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IL CASO

Facebook va alla guerra di Bosnia

Bloccati migliaia di profili facebook in Croazia, per aver criticato la sentenza del Tribunale dell'Aja con la quale sono stati condannati sei croati per crimini compiuti durante la guerra degli anni '90. Un'opera di censura di massa senza precedenti.

Esteri 16_12_2017
Il generale Slobodan Praljak

Che Facebook non sia una piattaforma social dove vige la libertà di parola è risaputo. Basta vedere in Italia a quanti il profilo Facebook sia stato più volte bloccato per avere difeso la famiglia e la vita. 

Tuttavia, in questi giorni in Croazia e in Bosnia-Erzegovina sta accadendo qualcosa di molto più grave. Migliaia di profili Facebook, prevalentemente di utenti e portali on-line croati vengono bloccati d’autorità. Ciò accade per avere ritenuto ingiusta la sentenza della Corte di Appello del Tribunale Internazionale dell’Aja con la quale sono stati condannati sei croati, politici e militari, responsabili della Repubblica croata di Herceg-Bosna ai tempi della guerra degli anni Novanta, e avere espresso solidarietà e cordoglio per la morte di uno dei sei condannati, il generale Slobodan Praljak, suicidatosi in aula ingerendo un veleno dopo che era stata confermata la sua condanna.

Sono stati bloccati profili di personaggi pubblici quale ad esempio Zeljka Markic, presidente del movimento U ime obitelji (Nel nome della famiglia) e del portale di riferimento del medesimo movimento, narod.hr, di notissimi sacerdoti come don Damir Stojic, salesiano, e padre Ike Manduric, gesuita, del giornalista e conduttore televisivo Velimir Bujanec, nonché di migliaia di altri utenti privati, non soltanto in Croazia e in Bosnia-Erzegovina, bensì anche presso la diaspora croata in Europa e nel resto del mondo.

Al portale direktno.hr è stato cancellato dal profilo il post di un articolo che riportava il commento critico sulla sentenza, di un opinionista del quotidiano Novi List di Fiume, e che il giornale stesso, di sinistra, aveva rifiutato di pubblicare; nonché un altro post che mostrava la fotografia del defunto generale Praljak in Trg Bana Jelacica, la principale piazza di Zagabria, e oggetto del commosso omaggio di moltissimi cittadini che avevano posto, sostando in preghiera davanti a essa, fiori e ceri.

È stato bloccato anche il profilo del settimanale Hrvatski Tjednik dopo la pubblicazione di un post nel quale si annunciava l’uscita di un numero speciale sul generale Praljak e la sentenza dell’Aja.
Lo stesso è accaduto al profilo Facebook del santuario della Madonna Assunta di Sinj, dopo che era stato pubblicato un post con il seguente testo: «È morto il generale Slobodan Praljak. Riposi nella pace di Dio».
Come ha affermato in Parlamento la deputata indipendente Bruna Esih, anche il profilo del primo ministro Plenkovic è stato bloccato.

Nelle ore e nei giorni immediatamente successivi alla sentenza dell’Aja, in Bosnia-Erzegovina sono stati bloccati i profili di privati cittadini e dei portali informativi croati dnevnik.ba, grude.com, poskok.info, brotnjo.info e prvi.tv, e questi stessi portali sono stati oggetto di attacchi di hacker che ne hanno determinato la momentanea chiusura. Come denunciato dal portale brotnjo.info nei giorni successivi, questi attacchi sono avvenuti per opera di gruppi di giovani hacker musulmani, che hanno ricevuto l’ordine di abbattere momentaneamente questi portali, per poi vantarsene sui loro profili Facebook.

La sinistra croata ha cercato di minimizzare l’accaduto, parlando di algoritmi che, in presenza di temi controversi, su Facebook fanno scattare automaticamente il blocco per chiunque tratti determinati argomenti identificati attraverso parole-chiave.
Tale argomentazione è priva di fondamento, in quanto sono stati bloccati solamente profili che presentavano post critici verso la sentenza e di denuncia dei crimini dell’esercito musulmano ai danni dei croati al tempo della guerra in Bosnia, e che, in base a un preciso disegno politico, sono stati ignorati dal Tribunale Internazionale dell’Aja.
Al contrario, i profili che avevano post che approvavano la sentenza non sono stati bloccati, ed egualmente sono sempre attivi i non pochi profili che riportano macabre battute sul suicidio in diretta del generale Praljak.

Ci troviamo quindi di fronte a una vera e propria operazione di censura di massa, i cui centri pensanti, probabilmente, si trovano molto più in alto dello stesso Facebook.
Si tratta di un’operazione probabilmente preparata a tavolino perfino prima che la sentenza sui sei imputati della Repubblica croata di Herceg-Bosna. Non si spiega altrimenti il fatto che a Tvrtko Milovic, analista politico croato dell’Erzegovina e redattore del portale dnevno.ba, il profilo Facebook sia stato bloccato tre giorni prima della sentenza dell’Aja, una sorta di censura preventiva, superata dopo che il titolare del profilo ha pagato 500 euro a Facebook per una campagna promozionale (come si suol dire, pecunia non olet).

Quanto accaduto in questi giorni è ancora più grave in quanto è legittimo e garantito dalla libertà di espressione criticare le sentenze di un tribunale. Nel caso in questione, i croati critici della sentenza hanno fatto semplicemente notare che il Tribunale internazionale dell’Aja per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia ha emesso sentenze motivate politicamente, contraddittorie, nonché caratterizzate da parzialità e pregiudizi, al solo scopo di accreditare tesi preconcette e nascondere le pesanti responsabilità della comunità internazionale.

La pax europea e americana imposta alla Bosnia-Erzegovina e sull’intero scacchiere ex-jugoslavo garantisce, in questo momento, che le parti in causa non tornino a combattersi. Tuttavia, molta rabbia cova sotto la cenere, e presto l’incendio potrebbe di nuovo divampare.