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L'ATTACCO DI HAMAS

La debacle di Israele: fallimento dei servizi e di un Paese diviso

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L'attacco senza precedenti contro città israeliane lanciato il 7 ottobre da Hamas, con massacri nelle città e cattura di ostaggi, ha colto di sorpresa un governo che ha colpevolmente sottovalutato i segnali di quanto si stava preparando e indebolito il proprio esercito.
- Hamas, braccio palestinese dei Fratelli Musulmani di Stefano Magni

Esteri 09_10_2023
Attacco di Hamas, un carro israeliano distrutto a Khan Younis

«Gli attacchi e le armi si fermino, si comprenda che il terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione, ma solo morte e sofferenza per tanti innocenti. Ogni guerra è una sconfitta. Preghiamo perché ci sia la pace in Israele e in Palestina. Seguo con apprensione quanto sta avvenendo in Israele, dove la violenza è esplosa velocemente provocando centinaia di morti e feriti. Esprimo la mia vicinanza alle famiglie delle vittime, prego per loro e per tutti coloro che stanno vivendo ore di terrore e di angoscia»: queste parole sono state pronunciate da papa Francesco nel corso dell'Angelus di ieri, domenica 8 ottobre, dopo gli attacchi da parte delle milizie di Hamas su Israele, al confine con la Striscia di Gaza.

Un assalto improvviso. Inaspettato. Una vera e propria "alluvione" quella che si è abbattuta lo scorso sabato mattina, all'alba, su Israele. Le sirene antimissile hanno iniziato a suonare incessantemente a Tel Aviv e nei villaggi della costa mediterranea di Israele. Migliaia di razzi sono stati lanciati da Gaza verso il territorio ebraico. Il gruppo militare palestinese di Hamas, considerato terrorista da Stati Uniti, Unione Europea e altri Paesi occidentali, ha avviato un'operazione senza precedenti da terra e dall'aria. Il bilancio è veramente drammatico: 600 i morti tra gli israeliani e 370 tra i palestinesi. Migliaia i feriti da ambo le parti, molti dei quali ricoverati nei vari ospedali e in gravi condizioni. Ma si tratta di un bilancio provvisorio. Vi è anche un numero imprecisato di israeliani rapiti dai miliziani di Hamas - si parla di 100 - e trasferiti a Gaza.

Mohammed Diab al Masri, nome di battaglia Mohammed Deif, capo militare indiscusso dell'organizzazione che controlla la Striscia di Gaza, dagli altoparlanti dei minareti, ha lanciato, poco dopo l'inizio dell'operazione, un messaggio a tutti i palestinesi sia dentro che fuori di Gaza, in particolare alle cellule dormienti di Hamas che vivono in territorio israeliano: «È iniziata l'operazione "Alluvione di al-Aqsa”. Portate avanti i vostri attacchi contro gli insediamenti con tutti i mezzi e gli strumenti a vostra disposizione - e aggiungendo - oggi chiunque abbia un fucile dovrebbe tirarlo fuori. È il suo momento e ognuno di voi dovrebbe uscire con il proprio camion, veicolo o ascia. Oggi si è aperta una nuova storia, una storia più luminosa e più onorevole».

Una vera e propria dichiarazione di guerra contro Israele, alla quale, dopo attimi di incertezze e incredulità, il governo di Benjamin Netanyahu ha risposto con l'operazione "Spade di ferro": «Le forze di difesa israeliane agiranno immediatamente per distruggere le capacità operative di Hamas», ha dichiarato Netanyahu in un discorso televisivo, mentre i terroristi erano ancora rintanati con gli ostaggi in almeno tre località in territorio israeliano. «Li paralizzeremo senza pietà e vendicheremo questo giorno nero che hanno portato su Israele e sui suoi cittadini. Cittadini di Gaza, abbandonate il paese, uscite adesso. I nostri soldati saranno ovunque e con tutte le nostre forze». Una risposta, questa del primo ministro israeliano, giunta però dopo ben sedici ore da quando alcune centinaia di terroristi di Hamas si erano infiltrati in territorio israeliano, invadendo villaggi e kibbutz e catturando molti abitanti di quelle zone.

Israele è rimasto ammutolito, balbuziente. Ferito come non mai. Non ha saputo reagire all'azione militare scatenata dalle Brigate Izz el-Deen al-Qassam, il braccio armato di Hamas. Lo Shin Bet, l'Intelligence militare, il Mossad e l'Unità 8200, la cellula ipertecnologica delle Forze Armate israeliane hanno fallito. Per la prima volta, la rete di informatori, tessuta dai vari servizi, non è riuscita a percepire o intercettare quanto stava accadendo a Gaza. O forse, più probabilmente, sono state sottovalutate le avvisaglie. Ma come è potuto accadere? È la domanda che circola, da sabato scorso, tra gli analisti politici dentro e fuori Israele. Il fallimento dei servizi segreti israeliani è sotto gli occhi di tutti gli esperti. Eppure, i segnali c'erano stati.

