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VIA CRUCIS

"La passione" di Mario Luzi

Il 2 aprile 1999 al Colosseo si teneva la Via Crucis del pontefice Giovanni Paolo II. A corredarla, un testo di Mario Luzi, poeta fiorentino: «L'offesa del mondo è stata grande. / Infinitamente più grande è stato il tuo amore».

Cultura 29_03_2013
Crocifisso San Damiano

Quando venne chiesto a Mario Luzi, emerito poeta scomparso ormai otto anni fa, di preparare quindici poesie da recitare ad ogni stazione della via crucis pre-giubilare , al Colosseo e alla presenza di Giovanni Paolo II, il fiorentino ebbe un sussulto: «Non era solo un dubbio di insufficienza e di inadeguatezza, era anche di più il timore che la mia disposizione interiore non fosse così limpida e sincera quanto il soggetto richiedeva». Questo cita l'Introduzione de La Passione. Via Crucis al Colosseo, Garzanti, 1999, pp. 77, che raccoglie tutti i testi della Via Crucis letta da Sandro Lombardi e Lucilla Morlacchi la sera del 2 aprile 1999.

La conversione di Luzi da un cattolicesimo simbolicamente inteso ad uno più "vissuto" va di pari passo a una nuova concezione di poetica. Siamo attorno al 1963: dopo le pubblicazioni de La barca, di Avvento Notturno, di Onore del vero e Primizie del deserto, è con Nel magma che cambia qualcosa. Lo stampo petrarchista e monolinguista di tanta tradizione ermetica si scontra con una lingua viva, sismica, "magmatica" appunto. E non è un caso che sia Dante la maggiore eco del fiorentino, con la sua lingua dai tanti registri e dalle infinite possibilità ritmiche. Da qui, le cose cambiano. Su fondamenti invisibili, Al fuoco della controversia, Per il battesimo dei nostri frammenti, Frasi e incisi di un canto salutare, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, La dottrina dell'estremo principiante: tutte raccolte che hanno in comune un profondo sentimento religioso, che costerà a Luzi il titolo di "poeta cristiano" più che "d'argomento cristiano".

La vera qualità del monologo di Mario Luzi riguardante la storia della Passione del Cristo è il senso dell'umano. Quasi spogliato del divino che è Lui, Cristo scivola nell'oscuro della propria umanità, dacché viene preso a quando verrà crocifisso. Le quindici poesie della breve silloge non seguono le canoniche stazioni, ma accanto alla storia prende spazio il pensiero, le sue angosce, la paura, la preghiera: «Ciò che si prepara è nelle Scritture, / a quello ho ordinato i miei pensieri / punto per punto, eppure esito ancora, / farnetico che sia revocabile». Ed è la cifra umana di Cristo a risaltare, accanto a una fede incrollabile: «Tu entri nel groviglio umano e lo disbrogli / pure così lontano come sei nella tua eternità / da questi nodi delle esistenze temporali».

La crocifissione assume le tinte di una lotta tra bene e male. Tuttavia, la visione non è così manichea come si crede. Non tanto perché, tra bene e male, si instaurano una serie di sfumature che giustificano la sezione intermedia fra i poli, quanto perché il bene strabocca, si muove per abbondanza, e arriva a contenere persino il buio della morte:

Il male contro cui contendi
anche qui a le sue sedi, i suoi nascondigli.
A me come viatico soltanto l'amore è stato dato,
non ho avuto altra arma per difendermi. 
Mi prendono, mi portano dinanzi ai loro giudici.

Sono tue creature, sono miei fratelli,
hai messo loro in cuore la sete di giustizia
ma la presunzione di saziarla,
non viene da te, viene dal demonio.

Si sentono eco della grande poesia metafisica del Novecento, con un'attenzione particolare a Eugenio Montale e soprattutto al Thomas Stearns Eliot de La Terra desolata e dei Cori da "la Rocca". E sono i sentimenti che nascono nelle pieghe dell'umanità di Cristo a rendere la narrazione poetica così verosimile, così corrente e capace di immedesimazione: l'angoscia, la paura («Più che la morte è la via per arrivarvi, / la via crucis, che mi dà angoscia / perché è dolorosa e aspra nelle carni /e spezza il cuore di Maria, mia madre») e il dubbio («Io che in nome tuo ho resuscitato Lazzaro / ho paura e dubito che la morte sia vincibile»), sino alle ultime, umanissime parole di Cristo in croce. E, in successione, una preghiera a conclusione del tutto, che per bellezza, e per augurio di Buona Pasqua, non si può fare a meno di trascriverla:

Dal sepolcro la vita è deflagrata.
La morte ha perduto il duro agone.
Comincia un'era nuova:
                             l'uomo riconciliato nella nuova
alleanza sancita dal tuo sangue
ha dinanzi a sé la via.
Difficile tenersi in quel cammino.
La porta del tuo regno è stretta.
Ora sì, o Redentore, che abbiamo bisogno del tuo aiuto,
ora sì che invochiamo il tuo soccorso,
tu, guida e presidio, non ce lo negare.
L'offesa del mondo è stata immane.
Infinitamente più grande è stato il tuo amore.
Noi con amore ti chiediamo amore.
Amen.