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PAESI BASSI

Eutanasia su dementi, una sentenza da piano inclinato

Insieme ai problemi morali, alimenta la confusione la sentenza della Corte Suprema olandese di consentire l’eutanasia su pazienti affetti da demenza e incapaci di esprimere il loro parere. La Corte lascia ai medici l’interpretazione delle dichiarazioni scritte, accrescendo i loro dubbi. Comunque, c’è il forte timore che in generale questa decisione non porterà a un declino dei casi di eutanasia e suicidio assistito.

Vita e bioetica 25_04_2020 English

Reazione della Conferenza Episcopale Olandese al giudizio della Corte Suprema su un caso di eutanasia su paziente affetta da demenza in stadio avanzato

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Nel 2016, una dottoressa di una casa di cura eseguì l’eutanasia su di una donna in possesso di una dichiarazione scritta di eutanasia, firmata quattro anni prima. Questo fatto da solo solleva la domanda se tale dichiarazione scritta, firmata anni prima, fosse ancora espressione dell’effettiva volontà della paziente al momento dell’uccisione. Nella Legge sull’eutanasia (2002) il legislatore dichiarò che una dichiarazione scritta di eutanasia ha lo stesso significato di una richiesta di eutanasia espressa oralmente.

Nella sua dichiarazione, la donna dichiarò di volere l’eutanasia, nel momento in cui, un giorno, sarebbe stata ammessa in una casa di cura, ma in tale dichiarazione alcuni punti rimasero oscuri: ella decise che l’eutanasia avrebbe dovuto aver luogo in un momento in cui lei pensava di essere pronta. Ma dopo essere stata ammessa nella casa di cura, non era in grado di dire se volesse l’eutanasia o no. Nonostante questa mancanza di chiarezza, la dottoressa decise - previa consultazione con la famiglia e altri due medici, specializzati in consulenza sui casi di eutanasia - di procedere con l’eutanasia. La dottoressa e gli altri due medici consultati ritennero tutti e tre che la sofferenza della donna fosse insopportabile e senza prospettive di miglioramento.

Quando la dottoressa della casa di cura provò a introdurre un preparato per attuare l’eutanasia, la donna ritrasse il braccio. Un segno di resistenza all’eutanasia? In ogni caso, la dottoressa mise un sedativo nel caffè della donna, per poter poi somministrare il preparato e l’eutanasia venne eseguita.

Il collegio dei procuratori generali, volendo schiarirsi le idee riguardo all’applicazione della Legge sull’eutanasia su persone affette da demenza, avviò delle procedure legali contro la dottoressa della casa di cura. A settembre 2018, la Corte di prima istanza assolse la dottoressa dall’accusa di aver applicato la Legge sull’eutanasia in modo non accurato. Il collegio dei procuratori generali decise allora di sottoporre la questione direttamente alla Corte Suprema.

Il 21 aprile 2020, anche la Corte Suprema ha assolto la dottoressa dall’accusa di aver applicato la Legge sull’eutanasia in modo non accurato. La Corte Suprema si è appellata alla testimonianza di un anestesista, secondo cui il movimento della donna nel ritrarre il braccio mentre la dottoressa cercava di iniettarle il preparato non era un segno di resistenza all’eutanasia, bensì un riflesso. La somministrazione di un sedativo al paziente prima dell’eutanasia, secondo la Corte Suprema, sarebbe accettabile nel caso in cui si possa prevedere un (imprevedibile) comportamento irrazionale, che complicherebbe l’eutanasia.

La Corte Suprema ha ritenuto che la dottoressa della casa di cura avesse adempiuto con la dovuta attenzione al criterio della Legge sull’eutanasia, e cioè che la paziente soffrisse in modo insopportabile e senza prospettive di miglioramento. In merito alla mancanza di chiarezza sulla dichiarazione scritta di eutanasia la Corte Suprema ha ritenuto che la dottoressa disponesse di un notevole margine di interpretazione della dichiarazione. La Corte ha ritenuto che la dottoressa avesse ragione nel concludere, sulla base della dichiarazione, che la donna in questione dopotutto desiderasse l’eutanasia nelle circostanze date, sebbene non fosse più in grado di indicare da sé il momento in cui riceverla a causa della sua demenza in stadio avanzato.

I procedimenti legali contro la dottoressa della casa di cura hanno fatto chiarezza come voleva il collegio dei procuratori generali? I medici della casa di cura pensano di no. Anziché mettere nero su bianco dei criteri di interpretazione delle dichiarazioni scritte di eutanasia da parte di pazienti affetti da demenza in stadio avanzato, la Corte Suprema lascia la questione al giudizio dei medici coinvolti, il che non fa che accrescere i loro dubbi. Qual è la probabilità che la loro interpretazione della dichiarazione scritta di eutanasia sia approvata da una corte, quando vengono avviati a loro danno dei procedimenti legali, nel caso in cui eseguissero l’eutanasia su pazienti con demenza in stadio avanzato sulla base di queste stesse dichiarazioni scritte di eutanasia?

Inoltre, i pazienti e i loro parenti, sulla base del giudizio della Corte Suprema, potrebbero pensare che ci sia una specie di diritto all’eutanasia nei casi di demenza in stadio avanzato che comporti sofferenze ritenute insopportabili e senza prospettive di miglioramento, malgrado la Corte Suprema non lo dica e che la Legge sull’eutanasia non obblighi un medico a eseguirla. Pertanto, i medici delle case di cura temono di essere messi sotto pressione dai pazienti dementi e dai loro parenti affinché pratichino l’eutanasia e questo come conseguenza del giudizio della Corte Suprema.

A causa, molto probabilmente, dei procedimenti legali contro la dottoressa della casa di cura, il numero di casi di eutanasia e di suicidio medicalmente assistito - riportato dalle Commissioni regionali di controllo sull’eutanasia (Rte) - dopo essere salito a 6.585 casi nel 2017, nel 2018 è sceso a 6.126. Una diminuzione, quindi, del 7%. Coloro che ritengono la vita umana un valore intrinseco e, quindi, universale e che sono convinti che non possa essere portata a termine tramite eutanasia o suicidio medicalmente assistito, vorrebbero che queste cose non si verificassero mai. In ogni caso, un calo del 7% può essere visto come un relativo contributo al benessere comune, il principio basilare della morale sociale cattolica, di cui la difesa legale del diritto alla vita è una delle condizioni fondamentali. Ciò nonostante, nel 2019 il numero dei casi di eutanasia e suicidio medicalmente assistito, riportati dalle Commissioni regionali di controllo sull’eutanasia, sono nuovamente saliti a 6.361 (una crescita del 3,8% rispetto al 2018).

Chiunque potrebbe temere che il giudizio della Corte Suprema, pur suscitando forse incertezze nell’eseguire l’eutanasia su pazienti affetti da demenza in stadio avanzato, in generale non porterà a un calo del numero di casi di eutanasia e suicidio medicalmente assistito.

Utrecht, 23 aprile 2020

+ Cardinale e arcivescovo di Utrecht. Referente sulle questioni etiche e mediche presso la Conferenza Episcopale Olandese