ingresso in loggia piuttosto giovane, a ventisette anni, per l’esattezza il 22 settembre 1882, accolto nella loggia Rizzoli di Bologna. L’Agenzia parlamentare Agenparl (che si presenta come la più antica agenzia di stampa parlamentare in Italia) in un lancio del 5 aprile, ricorda come il 20 giugno 2007 il grande oriente d’Italia abbia acquistato all’asta “con rara lungimiranza” il testamento massonico di Pascoli e definisce “inquieti e labirintici” ma “essenziali i suoi studi su Dante, dove tanto si rispecchia la sua esperienza massonica”. D’altronde, prosegue l’agenzia, “la lezione umana e fraterna della Massoneria” accompagnò Pascoli “sino alla fine”.

La parabola politica
del fratello Pascoli va dall’anarchismo giovanile (che lo porta in carcere per tre mesi), al socialismo, al nazionalismo. Socialismo, nazionalismo e internazionalismo che trovano una poetica, quanto fragile, compenetrazione nel discorso pronunciato nel 1911, un anno rima della morte, alla commemorazione di Garibaldi: dobbiamo “essere nazionalisti e internazionalisti nel tempo stesso”, ma anche “socialisti e patrioti”, per formare “un popolo forte e sereno che sia preparato al destino”. Famoso il discorso del 21 novembre 1911 al teatro comunale di Barga in cui canta un inno alla grande proletaria che si è mossa. L’Italia finalmente è in guerra per conquistare popoli a lei inferiori e portare loro in dote la propria civiltà. Come a suo tempo aveva fatto Roma. Colonizzando la Libia gli italiani avrebbero potuto abitare “una vasta regione che già per opera dei nostri progenitori fu abbondevole d'acque e di messi, e verdeggiante d’alberi e giardini; e ora, da un pezzo, per l’inerzia di popolazioni nomadi e neghittose, è per gran parte un deserto”.

Il fratello Pascoli usa l’aggettivo tanto amato nelle logge: sereni. Sì, gli italiani in Libia sarebbero stati sereni: “Vivranno liberi e sereni su quella terra che sarà una continuazione della terra nativa, con frapposta la strada vicinale del mare. Troveranno, come in patria, ogni tratto le vestigia dei grandi antenati. ?Anche là è Roma.? E Rumi saranno chiamati. Il che sia augurio buono e promessa certa. SI: Romani. SI: fare e soffrire da forti”. Questo linguaggio saremmo tentati di attribuirlo a Mussolini. E invece no. E’ di Pascoli che così esalta il risorgimento: “Ora l’Italia, la grande martire delle nazioni, dopo soli cinquant’anni ch’ella rivive, si è presentata al suo dovere di contribuire per la sua parte all’umanamento e incivilimento dei popoli”. Ne I volontari dell’Italia giovane di Rodolfo Corselli stampato a Palermo nel 1911, viene ripresa una curiosa affermazione del poeta del fanciullino: commemorando il cinquantenario dell’Italia unita Pascoli afferma che la storia d’Italia comincia il 27 marzo 1861 con l’inaugurazione del regno.

Tutto il resto è preistoria, prologo alla vera e propria storia che deve portare l’Italia sulla scena del mondo. Noi che purtroppo fanciullini non siamo mai stati pensiamo che non sarà assolutamente possibile trovare i fondi per ristampare il testo più importante, documentato ed esauriente sulla storia del risorgimento: le Memorie per la storia dei nostro tempi dal Congresso di Parigi nel 1856 ai nostri giorni di Giacomo Margotti, diventato praticamente introvabile (2282 pagine di fatti e documenti fra cui la riproduzione di settanta circolari ministeriali attinenti la condotta del Regno di Sardegna nei confronti della chiesa e del clero). D’altronde perché sprecare tempo e soldi per occuparsi di preistoria?