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watergate vaticano

La domanda scomoda sulla Messa in latino manda Bruni in tilt

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Documenti alla mano, Diane Montagna rivela che la maggioranza dei vescovi non chiedeva restrizioni al rito antico, come invece scrisse Papa Francesco. Il direttore della Sala Stampa non conferma e non smentisce, ma vacilla. E non lascia rispondere il segretario del Culto Divino.

Ecclesia 04_07_2025
GIULIANO DEL GATTO - IMAGOECONOMICA

Nel 2021 Francesco aveva detto di voler abrogare la liberalizzazione della cosiddetta Messa tridentina sulla base di una consultazione dei vescovi fatta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede un anno prima e che avrebbe fatto pervenire a Roma risposte rivelatrici di una situazione che – scriveva Bergoglio – «mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire» perchè «la possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI (...) è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni».

Quattro anni dopo una giornalista, la statunitense Diane Montagna, ha rivelato che non era vero: la maggioranza dei vescovi consultati che avevano applicato il motu proprio Summorum Pontificum si erano dichiarati soddisfatti e, anzi, avevano messo in guardia l'ex Sant'Uffizio sui rischi di un'eventuale restrizione. Una clamorosa verità messa nero su bianco dalla Congregazione per la Dottrina della Fede in un rapporto che fu consegnato a Francesco e che presentava un ritratto della situazione molto diverso da quello riportato in Traditionis Custodes  e nella lettera d'accompagnamento ai vescovi.

Quello di Montagna è un Watergate vaticano e, documenti alla mano, indica che il Papa defunto ha mentito per giustificare la sua decisione di limitare le celebrazioni in forma straordinaria, attribuendone la volontà all'episcopato e all'attuale Dicastero per la Dottrina della Fede.
Questo ribaltamento della volontà maggioritaria fa uscire a pezzi l'immagine di un pontificato incentrato sui proclami sulla sinodalità e sulla collegialità. Ma sia chiaro: Francesco poteva abrogare il Summorum Pontificum nonostante il parere di vescovi perché, come sosteneva Ratzinger, la Chiesa non è una democrazia.

Di fronte ad una «bomba» simile, esplosa inevitabilmente in tutto il mondo e capace di suscitare centinaia di migliaia di reazioni, come ha reagito la comunicazione della Santa Sede? Ieri in Sala Stampa si è tenuta la conferenza di presentazione del nuovo formulario della Missapro custodia creationis”. Tra i relatori c'era monsignor Vittorio Francesco Viola, segretario del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e dunque uno dei massimi esecutori di Traditionis Custodes visto che il motu proprio affidava proprio al suo dicastero l'osservanza delle disposizioni. Inevitabile, dunque, che trovandosi di fronte mons. Viola, una giornalista (Hannah Brockhaus di CNA) sentisse il bisogno di fargli una domanda sullo scoop di Montagna e di sollecitare un chiarimento. A quel punto, però, ha preso la parola il direttore della Sala Stampa Matteo Bruni per bacchettare la giornalista, dicendo: «non mi pare che sia una domanda pertinente».

Forse Bruni dimentica che non è suo compito dare giudizi sulle domande dei giornalisti. Il direttore, sebbene non abbia alle spalle una carriera giornalistica, dovrebbe sapere che gli operatori dell'informazione danno sempre la priorità alla notizia: è del tutto naturale mettere in secondo piano l'argomento di una conferenza se si ha di fronte un interlocutore direttamente interessato ad una questione così dirompente e su cui non ci sono stati pronunciamenti ufficiali.

Bruni ha cominciato male, ma ha finito peggio il suo intervento. Evidentemente prevedendo che la domanda «non pertinente» sarebbe arrivata (a maggior ragione se se la aspettava, era davvero necessario quell'appunto paternalistico sulla non pertinenza?), aveva sotto gli occhi un foglio dal quale ha letto con una certa titubanza. «Io non confermo l’autenticità dei testi – ha detto il direttore della Sala Stampa – che sono stati pubblicati e riguarda presumibilmente parte di uno dei documenti su cui si è fondata la decisione, e come tale alimenta una ricostruzione anche molto parziale e incompleta del processo decisionale».

Dunque Bruni «non conferma» che in italiano significa quindi che nemmeno smentisce. Poi, ancora, pronuncia un giudizio non richiesto sulla ricostruzione divenuta pubblica, quattro anni dopo, grazie al lavoro meticoloso e inattaccabile di Diane Montagna. «Alla consultazione citata tra l’altro si è infatti unita successivamente altra documentazione, altri rapporti riservati, anche frutto di ulteriori consultazioni che sono pervenute al Dicastero per la Dottrina della Fede».

E qui sarebbe lecito chiedere quale sarebbe l'«altra documentazione» tirata in ballo dal direttore della Sala Stampa dal momento che Francesco in Traditionis Custodes non parlava né di rapporti riservati né di ulteriori consultazioni, ma esclusivamente della «capillare consultazione dei vescovi nel 2020» e del «parere della congregazione per la dottrina della fede». Entrambi, come abbiamo scoperto grazie a Montagna, contrari alle restrizioni. Chiaramente l'incerta «non conferma» di Bruni lascia il tempo che trova e ormai a tre giorni dalla pubblicazione dello scoop tutti danno per buona quella che il direttore ha definito una ricostruzione «molto parziale e incompleta del processo decisionale».

È comprensibile l'imbarazzo della Santa Sede di fronte ad una rivelazione scomoda per la memoria di un Pontefice, ma non si può pensare di gestire una notizia così, circolata in tutto il mondo, come se fosse un fastidioso imprevisto da liquidare in pochi secondi con formule  contorte («non confermo») e buttando lì nuovi e fumosi elementi mai menzionati prima («rapporti riservati»). Dopo la tregua di questi dodici anni, la guerra mediatica al papato vista negli anni di Benedetto XVI potrebbe riprendere con un Papa così popolare tra i cattolici qual è Leone XIV. È in questo modo, con un foglietto di poche righe leggiucchiato distrattamente, che la comunicazione vaticana pensa di poter tutelare Prevost di fronte a possibili crisi ed attacchi che ci saranno dal mondo dell'informazione tradizionalmente ostile alla Chiesa? 



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