Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Fedele da Sigmaringen a cura di Ermes Dovico
COMPLOTTISMI

La "bara vuota" della regina e la voglia di dietrologie

In rete circola la voce che in realtà dentro il catafalco esposto a Westminster Hall non ci fosse nulla e che le spoglie mortali di Elisabetta II fossero altrove. Un'ipotesi impossibile da dimostrare basata sull'idea – sempre pronta a saltar fuori – che "ci nascondono qualcosa". Al sospetto sistematico corrisponde, per altri versi, la tendenza a credere a tutto. Ma non sempre la vox populi è vox Dei.

Attualità 20_09_2022

In margine ai riti funebri della regina Elisabetta II circola la notizia che in realtà, sul catafalco eretto in Westminster Hall, sotto il drappo regale, non ci fossero le spoglie mortali della longeva sovrana, deceduta lo scorso 8 settembre. Il corpo della regina, secondo alcuni, si trovava in una camera mortuaria fino al giorno del funerale, secondo altri sarebbe stata invece già sepolta in precedenza. E gli omaggi della folla, nonché degli stessi figli e nipoti e dei numerosi capi di Stato giunti a Londra, erano dunque indirizzati soltanto a una bara vuota.

Vi ha alluso anche l’attore scozzese Douglas Henshall su Twitter: «Pensate che ci sarebbe una fila così lunga se la gente sapesse che la regina non è in quella bara? O lo sanno che è solo un simbolo?». Stando al The National, alla domanda «Ci credi davvero?», Henshall avrebbe ammesso: «Ovviamente non lo so». La sua era un’ipotesi, che resta indimostrata e indimostrabile, a meno di non riuscire ad avvicinarsi, eludere la sicurezza e dare una sbirciatina sotto il drappo. Era forse questo che voleva verificare l’uomo arrestato dopo essersi sganciato dalla fila per balzare verso il catafalco?

Naturalmente non possiamo dimostrare neanche che fosse piena. Ma attenendoci al buon senso possiamo dedurre, fino a prova contraria, che se c’è una bara vegliata da qualcuno, dentro c’è sicuramente un morto. E se anche fosse vuota, i segni di onore in ogni caso non sarebbero rivolti al legno bensì al defunto, ovunque si trovi il cadavere. Ma poi a che servirebbe l’eventuale finzione? Oltre a essere indimostrabile appare anche inutile. Tanto valeva chiuderla in fretta con riti e veglie e si sarebbero liberati tutti molto prima per tornare ai propri affari, a cominciare dal nuovo re.

La “bara vuota” ricorda certe voci diffuse nel 2005, tra la gente assiepata in San Pietro nelle ore in cui moriva San Giovanni Paolo II. Non mancò chi affermava che il Papa era già morto il giorno prima – "ma non ce lo dicono" – basandosi sulla certa e fededegna testimonianza del fratello dello zio del cugino che svolgeva un qualche servizio in piazza. Ancora una volta: a che pro? Cosa sarebbe cambiato rinviando l’annuncio di un giorno? L’indimostrabilità di certe teorie finisce per fare da “prova” sostitutiva della mancanza di prove: non c’è prova proprio perché “ce lo nascondono”. E non è un problema di contenuto (o, in questo caso, di mancanza di contenuto), ma di metodo: di fronte alla complessità del reale si cerca un palliativo nella dietrologia, ovvero “non capiamo nulla perché ci nascondono qualcosa”. Sul “chi” lo nasconda ci si può sbizzarrire all’infinito a rischio di screditare anche le notizie vere, che a forza di gridare "Al lupo, al lupo!" non saranno più credute.

L’altra faccia della medaglia è credere a tutto. Alla smania di dietrologie (per cui non è vero nulla) corrisponde l’accettazione acritica di qualsiasi cosa (è tutto vero, “lo dice la tv”), in base non alla verifica delle fonti ma alla superficiale accettazione di ciò che viene urlato più forte. Allora, in base allo stesso criterio, si sente dire che i cristiani sono tutti cattivi e retrogradi, che gli ambientalisti sono tutti buoni e che se vince il centrodestra faremo un salto nel buio. “Ma perché?” – “Lo ha detto la tv”. Lo stesso vale per alcuni luoghi comuni storici, in cima ai quali c’è il “buio Medioevo” (con tante ombre quante ne possiamo avere noi, e altrettante luci che invece ignoriamo o dimentichiamo).

Non sempre la vox populi equivale alla vox Dei, a volte è semplice riflesso di quanto viene passivamente assimilato dagli schermi perennemente accesi. Prova ne sia, per esempio, la percezione pubblica della pandemia e il conseguente intensificarsi o allentarsi dello “stato di paura”, in base a quante volte ci viene detto di stare più o meno in guardia. Oppure le guerre nel mondo, che in questo momento sono circa una sessantina, ma tendiamo a percepirne soltanto una (certamente rilevante e rischiosa per tutti, ma non l’unica in corso).

Al giorno d'oggi ormai ciascuno è “mass media di sé stesso”, grazie all’effetto domino generato dal web e in particolare dai social. Di conseguenza, anche teorie che sarebbero rimaste di nicchia finiscono per rimbalzare fino all’ultimo "sprovveduto" (non in senso offensivo, ma tecnico, ovvero “sprovvisto”, “non provvisto” di preparazione su quel che afferma) che ha letto questo e quello in un blog e in un improvviso (e improvvido) sussulto intellettuale si sente (geo)politologo o canonista o quel che passa la rete. Piuttosto, l’accesso a un numero crescente di informazioni, fa sì che ci si occupi, per svago o per caso, di questioni che vanno al di là delle nostre ordinarie competenze, ma che non sempre lo si faccia con l’adeguata competenza.

Non basta neanche il classico paragone con il “bar Sport”, ingiustamente considerato archetipo delle “chiacchiere da bar” (per l’appunto), ma che forse andrebbe rivalutato. Poiché lì si parlava (esagerando, sbraitando) di qualcosa di cui si aveva sia pur indirettamente cognizione di causa, di ciò che si era visto in campo. E in campo si veniva confermati o smentiti alla partita successiva, per tornare ad azzuffarsi. Mentre qui si negano o si accettano cose remote e indimostrabili da ciascuno dei contendenti, tramite un atto di fede cieca: fede in quello che “ha detto la tv” o al contrario in quello che “ci nascondono”.

Aveva ragione Chesterton: «Quando la gente smette di credere in Dio, non è vero che non crede in niente, perché crede in tutto» – o meglio, avrebbe avuto ragione se non fosse anche questa una citazione talmente diffusa che gli viene attribuita a priori. A differenze di dietrologie e credulonerie, però, è verosimile e descrive efficacemente quella schizofrenia del pensiero che appare paradossale in un’epoca tanto fiera della propria presunta superiorità razionale rispetto al passato. Ma anche questa superiorità è una teoria indimostrata, basata sul solo fatto di aver accantonato la fede religiosa.