Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Nicola di Bari a cura di Ermes Dovico
L’ANNIVERSARIO

Lacordaire, tra predicazione e giornalismo

Il 21 novembre di 160 anni fa moriva Henri-Dominique Lacordaire, restauratore dell’Ordine Domenicano in Francia. Fu tra i fondatori di un giornale dal motto “Dio e la libertà”. Pur tra qualche ombra e fascinazione liberale, si spese per cercare di diffondere il Vangelo nella società.

Cultura 22_11_2021

Papa Montini, nel 1950, discutendo con l’amico e filosofo Jean Guitton, si interrogava sulla capacità della Chiesa di saper comunicare al mondo la Verità della quale è portatrice. Paolo VI chiedeva al famoso filosofo francese: “A cosa serve dire quello che è vero, se gli uomini del nostro tempo non ci capiscono?”. Il giornalismo, dunque, per lui doveva essere sinonimo di mediazione tra il Cielo e la Terra, così come dirà per gli artisti. Altra mediazione a cui Papa Montini teneva molto era quella “fra la verità e la pubblica opinione”. Come disse in un incontro con la stampa cattolica nel 1963: “Voi siete in mezzo fra la verità ed il pensiero della gente, dei vostri lettori; e naturalmente siete in mezzo per trasfondere la verità nell’opinione pubblica”. Mediazione, dialogo e incontro col mondo moderno, ma nella verità.

Diverso tempo prima, in Francia, questa idea del giornalismo come strumento di diffusione della verità era stata la via tracciata da un padre domenicano, il francese Henri-Dominique Lacordaire, nato nel 1802. La scrittura al servizio di Dio, le parole al servizio della Parola: questo, in estrema sintesi, il suo cammino umano e spirituale. La personalità di Lacordaire è complessa, articolata: fu educato alla religione dalla madre, ma poi da studente di Giurisprudenza a Digione frequentò l’ambiente volteriano, laicista e anticlericale. Naturale il suo distacco dalla fede cattolica. Ma provvidenziale fu una lettura, che gli fece cambiare nuovamente idea: nel 1823, come avvocato tirocinante a Parigi, si imbatté nelle pagine del Genio del Cristianesimo di Chateaubriand; “Sono diventato cristiano. Non ho per nulla ceduto, lo ammetto, a delle grandi forze soprannaturali; la mia convinzione è uscita dal mio cuore: ho pianto e ho creduto”: queste parole di Chateaubriand lo catturarono, dandogli una nuova linfa.

La sua conversione al Signore lo indusse a intraprendere il cammino religioso: nel 1824 entrò come seminarista a Issy. Diventò sacerdote nel 1827 e cappellano della Visitazione di Parigi e, successivamente, cappellano del Liceo Enrico IV. Bruciò le tappe, divorato dalla sete di Dio, di essere sempre più a Lui vicino: penetrare nel mistero con la ragione e la fede. Da sottolineare, della sua personalità, la sete di conoscenza e di approfondimento. Sembrava quasi che la Francia gli andasse “stretta” e allora pensò di lasciarla per andare negli Stati Uniti d’America, considerata la patria della libertà. Tuttavia, a seguito dello scoppio della rivoluzione del luglio 1830, non portò a termine il suo progetto.

Ma la libertà gli rimase impressa nel cuore e nella mente. Furono questi gli anni della sua attività giornalistica. Accantonata l’idea di emigrare, fondò con il noto sacerdote F. R. de La Mennais (1782-1854) e con il giovane nobile C. Montalembert (1810-1870), il giornale “L’Avvenir”, di cui divenne redattore. Il quotidiano aveva un motto, ben preciso, che delineava la linea editoriale del giornale: “Dio e la libertà”, per l’affermazione della libertà di stampa e d’associazione, per la libertà delle nazioni e delle comunità locali, come pure per quella d’insegnamento. Dalle colonne del giornale, Lacordaire difese strenuamente questi principi.

Nel 1837, dopo che l’Ordine dei Benedettini fu ristabilito in Francia, Lacordaire decise di fare lo stesso per quello dei Domenicani. Entrò così nell’Ordine dei Predicatori, che era stato sciolto in Francia nel 1790. Perché Lacordaire decise di entrare in questo ordine religioso? L’insegnamento della fede era il caposaldo - come sappiamo - dei predicatori, ma era anche il caposaldo della vocazione dello scrittore-giornalista Lacordaire. Inoltre, l’appartenenza a tale ordine poteva dargli maggiore libertà d’azione nei confronti dell'episcopato francese con cui era stato spesso in opposizione. L’intento, allora, del giovane religioso era quello di ristabilire in Francia questo ordine a cui si era legato profondamente: a sostenerlo, vi fu addirittura Gregorio XVI. Testimonianza scritta di questa missione rimane la sua opera Mémoire pour le rétablissement en France des Frères Prêcheurs del 1839.

Il 9 aprile 1839, Lacordaire prese l'abito domenicano nella basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma, assumendo il nome religioso di Domenico. L'anno dopo, il 12 aprile 1840, dopo un anno di noviziato a La Quercia presso Viterbo, durante il quale scrisse una Vita di San Domenico, emise i suoi voti alla Minerva. Vi è un ritratto che immortala Lacordaire come frate domenicano. Fu dipinto dal pittore Théodore Chassériau, un'opera considerata come uno dei capolavori di questo autore. Lacordaire mandò a Madame Swetchine, una mistica russa, questa descrizione: “M. Chassériau, giovane pittore di talento, mi ha domandato con insistenza di farmi un ritratto. Mi ha dipinto con l'abito da domenicano, sotto il chiostro di Santa Sabina; sono soddisfatto di questo quadro che mi dà un aspetto un po' austero”.

Ritornò in patria nel 1841 e da questo suo ritorno nasceranno diversi monasteri domenicani in tutta la Francia, incluso quello di Nancy (1843), Chalais (Isère) (1844) e Parigi (1849). Nel 1850 fu ufficialmente ristabilita la provincia domenicana francese e Lacordaire fu nominato superiore provinciale.

La parabola di Lacordaire è stata assai vasta e ha toccato diversi campi della fede e della società. In alcuni casi, è difficile negare una contraddittorietà nelle sue azioni, oscillando sempre tra il pensiero liberale (in alcuni casi, forse, anche troppo spiccato) e la fedeltà alla tradizione. Forse, il suo animo di esploratore ha influenzato non poco il suo cammino umano e spirituale. Uomo prolifico per libri, scrittore mai stanco di ribadire le sue idee grazie alla carta stampata. E poi, la sua arte oratoria (ebbe anche una parentesi politica come membro dell’Académie Française, in sostituzione addirittura di Alexis de Tocqueville) è espressione di una Chiesa che cerca attraverso le parole, quelle giuste e ponderate, frutto di studio, di esprimere il messaggio del Vangelo nella società.