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SERVIZI PUBBLICI

Grazie al referendum ci costerà di più il bus

In Italia il costo dei servizi di trasporti pubblici è quasi il triplo rispetto al Regno Unito. Non a caso: e l'esito del referendum peggiorerà la situazione.

Attualità 22_06_2011
bus
E’ stato presentato come il “referendum sulla privatizzazione dell’acqua” ma, come sanno molti fra i lettori della Bussola Quotidiana, così non era. Il quesito sottoposto agli elettori che lo hanno approvato quasi all’unanimità, aveva come oggetto le modalità di affidamento della gestione dei servizi idrici ma anche della raccolta dei rifiuti e dei trasporti pubblici locali.

La normativa abrogata prevedeva che la procedura standard per l’appalto dei servizi fosse quella della gara tra più operatori. Nulla di straordinario. E’ la stessa procedura adottata dagli enti pubblici per l’acquisto di beni e servizi. Che si tratti di computer, mense, farmaci o altro, si predispone un bando e si attribuisce l’incarico di fornitura alla ditta che presenta l’offerta economicamente più vantaggiosa. La vera anomalia del decreto Ronchi era la previsione della possibilità di partecipazione alle gare anche di aziende sotto il controllo dello stesso ente appaltante. E’ evidente il conflitto di interesse. Da un lato, l’ente locale dovrebbe mirare allo sviluppo della massima concorrenza ma questo obiettivo confligge con il prevedibile desiderio di tutelare la “propria” azienda.

Ciò nondimeno, il decreto Ronchi non imponeva affatto la privatizzazione di tutte le aziende pubbliche. L’obbligo di cedere una quota parte delle azioni era previsto solo nel caso in cui non si volesse ricorrere ad una procedura concorrenziale. La ratio del provvedimento era quella di promuovere l’efficienza, pur in assenza di competizione fra più soggetti, facendo leva sull’incentivo al contenimento dei costi da parte del socio privato.

Questa situazione avrebbe dovuto essere l’eccezione e non la regola.
Un’azienda pubblica più efficiente di quelle private avrebbe vinto la gara e continuato a svolgere il servizio. Con l’abrogazione della norma questo non accadrà più.

Una società controllata da un ente  locale inefficiente non avrà alcun incentivo a ridurre i costi o a migliorare il servizio ed è facile pronosticare che dovremo ancora a lungo convivere con una realtà che lascia assai a desiderare. Come ha scritto Giuliano Amato in un volume di qualche anno fa: “Col passar del tempo nel mondo dei servizi pubblici hanno prevalso ragioni ben diverse da quelle della difesa degli utenti. È capitato, pian piano, che nel corso del secolo gli interessi elettorali del padrone politico avessero la meglio su quelli dei cittadini. Ecco, allora, che il numero dei dipendenti di molte aziende pubbliche è cresciuto ben oltre le esigenze dell’impresa. E questo sovraccarico di personale ha significato un maggiore aggravio economico per gli utenti o per i contribuenti: tutti i lavoratori in più, infatti, venivano pagati o attraverso aumenti delle tariffe o attraverso le tasse. Nella situazione di monopolio, inoltre, la gestione del servizio ha finito per risentire dell’assenza di stimoli imprenditoriali veri. Il management delle imprese si è arreso di fronte a sindacati sempre più forti. Ha rinunciato a fare la sua parte. Così si sono determinate situazioni che vanno oltre la più fervida fantasia”.

Per farsi un’idea di ciò che sarebbe potuto accadere se il referendum non fosse passato, può essere utile dare uno sguardo a quanto successo nel Regno Unito a partire dalla seconda metà degli anni '80 nel settore del trasporto collettivo locale. All’epoca venne attuata la privatizzazione della società che gestiva i servizi a Londra e di tutte le altre aziende municipalizzate. I risultati della liberalizzazione non tardarono ad emergere. Sia nella capitale che nel resto del Paese i costi di produzione dei servizi (già allora più bassi di quelli italiani di oggi) vennero praticamente dimezzati.

Se poniamo a confronto un’azienda pubblica che opera oggi in una grande area urbana del nostro Paese con un’analoga impresa privata di oltre Manica scopriamo che la prima per far viaggiare un bus per un chilometro spende quasi il triplo della seconda (all’incirca 4 euro contro 1,5).
È un po’ come se una casa automobilistica italiana vendesse un modello analogo a quello prodotto da un’industria inglese a 40mila Euro invece che a 15mila.

Tale enorme divario non dovrebbe stupirci più di tanto. Basta immaginare quale potrebbero essere i costi e la qualità delle auto prodotte da FIAT, Volkswagen, Renault o da un qualunque altro costruttore se, invece di dover affrontare l’accanita competizione delle altre case automobilistiche, ciascuna di esse avesse il monopolio legale della vendita di auto in Italia, Germania o Francia.

Probabilmente senza esserne del tutto consapevoli, i promotori del referendum hanno fatto un enorme favore a chi, dipendente o dirigente di un’azienda pubblica, gode di una condizione privilegiata rispetto a chi è impiegato nel settore privato.

Il conto lo pagheranno gli utenti che subiranno tagli del servizio o aumenti delle tariffe  oppure, più probabilmente, i contribuenti in termini di maggior prelievo fiscale necessario per raccogliere le risorse destinate a coprire i più elevati deficit delle società del settore.