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MORTE VS VITA

Hollywood ricatta la Georgia che vuole ridurre gli aborti

115 divi di Hollywood, tra cui Alec Baldwin, Sean Penn, Natalie Portman e Ben Stiller, hanno firmato una lettera minacciando il boicottaggio della Georgia nel caso dovesse passare una legge che accrescerebbe le protezioni verso i nascituri dal momento in cui è rilevabile il battito del cuore. Al delirio d'onnipotenza dei colleghi ha dato una bella risposta Ashley Bratcher, attrice di Unplanned.

Vita e bioetica 05_04_2019

Perché attori di grido come Alec Baldwin, Mia Farrow, Eva Longoria, Sean Penn, Natalie Portman, Ben Stiller, Naomi Watts e decine di altri divi hollywoodiani si sono improvvisamente coalizzati contro lo Stato americano della Georgia? La risposta sta in un disegno di legge d’iniziativa repubblicana - l’HB 481, detto anche Living infants fairness and equality (Life) Act - che sostanzialmente proibisce gran parte degli aborti dal momento in cui è rilevabile il battito del cuore del bambino in grembo, specificando che ciò si può riscontrare già verso le «sei settimane di gestazione».

Il testo prevede una serie di eccezioni (la possibilità di abortire in caso di stupro, incesto, pericolo di vita o menomazione irreversibile di una rilevante funzione corporea della donna, asserita impossibilità per il bambino di sopravvivere dopo il parto) che lo indeboliscono sul piano della difesa del nascituro: questo per dire che la proposta repubblicana è sì migliorativa rispetto alla legge oggi in vigore (aborto legale fin verso il 6° mese) ma si tratta pur sempre di un compromesso influenzato dalle condizioni storico-politiche e dalla mentalità dominante, che tuttavia lo respinge perché - nella sua veste sempre più radicale - concepisce solo l’aborto libero sempre e comunque.

Il Life Act è stato approvato, con modifiche, al Senato della Georgia il 22 marzo e adesso è di nuovo all’esame della Camera, con buone probabilità di passare definitivamente. Il governatore Brian Kemp, un repubblicano pro life, ha già fatto sapere di essere pronto a firmare il testo, la cui entrata in vigore è prevista per l’1 gennaio 2020. Salvo ostacoli. Anche qualora dovesse divenire legge, è molto probabile che l’HB 481 venga cassato dai giudici alla luce della Roe contro Wade (la sentenza della Corte Suprema che nel 1973 ha imposto la legalizzazione dell’aborto in tutti gli Stati Uniti), come avvenuto in passato per leggi simili approvate in altri Stati federati. Un potente gruppo laicista come l’Aclu e l’industria dell’aborto hanno del resto preannunciato azioni legali nel caso venissero approvate le nuove norme. E al loro fianco, come accennato, molte star di Hollywood hanno deciso di giocare in anticipo sfruttando il loro potere di condizionamento, che si unisce a sua volta a quello della grande stampa.

Poco dopo il voto al Senato, l’attrice, cantante e stilista Alyssa Milano ha pubblicato un tweet che recita così: «Ci sono oltre 20 centri di produzione cinematografica in Georgia e lo Stato ha appena votato per strappare alle donne la loro autonomia corporea. Hollywood! Dovremmo smettere di alimentare l’economia della Georgia. #HB481IsBadForBusiness». Già solo l’hashtag utilizzato («l’HB 481 è cattivo per il business») la dice lunga sulla cultura materialista di Alyssa e compagni, che credono si possa barattare la difesa della vita con il denaro, rivelando di mancare anche di quel po’ di sacro timor di Dio che li avrebbe risparmiati da tanta tracotanza. A quel tweet della Milano ha fatto seguito una lettera rivolta al governatore Kemp e allo speaker della Camera, David Ralston, che al 2 aprile risultava firmata in tutto da 115 stelle del grande e piccolo schermo.

«Come attori, il nostro lavoro ci porta spesso in Georgia», è l’incipit della lettera, che prosegue ricordando «l’alta qualità» degli hotel e ristoranti dove si sono serviti nel tempo gli stessi attori, i quali sono stati «lieti di portare miliardi di dollari al fisco per sostenere le scuole, i parchi e le comunità della Georgia». Quanta carità, eh? L’ipocrisia della missiva non ha ancora raggiunto il suo culmine. Prosegue così: «Ma noi non possiamo in buona coscienza continuare a raccomandare alla nostra industria di rimanere in Georgia se l’HB 481 diventerà legge». Dopo qualche considerazione radical-femminista, condita da bugie sul Life Act, i divi affermano: «Non possiamo immaginare che dei funzionari eletti debbano dire ai loro elettori: “Ho approvato una legge che è così malvagia da far andare via miliardi di dollari dall’economia del nostro Stato”. Non è il più efficace slogan da campagna [politica], ma siate certi che noi lo faremo vostro se [la legge] dovesse passare». Sarebbe malvagio accrescere la protezione verso i nascituri?

Ed ecco la ciliegina sulla torta di questo delirio d’onnipotenza: «Vogliamo rimanere in Georgia. Vogliamo continuare a sostenere le meravigliose persone, attività e comunità» dello Stato, «ma noi non faremo ciò in silenzio, e faremo ogni cosa in nostro potere [la parola chiave dell’intera vicenda, ndr] per far spostare la nostra industria in uno Stato più sicuro per le donne se l’HB diventerà legge». Questo saggio di alta poesia dei cantori della “libera scelta” si conclude con un bel paradosso. Leggiamo: «Avete una scelta, signori. Preghiamo che facciate quella giusta. Con Amore per il Popolo della Georgia e in Solidarietà con le Donne».

Beh, scrivere la parola «Amore», per giunta con la maiuscola, in una lettera che vincerebbe a mani basse un eventuale Oscar al miglior ricatto della storia… non ha bisogno di ulteriori commenti. Ma forse si può ringraziare Alyssa Milano, e gli altri 114 firmatari, perché magari qualcuno potrà aprire gli occhi e comprendere che l’aborto procurato, togliendo deliberatamente la vita a un innocente, è una falsa libertà: in quanto tale, incatena alla menzogna. Come se non bastassero gli attori, pure il sindacato degli sceneggiatori - il Writers Guild of America - ha scritto la sua lettera, con minacce di ripercussioni economiche espresse in modo simile al delizioso linguaggio della Milano.

Una bella risposta a quest’ultima l’ha data la collega Ashley Bratcher, colei che interpreta Abby Johnson (l’ex dipendente della Planned Parenthood convertitasi alla causa pro life dopo aver assistito a un aborto guidato dagli ultrasuoni) in Unplanned, il film che sta raccogliendo un grande successo di pubblico malgrado i vari tentativi di censura messi in atto dalla cultura liberal. Da buona abitante della Georgia, la Bratcher ha scritto una lettera aperta dicendosi «incredibilmente fiera del mio Stato d’origine per aver preso posizione nella lotta per la vita», lotta (vinta) grazie alla quale lei stessa, come le confidò in lacrime sua madre durante le riprese del film, è potuta venire alla luce. «Com’è triste che i crediti d’imposta siano un argomento più importante della santità della vita umana», ha scritto ancora la Bratcher, ponendo la femminista Milano di fronte a questo interrogativo: «[C’è] un problema, ti stai dimenticando dei diritti delle donne dentro il grembo materno. Se il femminismo riguarda gli uguali diritti, dove sono allora i loro diritti?».