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TERRA SANTA

Israele: stallo sugli ostaggi, pronto l'attacco a Rafah

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La liberazione degli ostaggi israeliani legata al rilascio di Marwan Barghouti e Ahmad Saadat, ma intanto il governo israeliano finanzia nuovi insediamenti e l'esercito rade al suolo le case di Gaza. Preoccupazione negli USA e in Europa.

Esteri 05_02_2024
Palestinesi in fuga dalle loro case

Solo se il governo israeliano libererà Marwan Barghouti, l’ex esponente di Fatah, in carcere dal 2002, Hamas procederà alla liberazione degli ostaggi ancora nelle sue mani. Barghouti sta scontando, nelle prigioni israeliane, qualcosa come cinque ergastoli per il suo ruolo in alcuni attentati terroristici nella Seconda intifada. È un esponente politico palestinese amato dalla gente e l'unico che possa unire, nelle future consultazioni elettorali, le varie anime del popolo palestinese.
Hamas ha chiesto anche la liberazione di Ahmad Saadat, capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, condannato a trent’anni, per l'uccisione nel 2001, del ministro israeliano del Turismo, Rehevam Zeevi. La richiesta è arrivata, da Beirut, dal portavoce Osama Hamdan. Condizioni, che molto probabilmente, Netanyahu respingerà. È prevedibile, a questo punto, che un eventuale accordo sia sempre più lontano.

In attesa del via libera da parte del Consiglio di Guerra, i militari israeliani sono pronti per l’operazione di terra su quello che ancora rimane di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, dove oltre un milione e mezzo di palestinesi si sono ammassati per sfuggire ai bombardamenti nel resto del paese. «Continueremo fino alla fine. Non c'è altra soluzione». A scrivere questo post è Yoav Gallant. Non usa mezze parole il ministro della Difesa: «La Brigata Khan Younis dell'organizzazione di Hamas è stata neutralizzata e molti combattenti sono morti, completeremo la missione a Rafah».
«Dove andremo?», si chiede Sayed Al-Sawarha un giovane palestinese che frequentava l'Università per gli stranieri di Perugia, prima di rientrare a Gaza e ora costretto a vivere a Rafah sotto una tenda con la sua famiglia. «Se i carri armati e i soldati invaderanno anche questa zona, non avremo alternative: tentare di superare il confine con l'Egitto o morire. Sarà un vero e proprio massacro».

Nel frattempo, è stato diffuso un appello-denuncia sottoscritto da ben ottocento firmatari, che accusa Israele di “gravi violazioni del diritto internazionale” nell'ambito della risposta militare contro Gaza. I sottoscrittori, tutti diplomatici e funzionari americani ed europei, chiedono ai rispettivi governi una reazione più decisa, e senza tentennamenti, per porre fine ad una delle più drammatiche catastrofi umanitarie del secolo. L'accusa rivolta ai rispettivi governi è pesante: «Stiamo assistendo, e di conseguenza stiamo diventando complici, di una pulizia etnica e di un genocidio». Mettono poi in guardia i governi dalle «evidenti inosservanze del diritto internazionale e del diritto di guerra».

In questi giorni circolano sui social le immagini che mostrano i soldati israeliani mentre danno fuoco alle poche case rimaste in piedi, nonostante i massicci bombardamenti. Su TikTok si sentono i militari imprecare contro i palestinesi e affermare che quell’azione è la vendetta per la morte dei loro commilitoni. In un video, un militare spiega il metodo che viene utilizzato dai soldati: vengono ammassati in una stanza tutti i mobili e le altre cose presenti nell’abitazione, poi si appicca il fuoco per causare il massimo danno possibile. Viene poi utilizzato dell'esplosivo per abbattere definitivamente lo stabile. Il portavoce dell'esercito israeliano ha fatto sapere che la distruzione degli edifici viene effettuata con mezzi approvati e appropriati e che verranno esaminate attentamente tutte le azioni compiute dai militari durante questo conflitto.

Scene raccapriccianti, scenari in cui è chiaro l’obiettivo: cancellare la memoria di un popolo e costringerlo, con ogni mezzo, ad abbandonare la propria terra. In questa guerra contro Hamas, Israele ha voluto sistematicamente colpire ogni espressione della vita sociale: scuole, ospedali, banche, mercati e panifici.

Secondo un rapporto, pubblicato in questi giorni, dalla Banca Mondiale, il 45% degli edifici di Gaza è stata raso al suolo, il che significa che oltre un milione di persone ha perso definitivamente la propria abitazione. Nei quartieri di Beit Hanoun, nel nord della Striscia e di al-Zahraa nel sud di Gaza City, noto per le sue alte torri, sempre secondo il rapporto della Banca Mondiale, 34mila case su 55mila sono state completamente abbattute, con un tasso di distruzione pari al 60%. 

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è molto preoccupato per quanto sta accadendo nella Striscia e ha chiesto a Israele di interrompere le azioni di abbattimento di case e di edifici pubblici, come scuole e ospedali, sottolineando che ciò ostacolerà il rientro della popolazione nella Striscia dopo la fine della guerra. Già lo scorso novembre, il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto a un alloggio adeguato degli abitanti di Gaza, Balakrishnan Rajagopal, ha ammonito Israele per i danni provocati agli edifici; potrebbe configurarsi per Tel Aviv l’ipotesi di crimine di guerra.

Se da una parte nella Striscia di Gaza e nella Cisgiordania molte abitazioni vengono rase al suolo con la giustificazione che appartengono a terroristi, dall'altra il governo di Netanyahu sta accelerando l’iter governativo per dare il via libera alla costruzione di 7mila nuove abitazioni, che vanno ad aggiungersi agli altri 2 mila alloggi già approvati. Questo nuovo piano di espansione abitativa non farà altro che aumentare la diffusione degli insediamenti, legittimare gli avamposti già realizzati abusivamente dai coloni e aumentare la loro presenza in Cisgiordania. Il nuovo piano edilizio cozza con la politica del presidente Biden che sostiene, ormai pubblicamente, l’dea della creazione di uno Stato palestinese indipendente.

Anche il Regno Unito potrebbe riconoscere lo Stato palestinese, in seguito a un cessate il fuoco, senza attendere l’esito di negoziati che potrebbero durare anni. Lo ha detto il ministro degli Esteri britannico, l’ex primo ministro David Cameron. Ugualmente l'Unione Europea, tramite il suo Alto rappresentante Josep Borrell, ha affermato che la comunità internazionale dovrebbe imporre dall'esterno la soluzione dei “Due Stati”.

Che gli Stati Uniti siano preoccupati della situazione in Israele lo dimostra anche la presa di posizione dell'amministrazione americana, che per la prima volta, ha “sanzionato” i coloni israeliani. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha dichiarato: «Biden ha emesso un nuovo ordine esecutivo che stabilisce il potere degli Stati Uniti di imporre sanzioni finanziarie contro persone straniere coinvolte in azioni che minacciano la pace, la sicurezza o la stabilità della Cisgiordania. Le sanzioni, al momento, hanno coinvolto quattro cittadini israeliani «per i loro atti destabilizzanti in Cisgiordania».

Di fronte a questa immane tragedia, l'Unicef afferma che circa 17.000 bambini a Gaza non sono accompagnati e sono stati separati dalle loro famiglie. Il bilancio dei morti, nel frattempo, ha raggiunto la cifra di 27.131, mentre i feriti sono 66.287. Il conteggio rivisto delle vittime israeliane degli attacchi di Hamas del 7 ottobre è pari a 1.139 unità. Dall'inizio delle operazioni di terra sono morti 225 militari israeliani.



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