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SINDACATO A DUE FACCE

I nemici dell'Articolo 18? Chiedete ai licenziati dalla Cgil

I sindacati minacciano scioperi e proteste se il governo procederà all'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ma se c'è un posto dove tale articolo non è mai stato applicato, questo è proprio il sindacato. Che è libero di licenziare come e quando vuole i suoi dipendenti. Chiedetelo ai licenziati della Cgil. 

Politica 23_09_2014
La segretaria della Cgil Susanna Camusso

Nell’Italia dei diritti sindacali, del Sacro Romano Statuto dei Lavoratori e del "giù le mani dall’Articolo 18", c’è una terra di nessuno, una free zone dove poter licenziare senza limiti e protetti dallo sceriffo. Un eden di puro capitalismo selvaggio dove il lavoratore ha sempre e comunque torto. Ma dove? Forse nelle fabbrichette della Brianza come nel film di Paolo Virzì? O nella frontiera di Nord Est dove il “capitale umano” parla arabo e prega islamico? Macché: i mobilieri brianzoli da tempo hanno chiuso baracca e burattini e si sono fatti assumere all’Ikea; in Veneto gli imprenditori, venduti i capannoni ai cinesi, hanno menato le tolle in Romania e Lettonia. E allora, dov’è questa promise land dei senza diritti e dei fogli di via senza ritorno? Sorpresa: è nel sindacato, nel territorio targato Cgil, Cisl e Uil dove articolo 18 e giusta causa sono parole da sempre all’indice.

Un bel paradosso, non c’è che dire, che fa del sindacato il luogo di lavoro più a rischio e pericoloso, dove chi lavora per difendere i diritti dei lavoratori può essere messo alla porta senza tanti riguardi. Nella Cgil di Susanna Camusso, in particolare, i licenziamenti sono in aumento e sempre più dipendenti si rivolgono al giudice per denunciare l’iniquo trattamento. Alcuni di loro, due anni fa, hanno aperto un blog internet dal nome inequivocabile: licenziati-dalla-cgil (clicca qui), un sito per organizzarsi e raccogliere le storie di tutti i precari traditi dal sindacato comunista. Chiariamo: tutti i sindacati, non solo la Cgil, hanno libertà di licenziamento perché c’è una legge che lo consente. A loro, in quanto associazioni non riconosciute, come ai partiti politici, non si applica lo Statuto dei lavoratori, quindi neppure il famoso articolo 18 che considera nullo il licenziamento quando avviene senza giusta causa o giustificato motivo. Non solo: Cgil, Cisl e Uil godono di altri privilegi, come la fiscalità di vantaggio, i contributi pubblici per le attività fiscali e di patronato per milioni di euro, i contributi pubblici per l'editoria e le esenzioni su Imu. Senza calcolare, poi, le collocazioni ben pagate nei consigli di amministrazioni di enti pubblici, di aziende partecipate o municipalizzate. Nello specifico ambito dei diritti dei lavoratori, la mancata attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, che prescrive una legge per la disciplina dell’attività sindacale, ha sempre permesso alle organizzazioni dei lavoratori di operare in deroga. E quando i dipendenti dei sindacati vogliono protestare per avere tutela dei propri diritti, non sanno bene a chi rivolgersi, considerato che i sindacati sono parte del problema e non della soluzione. Anzi, sono proprio la controparte.

Manifestazione a difesa dell'articolo 18

Tutto legale, insomma, e ci mancherebbe. Ma la contraddizione è evidente e dal sindacato ci si aspetterebbe coerenza politica e morale almeno su quei principi che costituiscono la sua stessa ragione di esistenza. È quello che chiede anche Luca Lecardane, ex lavoratore Cgil di Palermo, oggi disoccupato e con un mutuo da pagare. Sul sito dei “licenziati Cgil” Luca racconta di essere stato assunto nel 2006 per riorganizzare l’Ufficio vertenze: un lavoro a tempo pieno, dal lunedì al venerdì. Un anno dopo viene trasferito all’Ecap come operatore amministrativo con contratto part-time. Poi, all’improvviso, il licenziamento comunicato con una lettera dove la Cgil gli dice che era «solo un volontario». Un’altra storia viene da Cosenza, dove il segretario provinciale della Nidil-Cgil, il settore che per giunta si occupa dei diritti dei lavoratori atipici, Umberto Macchione, ha fatto ricorso al giudice del Lavoro dopo aver lavorato 9 anni da precario per il sindacato. La notizia esce sui quotidiani locali e, il giorno dopo, Macchione (che non percepisce alcuna retribuzione da 14 mesi) trova la serratura del suo ufficio cambiata. «Mi hanno detto che non sono gradito», accusa, «perché ho denunciato questa ingiustizia. Domando al segretario Susanna Camusso come il sindacato più importante d’Italia possa garantire i lavoratori se non riesce a farlo neanche con i suoi dipendenti?». 

Se lo chiede anche Alma Bianco da Messina. Dopo mesi di carte bollate, il Tribunale le riconosce 5mila euro di arretrati che il sindacato aveva sempre sostenuto di aver già pagato. La Cgil si è vendicata accusando la Bianco di aver distratto dei fondi, firmando assegni e falsificando la firma del segretario generale. «Ma ero autorizzata», racconta la donna sul blog, «mi dicevano “il segretario non c’è, Alma firma e paga tu”». L’ex dipendente dice che il meccanismo andava avanti da 20 anni. Sul sito dei licenziati Cgil c’è questo e altro: si denunciano epurazioni, episodi di mobbing, gestioni disinvolte, bilanci che non stanno in piedi, dirigenti che si muovono al confine di norme e leggi. Denunce e accuse da verificare, certo, tranne una: il sindacato ha sempre violato l’articolo 18.