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WEIGEL

Il Papa che verrà: più GP III che Giovanni XXIV

Non confonderà le proprie opinioni personali con il costante insegnamento della Chiesa; accoglierà le critiche serie di coloro che condividono la responsabilità della Chiesa; e se si rivolge agli altri con durezza non dovrà sminuire né la sua né l'altrui dignità. Nel papato che verrà visto dagli occhi del biografo di Wojtyla, Weigel, si intravede in controluce una reazione al sistema Francesco. Più un Giovanni Paolo III che un Giovanni XXIV.   

Ecclesia 08_11_2021

Arriva in Italia “Il prossimo Papa” (The Next Pope) di George Weigel, pubblicato l’anno scorso in America da Ignatius Press e ora da noi da Fede & Cultura. Il teologo e biografo di Giovanni Paolo II tenta di prefigurare come dovrebbe essere e cosa dovrebbe fare il successore di Francesco, quello che quest’ultimo, da parte sua, ha già chiamato “Giovanni XXIV”. Nel libro vengono trattati tutti gli aspetti di una specie di “agenda papale”, non solo concentrata sulle cose da fare ma anche e soprattutto nel precisare il senso del ministero petrino in rapporto ai vari ambiti della vita della Chiesa e del mondo e soprattutto in ordine alla evangelizzazione, o nuova evangelizzazione, concetto che Weigel ama riprendere da Giovanni Paolo II.

La figura di quest’ultimo è molto presente nel libro, come uno dei punti di riferimento fondamentali per il nuovo papa. Questo è senz’altro dovuto anche alla familiarità di Weigel con un pontefice di cui ha scritto una ampia biografia, ma ha anche a che fare con la visione che Weigel esprime sulle necessità della Chiesa di oggi. Leggendo i vari capitoli del libro, il lettore sente crescere in sé la convinzione che, tutto sommato, la mente e il cuore di Weigel siano, più che per un Giovanni XXIV, per un Giovanni Paolo III. Intendiamoci, l’Autore esprime grande stima per Giovanni XXIII e valuta positivamente, anche se in modo troppo frettoloso, la sua apertura allo Spirito indicendo il Concilio, e pone in continuità con lui, anche questo in modo forse troppo frettoloso, sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI. A suo parere, proprio questa continuità dovrebbe essere ripresa da The Next Pope e rilanciata, per questo non è privo di fondamento leggere nel libro l’auspicio, mai dichiarato ma segnalato in controluce, di un Giovanni Paolo III.

Letto in questo modo, il libro è una descrizione in controluce anche delle linee portanti del pontificato attuale che, in rapporto alle esigenze dell’evangelizzazione che il prossimo papa dovrebbe far proprie, manifestano i propri lati oscuri. Possiamo fare a questo proposito molti esempi.

Weigel, da wojtyliano convinto, parla ancora di evangelizzazione e addirittura di nuova evangelizzazione. Concetti questi, soprattutto il secondo, di chiaro stampo di Giovanni Paolo II. Concetti che, però, oggi sono trascurati o addirittura abbandonati. Riparlarne e farne una necessità estrema della Chiesa del domani significa agganciare il discorso non a Francesco ma appunto a Giovanni Paolo II. L’espressione “nuova evangelizzazione” può assumere due significati. In un primo di essi vuol dire “diversa da quella di prima”, in un secondo significato vuol dire “quella di prima ripresa e nuovamente rilanciata”. Il primo significato è quello di Francesco, il secondo è quello di Giovanni Paolo II. Ma è chiaro che Weigel la usa in questo secondo significato e, quindi, non può impedire di segnalare indirettamente le oscurità del primo significato. Solo il fatto di parlare di “nuova evangelizzazione” quando ormai nessuno nella Chiesa di Francesco usa più questa espressione, mentre piuttosto si va diffondendo l’idea che simili pretese sarebbero macchiate di proselitismo, è una chiara scelta di campo.

Nel capitolo “Il prossimo papa e il ministero petrino” la tendenza a parlare di Giovanni Paolo III per parlare indirettamente anche di Francesco è palese. Si vedano le seguenti espressioni: “Il nuovo papa dovrà badare a non parlare in modo da confondere le proprie opinioni personali con il costante insegnamento della Chiesa” (p. 46); egli dovrà anche “accogliere e rispondere alle domande e critiche serie di coloro che condividono la cura e la responsabilità della Chiesa” (p.43); “La sua testimonianza può venir meno quando il papa si rivolge agli altri con una durezza tale da sminuire sia la propria dignità cristiana sia quella di coloro che critica” (p. 47). Ogni lettore vedrà in queste affermazioni delle indicazioni sul nuovo papato, ma anche delle osservazioni su quello attuale, troppo intuitivi i richiami.

Nello stesso capitolo e nel successivo, si dice che il nuovo papa dovrà confermare la prevalenza della Chiesa universale su quelle particolari e “dovrà richiamare le chiese locali ribelli, il cui interesse rivolto unicamente alla propria situazione le ponga de facto in stato di apostasia o di scisma” (p. 51). Si invita anche il nuovo papa ad evitare il “protagonismo papale”. Si precisa che “la dottrina è liberante e il cattolicesimo  può e deve caratterizzarsi tanto per la chiarezza dottrinale quando per la manifestazione della misericordia” (p. 55). Anche queste osservazioni sono facilmente interpretabili in contrapposizione di scelte e orientamenti assunti da Francesco.

Nel libro di Weigel ci sono anche varie ingenuità: una considerazione piuttosto spiccia del Vaticano II, un elogio non sufficientemente motivato del discorso Gaudet mater ecclesia di Giovanni XXIII, una valutazione edulcorata della caduta dello Stato pontificio del 1870, alcune ovvietà sulla riforma della Curia romana, e soprattutto l’idea che la funzione del papa nel mondo sia solo di carattere “morale” come ripetutamente viene detto. Vengono però assunte anche alcune posizioni chiare e utili, come la condanna dell’Ospolitik, la centralità della missione evangelizzatrice, la condanna del pauperismo e dell’interventismo sui problemi sociali senza una adeguata informazione.

Un libro critico su Francesco senza parlare di Francesco e senza auspicare Giovanni XXIV, ma pensando ad un Giovanni Paolo III.