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TORINO

Il Tar ferma la Stanza dell'ascolto, ma il progetto va avanti

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La sentenza del Tar ferma la Stanza dell'ascolto del Sant'Anna di Torino solo perché mancano i requisiti di arruolamento del personale volontario da parte del Cav. «Ma il progetto è stato ritenuto legittimo dai giudici e nella nuova convenzione correggeremo l'errore», conferma alla Bussola l'assessore Marrone. 

Vita e bioetica 04_07_2025

La recente sentenza del Tar Piemonte che ferma la Stanza dell’ascolto dell’Ospedale Sant’Anna di Torino è una battuta d’arresto, ma non è la fine di un progetto fortemente voluto dalla Regione per offrire alle donne, che intendono abortire un luogo di conforto e di aiuto. La decisione dei giudici, dopo il ricorso di Non una di meno da un lato ferma solo temporaneamente l’attività portata avanti dal Cav di Rivoli e Federvipa, ma non ferma il principio di legittimità della struttura ospedaliera torinese. I giudici, infatti, hanno confermato la piena regolarità dell’iniziativa pro life, ma hanno soltanto fermato la sua attività perché i requisiti di accreditamento del personale volontario non sono stati inseriti nella convenzione tra il Cav e l’ospedale.

È per questo che i promotori della stanza, attiva da settembre 2024 al Sant’Anna, hanno reagito con dispiacere, ma con speranza alla sentenza del Tar.

«Viene evidenziato – si legge in una nota stampa del Cav di Rivoli - il difetto di legittimazione attiva della CGIL che viene estromessa dal giudizio, in quanto il loro Statuto non contempla finalità riferibili alla legge n. 194/1978 e alla sua applicazione. Dunque nessun diritto delle lavoratrici viene violato dalla stanza come aveva sostenuto il sindacato in moto totalmente pretestuoso e infondato».

Ma il TAR ha inoltre respinto i motivi di ricorso che affermavano una presunta violazione della legge 194, precisando che «viene affermata la piena legittimità del servizio di volontariato da noi promosso nella Stanza dell'Ascolto, dichiarando chiaramente che ciò è lecito che avvenga anche in una struttura ospedaliera e non solo in un consultorio. Il TAR poi di fatto si limita solo a contestare all'azienda ospedaliera di non aver scritto nella convenzione la verifica in concreto dei requisiti di professionalità, esperienza e formazione in capo ai volontari e alle volontarie».

C’è ottimismo, dunque, e l’ottimismo è ribadito anche dall’assessore regionale al Welfare della Regione Piemonte Maurizio Marrone, che in questa intervista alla Bussola, chiarisce i termini della questione e illustra le prossime tappe per poter riaprire al più presto una struttura che rappresenterebbe qualcosa di innovativo nella cultura pro life degli ospedali italiani.

Assessore, come stanno le cose?
Il ricorso si attaccava alla presunta violazione della legge 194 facendo leva su due motivazioni che sono state rigettate dal Tar.

Perché allora la sentenza è negativa?
Perché vi era una terza motivazione addotta che invece è stata accolta e riguarda l’obbligo da parte dell’azienda ospedaliera di effettuare una verifica di professionalità sui volontari della struttura.

E questa non è stata fatta?
Non proprio. Per la verità è un paradosso perché questo controllo di possesso dei requisiti lo fa già l’Asl a monte su tutti i Centri di Aiuto alla Vita quando chiedono l’iscrizione nel registro. E ovviamente il Cav di Rivoli ha le carte in regola per questo.

E quindi?
È stato un equivoco nella misura in cui il Tar potesse non sapere che esiste questo elenco. Il paradosso è che noi sappiamo che l’associazione assegnataria della Stanza ha le figure professionali e con l’esperienza necessaria. Nei mesi scorsi, prima dell’attivazione e subito dopo avevano concordato e svolto sedute di formazione portate avanti dal personale dell’ospedale. È vero, però, che non c’è scritto in convenzione, ma è scritto nei fatti quindi questo criterio è già stato affrontato e soddisfatto.

Quindi basterebbe risolvere questa lacuna con una nuova convenzione e riaprire?
Sì. Non stappo le bottiglie, perché è comunque una sentenza avversa, ma apre alla possibilità di un nuovo provvedimento per una convenzione nuova che rilanci nella sua continuità l’attività ella Stanza.

Politicamente però è una vittoria perché la legittimità della Stanza non è stata messa in discussione…
E questo è vero. Negli altri due motivi di ricorso delle femministe di Se non ora quando – perché il ricorso della Cgil spalleggiata dal Pd era già stato respinto - hanno detto che non si può realizzare una stanza dell’ascolto perché possono farlo solo i consultori, invece il passaggio politicamente più importante della sentenza sta nel fatto che si riconosce che la 194 all’articolo 2 comma 2 legittima l’allestimento in ospedale di un servizio di questo tipo. Semplicemente aggiunge che l’azienda doveva essere più precisa e scrupolosa nella scelta del personale. E questo verrà sicuramente aggiustato adesso.

Ora la stanza sarà chiusa o proseguirete come se nulla fosse?
È una provvisoria battuta di arresto lo ammettiamo, pertanto la Stanza è già chiusa anche se nulla vieta che possa rimanere aperta aggiustando in corso d’opera le cose perché non si tratta di una legge regionale, ma di un provvedimento aziendale. Ma noi vogliamo fare le cose fatte per bene. Abbiamo già avviato il confronto con l’azienda ospedaliera e ho già parlato col mio collega alla Sanità Federico Riboldi. Inseriremo nella nuova convenzione al servizio quel requisito sul quale l’attuale convenzione non si soffermava perché lo dava già per acquisito.

Che dati avete sul primo anno della Stanza dell’Ascolto?
La stanza è partita da un anno al Sant’Anna, ma vuoi per alcuni lavori di restauro, vuoi per la fase di formazione del personale, è operativa da settembre.

E quanti accessi avete avuto?
Ci sono stati 14 colloqui telefonici che hanno portato a sei appuntamenti in presenza di donne prese in carico.

Quindi potete dire che almeno sei donne hanno potuto continuare la gravidanza grazie alla Stanza?
Sì, ma io sono d’accordo con quanto sostengono da sempre i volontari del Cav: se anche solo una madre è stata aiutata in questi mesi, noi lo riteniamo un successo. E sei vite salvate non sono poche per una struttura appena nata.



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