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IL BUON USO DELLE PAROLE / 1

Entra in scena la retorica, regina di tutte le discipline

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Quella che i Romani chiamavano l’arte del ben parlare, del ben scrivere, del persuadere affonda le radici nel mondo greco del V secolo. E al giorno d'oggi andrebbe riscoperta.

Cultura 29_01_2024
Tournai, arazzo sulla retorica, lana e seta, 1520 ca. Wikimedia Commons - Autore: Sailko

Magna Grecia. Siracusa anno 467 a. C. La tirannide fu abbattuta da un’insurrezione popolare che scacciò il tiranno Gelone I, macchiatosi della colpa di aver attuato espropri di terre per ricompensare i soldati mercenari. Seguirono lunghi processi in cui i cittadini rivendicarono le proprietà confiscate. Secondo la tradizione i contendenti erano dotati di abilità nelle difese e nelle contese giudiziarie. Mancava loro una tecnica codificata che venne fornita dai maestri Corace e Tisia (suo allievo), considerati i fondatori della retorica.

Quali insegnamenti impartivano Corace e Tisia per vincere una causa? Che il «sembrare vero» era più importante dell’«essere vero» se si voleva vincerla. I due maestri insegnavano, quindi, le tecniche per far apparire verosimile una tesi.

A questo tipo di retorica, improntata alla perfezione della tecnica, si contrappose in Sicilia un altro genere di retorica basata sul fascino e sull’attrattiva che la parola poteva destare nell’animo dal punto di vista emotivo: per conseguire il coinvolgimento emotivo i retori si avvalevano del ragionamento per antitesi (basato sulla filosofia pitagorica degli opposti) e sulla politropia ovvero sulla capacità di cambiare gli argomenti in relazione all’uditorio, che fosse costituito da giovani o da donne o da altre categorie di persone. Per Aristotele Empedocle di Siracusa fu il fondatore della retorica secondo quest’altra prospettiva della persuasione attraverso la cattura emotiva dell’interlocutore.

La nascita della retorica occidentale, codificata in precetti e tecniche, risale quindi alla Magna Grecia dell’inizio del V secolo a. C. Già secoli prima si era però sviluppata l’eloquenza come capacità naturale di parlare: esempi significativi si trovano nei poemi omerici, nell’obbligo che Solone (VII secolo a. C.) impartiva agli imputati di perorare le loro cause davanti al giudice, nell’attività dei logografi che dovevano stendere i discorsi giudiziari per chi non fosse in grado di comporli.

Indubbiamente, in Grecia la retorica era nata strettamente connessa alla polis e allo sviluppo della democrazia: dinanzi all’assemblea si doveva essere in grado di argomentare e di difendere le proprie idee. L’origine della retorica è, quindi, antica e affonda le sue radici nella Magna Grecia e in Grecia. La Grecia è stata così patria dell’arte, della letteratura, della filosofia, della retorica. Il contributo che la Grecia ha dato allo sviluppo dell’Occidente è stato decisivo.

Vedremo più avanti nelle puntate successive le tappe fondamentali della storia della retorica. Ora, ci interessa sottolineare che, se fino al Seicento si assisteva al dominio incontrastato della retorica, propedeutica ad ogni sapere, oggi al contrario si verifica la trasformazione in scienza di ogni disciplina. Ne sono prova le espressioni «scienze umane», «scienze religiose», «scienze letterarie», «scienze filosofiche», «scienze della comunicazione». Non sorprende qui tanto la richiesta che ogni disciplina abbia un suo statuto ontologico e una sua serietà di studio, quanto la presunzione che discipline che sono sempre state separate dalla scienza, perché hanno un metodo differente, debbano oggi acquisire le stesse procedure di analisi tipiche dell’ambito scientifico.

Il trionfo dell’Illuminismo che ha esteso le sue ramificazioni fino al Positivismo ottocentesco e al Neopositivismo del secolo scorso ha ridotto la complessità dell’uomo e della realtà, sottovalutando o addirittura cassando quelle numerose facoltà umane che non sono contemplate sotto l’etichetta di «scientifico».

Un tempo, le arti liberali, cioè le discipline degne di un uomo libero, contrapposte alle arti meccaniche, si componevano del trivio e del quadrivio. Il trivio, dedicato alle discipline umanistiche, era costituito da grammatica (cioè il latino), retorica e dialettica. Nella scuola di un tempo per anni si apprendevano le cinque fasi della retorica, l’inventio, la dispositio, l’elocutio, la memoria e l’actio, fasi che ancor oggi noi possiamo apprendere attraverso la lettura del De oratore di Cicerone o dell’Institutio oratoria di Quintiliano o del più recente Manuale di retorica di Bice Mortara Garavelli.

Ma nel percorso di studio odierno obbligatorio fino a diciotto anni (tredici anni per chi termina una scuola superiore) chi ha studiato retorica? Molti ragazzi non avranno nemmeno sentito nominare le sue fasi. E ancora, ci chiediamo: chi studia retorica all’università, anche nei corsi di laurea di Lettere?

I corsi di comunicazione e di scrittura che pullulano al giorno d’oggi sono espressione di un’esigenza sentita e comune, quella di acquisire maggiori competenze nell’eloquio scritto e orale, nell’arte della persuasione e nella chiarezza espositiva, competenze che i tredici anni di scuola (per chi ha terminato le superiori) o l’università non hanno offerto loro. Eppure questi corsi, che pur indossano vesti nuove rispetto al passato, non possono che riprendere quanto i grandi retori del passato avevano trattato nelle loro opere.

L’arte della retorica non è certo figlia del nostro tempo. Sentiamo spesso cittadini che si lamentano dei loro rappresentanti politici accusati di non essere abbastanza preparati nell’eloquio oppure di esprimere vuoti concetti avulsi dalla realtà (cioè parole vuote). La televisione e i mezzi di comunicazione sono attraversati da discorsi che spesso non sono espressione di cultura e dell’arte del ben parlare. Viviamo in un’epoca in cui parlar male, in modo triviale  e volgare, alzare la voce e insultare ricevono il plauso di molti.

Tutti noi capiamo l’importanza di poter esprimere con precisione il nostro pensiero con gli estranei, di saper presentarsi, di affrontare un colloquio di lavoro, di comunicare riflessioni e giudizi a persone care, di argomentare per sostenere la propria posizione quando ci è richiesta, di giudicare se il discorso sostenuto da altri sia veritiero oppure semplicemente persuasivo perché costruito astutamente e sulle basi dell’arte retorica.
Per questo è importante aprire una finestra su quella che gli antichi Romani chiamavano ars bene dicendi, ars bene scribendi, ars suadendi: l’arte del ben parlare, del ben scrivere, del persuadere. Entra in scena la madre di tutte le discipline: la retorica.



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