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ECONOMIA

Fisco, il federalismo è tutta un'altra cosa

L'accordo Stato-Regioni è ancora nell'ottica della gestione centralizzata e inefficiente. Un paragone impietoso con la Svizzera.

Attualità 17_12_2010
fISCO

Sembra che il presidente del Piemonte, Roberto Cota, abbia definito “epocale”  l’accordo cui si è giunti ieri in sede di Conferenza Stato-Regioni a proposito del cosiddetto federalismo fiscale. C’è  davvero da esserne sorpresi: quello che oggi in Italia viene chiamato federalismo fiscale è in effetti un semplice  meccanismo di nuova ripartizione di imposte che continuano a essere stabilite dal governo centrale e a venire raccolte e distribuite sotto l’ègida della sua amministrazione finanziaria: pertanto tutto ciò che accade in tale quadro non ha mai nulla di autenticamente federale. Manca quindi per definizione a uno degli obiettivi principali del federalismo: la razionalizzazione e quindi la riduzione della spesa pubblica, e dunque delle imposte.

Fa un po’ specie che un giudizio così sproporzionatamente entusiastico riguardo all'ennesima applicazione della pratica «io do una cosa a te, tu dai una cosa a me» andata in scena ieri a Roma venga da una figura di primo piano della Lega. Sentirlo dire da un notabile del partito che pretende di essere l’antesignano del federalismo nel nostro Paese fa venire i brividi. Siccome nella Lega si dovrebbe sapere che cosa è il federalismo, le ipotesi sono due: o Cota e i suoi sperano di stare così avviando un processo che andrà ben oltre la lettera delle legge e dei suoi decreti attuativi, oppure anche loro – malgrado tutte le loro intemperanze verbali –  non sono immuni dalla tendenza a scambiare le primogeniture con i piatti di lenticchie, eredi a sorpresa in questo della DC buonanima.

L’altro ieri l’OCSE, l’organizzazione internazionale dei paesi più industrializzati del globo, ha pubblicato a Parigi i primi dati provvisori per il 2009 relativi al rapporto pressione fiscale/ produzione nazionale lorda negli Stati membri. Sulla stampa italiana ci si è in proposito per lo più concentrati a parlare del fatto che dentro l’Unione Europea col 43,5 di pressione fiscale il nostro Paese ha superato il Belgio e cosette del genere. Sarebbe comunque stato più importante sottolineare quanti punti in meno ha la Germania, nostro primo  partner commerciale, e soprattutto la Polonia, che dentro l’Unione è il nostro più importante concorrente in diversi settori manifatturieri tra cui in primo luogo quello dell’auto e degli altri mezzi di trasporto. 

E’ rimasto ad ogni modo in ombra un elemento che è fondamentale: i Paesi davvero federali, come la Svizzera, gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia,  hanno una pressione fiscale che o è addirittura inferiore (si veda il 24 per cento degli Stati Uniti) oppure si aggira attorno  al 30 per cento,  mentre tutti i maggiori Paesi centralizzati, compresa quindi l’Italia, sono sopra il 40 per cento di pressione fiscale.

E’ per noi particolarmente significativo il caso della Svizzera, Paese col quale confiniamo o dove il livello di qualità della pubblica amministrazione è evidentemente superiore al nostro. In Svizzera la pressione fiscale è pari al 30,3 per cento, oltre dieci punti in meno della nostra. Che cosa garantisce tale stato di cose? Non chissà quale sistema di controllo bensì alcuni semplici ma efficaci principi: chi decide la spesa è anche colui che decide le imposte, essendo pienamente responsabile di fronte ai propri elettori sia della prima che delle seconde; pertanto, al di sotto di un “tetto” massimo di prelievo valido per tutti, nei campi di imposizione ad esso riservati ogni Comune e ogni Cantone  può ridurre le imposte fin dove vuole. Questo provoca una positiva concorrenza al ribasso della pressione fiscale tra Comuni e Cantoni, orientata ad assicurare ai cittadini e ai residenti il massimo dei servizi richiesti al minor costo possibile. E siccome si possono fare referendum popolari anche in materia fiscale pure il governo federale è perciò soggetto a un effettivo controllo della spesa.

Il diritto di referendum in materia fiscale è decisivo perché in questo campo un governo può magari imbambolare un Parlamento (specialmente quando come quello italiano è fatto di persone che di regola vivono solo di politica), ma non la massa degli elettori. Se sono certo che la cattiva amministrazione e l’evasione fiscale mi costeranno più tasse l’anno venturo, o viceversa che la buona amministrazione e la correttezza fiscale me le faranno diminuire, non c’è bisogno della Guardia di Finanza (che infatti  in Svizzera non esiste) perché la Guardia di Finanza dei miei concittadini e del mio sindaco sono io stesso.

E’ una cosa distante anni-luce dalla realtà del nostro Paese? E’ vero, ma siccome il collasso dell’economia italiana è invece dietro l’angolo c’è da sperare che quegli anni-luce vengano percorsi in un battibaleno.