Nell'ultimo mese, centinaia di palestinesi di Gaza hanno marciato, ogni giorno, verso la recinzione che separa la Striscia da Israele, alimentando costantemente massicce dimostrazioni di indignazione e frustrazione pubblica all’interno dell’enclave assediata. Le manifestazioni di protesta non sono state altrettanto imponenti come quelle del 2018, ma la portata e il vigore erano comunque considerevoli. La maggior parte dei manifestanti erano giovani raccolti sotto la sigla di “al-Shabab al-Tha'er”, “la gioventù rivoluzionaria”. E presenti non erano le fazioni della resistenza di Gaza, bensì la gente comune. Improvvisamente, però, senza alcuna spiegazione, le manifestazioni si sono interrotte. E nessuno si è chiesto la ragione di questa interruzione.

Come mai le organizzazioni ebraiche di intelligence, prese come modello da tutte le agenzie di spionaggio del mondo, non si sono accorte del trasferimento a Gaza di droni, armamenti, anche sofisticati, e soprattutto di uomini ben addestrati alla guerriglia urbana? E ancora: come mai i super esperti della cellula “Unità 8200” non sono riusciti ad intercettare gli ordinativi dei componenti per l'assemblaggio di missili a lunga gittata da parte della Brigata Izz el Deen al-Qassam?

Altre ancora sono le domande che esigono una risposta. Perché per difendere un gruppo di coloni estremisti impegnati a provocare i palestinesi dei Territori - come a Huwara - sono stati utilizzati interi battaglioni, o decine di soldati a scortare gli ebrei ultraortodossi che entravano nella Spianata del Tempio non rispettando lo Status quo? Scelte queste che sicuramente hanno messo in crisi la capacità operativa di risposta dell'esercito nel caso di un attacco proveniente dalla Striscia di Gaza.

Ma alla questione strettamente militare non va disgiunta la situazione d’instabilità politica causata dalle proteste di piazza. In più di un'occasione, il ministro della Difesa, Yoav Gallant, aveva chiesto a Netanyahu di bloccare il progetto della riforma della giustizia. «Sono molto preoccupato - aveva detto - la spaccatura nella società è penetrata nell'esercito e questo è un pericolo immediato e tangibile per la sicurezza dello Stato. Non vanno sottovalutate anche le numerose proteste da parte dei riservisti». Moniti rimasti inascoltati. Ignorati anche gli avvertimenti di Herzi Halevi, il capo di Stato Maggiore dell'esercito israeliano, che aveva avvertito il primo ministro che per «arginare l'erosione delle capacità militari in corso nelle forze armate era necessario che il governo bloccasse la riforma giudiziaria e riconsiderasse il progetto di esonerare in massa dal servizio di leva tutti i giovani ebrei ortodossi». Allusione quest'ultima al progetto del governo, che su pressione dei partiti religiosi, intendeva esonerare dal servizio militare tutti i giovani ortodossi e al tempo stesso garantire loro gli stessi sostegni economici assicurati ai soldati di leva.

Nel frattempo, tra i cittadini israeliani serpeggia molta preoccupazione, angoscia e inquietudine. Lo stesso tra gli abitanti di Gaza. In ambedue i Paesi i cristiani vivono questo nuovo scontro con inquietudine e apprensione. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini concentra, tra l'altro, lo sguardo sulla piccola comunità cristiana di Gaza, poco più di mille fedeli, dei quali solo un centinaio cattolici, appartenenti all’unica parrocchia latina della Striscia, dedicata alla Sacra Famiglia: «Sappiano – ha dichiarato - che come sempre non saranno lasciati soli e che questo è un momento in cui dobbiamo essere uniti più che mai». E ha così concluso: «La comunità internazionale deve ritornare a prestare attenzione a quanto accade in Medio Oriente. Gli accordi diplomatici, quelli economici non cancellano un dato di fatto: esiste una questione israelo-palestinese che ha bisogno di essere risolta e che attende una soluzione».

Ma a complicare la situazione è ora il riaccendersi delle tensioni nel nord del Paese con Hezbollah, che con Hamas condivide avversione e ostilità verso Israele. Va segnalato inoltre che la gravità della situazione ha portato al congelamento delle fratture politiche all’interno della società israeliana; non più tardi di una settimana fa, a Tel Aviv, si stava ancora manifestando contro la riforma giudiziaria.