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EDITORIALE

L'altra faccia del femminicidio

L'ultimo caso accaduto in Umbria (omicidio-suicidio di un uomo che non sopportava la fine della storia con la compagna) riporta alla ribalta le conseguenze di separazioni e divorzi. Nulla giustifica gli omicidi ma c'è una crescente realtà di mogli e madri che rompono il matrimonio.

Editoriali 11_07_2014
Marito cacciato di casa

«È clinicamente morto Riccardo Bazzurri, 32 anni, che non accettando la fine della storia con la sua compagna, ha aperto il fuoco in strada contro Ilaria, l'ex convivente 24enne e il figlio di due anni, per poi spararsi un colpo alla testa. Tra i feriti, anche un'amica della donna. L'aggressione è avvenuta a Ponte Valleceppi, alla periferia di Perugia». Giunto brevemente sulle prime pagine dei giornali lo scorso 8 luglio, e poi ben presto sommerso dal fluire della cronaca, il tragico episodio è stato ancora una volta commentato dalla stampa attingendo per lo più alla girandola di luoghi comuni ormai di rigore in casi del genere.

In quanto poi al mondo della politica basti citare le dichiarazioni di un assessore regionale umbro il quale, di fronte a tanta tenebra non vede altra possibile luce se non quella della «Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, la cosiddetta Convenzione di Istanbul». Secondo l’assessore, per evitare il ripetersi di tragedie del genere basta affidarsi  all’«approccio innovativo» di questo documento  che «punta sull’autodeterminazione delle donne e chiede di mettere in campo strategie e azioni strutturali ed integrate per affrontare il problema da un punto di vista culturale e politico». «L’Umbria - ha concluso l’assessore (di cui pro caritate non citiamo il nome) - farà la sua parte e chiede al Governo nazionale, ormai da troppo tempo in silenzio sull’argomento, di fare altrettanto».  

Che l’Umbria – osserviamo per inciso - con tutto ciò che magistralmente insegnano la sua storia, i suoi monumenti e il suo paesaggio, abbia da gran tempo i governi e le maggioranze che sappiamo è cosa che appartiene al mistero della libertà umana; ma non è questo che ci interessa qui. E nemmeno vogliamo soffermarci in particolare su tale specifico episodio, quanto piuttosto prenderlo in considerazione come sintomo di qualcosa di ben più vasto.

Beninteso, aggressioni, omicidi e suicidi di cui si rendono responsabili uomini respinti dalle madri dei loro figli, e spesso preclusi da una normale relazione paterna con questi ultimi, sono e restano dei crimini di sangue che nessuna attenuante può annullare. Tuttavia pretendere di spiegare tutto con la presunta irriducibilità dell’uomo-padrone è cosa di una banalità sconfortante.

Questi delitti sono piuttosto l’esplosione patologica di un grave disagio, che resta tale e che merita di venire considerato attentamente anche in quella stragrande maggioranza dei casi in cui non giunge a conseguenze estreme tanto tragiche. Sarebbe ora di rendersi conto che nella crisi di civiltà in cui viviamo il ruolo femminile si sta disarticolando forse ancor più e peggio del ruolo maschile. Non solo in quello che nel Vangelo viene chiamato il “mondo” ma anche in ambiti ove l’annuncio cristiano è forte e chiaro si moltiplicano i casi di mogli e madri che a non molti anni dal matrimonio rompono con i mariti e padri dei loro figli per motivi relativamente futili rispetto alla gravità di ciò che da tali rotture consegue in primo luogo a danno dei figli.

Nel contesto sociale e giuridico del nostro Paese ciò implica tra l’altro l’uscita di casa del marito respinto il quale nella maggior parte dei casi, gravato dall’onere degli alimenti e del costo di un alloggio per proprio uso, diventa un “nuovo povero”.  In Lombardia, e immaginiamo anche altrove, già sono sorti presso santuari e presso parrocchie degli ostelli per mariti e padri separati che non sono in grado di pagarsi un alloggio proprio. E non mancano poi casi di madri che insieme al marito abbandonano anche i figli, con tutte le ulteriori complicazioni che ne derivano. Non vogliamo di certo dire – osserviamo concludendo – che il peso del naufragio dei matrimoni incomba sempre sui mariti e padri. Affermiamo però che anche questa eventualità, in effetti sempre più frequente, va responsabilmente considerata con la dovuta attenzione.