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CASO HUNTER BIDEN

Elon Musk svela il sistema di censura politica su Twitter

Da quando l’imprenditore Elon Musk ha comprato Twitter, la sua prima azione è stata quella di reintegrare tutti gli utenti che erano stati ingiustamente banditi per motivi politici. Poi ha incominciato a far luce sulle censure (politiche) del passato, a partire da quella dello scoop su Hunter Biden nel 2020, figlio dell'allora candidato Joe Biden. 

Esteri 03_12_2022
La sede di Twitter, a San Francisco

Da quando l’imprenditore Elon Musk ha comprato Twitter ed ha licenziato la sua vecchia classe dirigente, la sua prima azione è stata quella di reintegrare tutti gli utenti che erano stati ingiustamente banditi per motivi politici. Poi è iniziata la sua battaglia per la libertà di espressione, in un ambiente molto più controllato di quanto si creda. Il nuovo proprietario sta rivelando anche come funzionasse la censura sul social network prima del suo arrivo, a partire dal clamoroso caso di soppressione dello scoop sul figlio di Joe Biden, Hunter Biden, alla vigilia delle elezioni.

Musk, mercoledì, ha dichiarato che Twitter ha “interferito nelle elezioni americane”, dunque ha inquinato la democrazia. Ha promesso di pubblicare, sempre su Twitter, una puntata alla volta, tutta la verità su questo sistema di censura. La storia su come era stato soppresso lo scoop riguardante Hunter Biden è stata pubblicata questa mattina (alle 17 di ieri, ora di San Francisco). Quando il New York Post, alla vigilia delle elezioni del 2020, aveva messo le mani sul pc portatile del figlio del candidato presidente, vi aveva trovato molto materiale compromettente, sue storie di corruzione in Ucraina e persino in Cina. Dichiarandola preventivamente “disinformazione”, Twitter aveva sospeso l'account del quotidiano. Non solo, ma aveva sospeso l’account di tutti coloro che rilanciavano la notizia, istituzioni comprese, Casa Bianca inclusa. Era un caso di censura troppo plateale per essere camuffato da normale “tutela” degli utenti.

La storia del "dietro le quinte" è stata raccontata in una serie di tweet a firma del giornalista indipendente Matt Taibbi, rilanciato da Elon Musk stesso. Da informazioni interne risulta che lo staff di Twitter ricevesse pressioni da entrambi i partiti, ma soprattutto dal Partito Democratico. Era normale che richiedesse di revisionare o di cancellare tweet, da quanto risulta. La decisione di censurare lo scoop del New York Post sarebbe stata presa ai massimi livelli. Non è coinvolto l'ex amministratore delegato Jack Dorsey, mentre un ruolo chiave sarebbe stato giocato da Vijaya Gadde, allora a capo della politica legale. La storia dello hackeraggio, per cui era stata attivata la censura, potrebbe essere stata solo una copertura. Non c'era alcuna prova di hackeraggio allora. In compenso il tipo di censura applicato, con il blocco delle condivisioni, oltre che degli account, era ingiustificato, utilizzato solo per censurare reati gravi, come materiale pedopornografico. Non certo un articolo di giornale. 

Alla vigilia delle rivelazioni promesse da Musk, un ex dirigente, che aveva rassegnato le dimissioni al cambio di proprietà, ha deciso di parlare del caso. Ha ammesso che la notizia sia stata deliberatamente censurata e che la compagnia, nel farlo, abbia commesso un errore. Yoel Roth, questo il nome dell’ex dirigente, ha dichiarato che, pur nutrendo dubbi sull’autenticità della notizia, anche allora non avesse idea del perché (e sulla base di quale norma o regola interna) dovesse essere soppressa, tanto da impedirne la condivisione da parte degli utenti. L’anno scorso, comunque, anche l’ex amministratore delegato Jack Dorsey, aveva ammesso che censurare il New York Post fosse “un errore”. Sì, però, intanto le elezioni del 2020 sono state vinte da Biden. Magari un solo scoop non avrebbe spostato voti sufficienti a ribaltare il risultato, ma di sicuro si può parlare di interferenza nelle elezioni.

Il mese scorso, dopo un sondaggio aperto al voto in tutto il mondo, Musk ha riattivato l'account dell’ex presidente Donald Trump. Il quale, avendo ormai un suo social network, Truth, non ha voluto tornare a scrivere su quel che era stato il suo strumento preferito di comunicazione. «Mi sta bene che Trump non scriva su Twitter – ha commentato il neo-proprietario – La cosa importante è che Twitter abbia corretto un grave errore, quello di aver bandito il suo account, nonostante non avesse violato alcuna legge o regola di servizio. Togliere la parola al presidente in carica ha distrutto la credibilità di Twitter per la metà degli americani».

Poi il neo-proprietario ha iniziato a cambiare le regole, promettendo una libertà di espressione molto maggiore, fatta salva l’apologia di reato, l’istigazione alla violenza e altri crimini. Per questo ha dovuto bannare di nuovo, ieri, il rapper Kanye West, che era stato riammesso lo scorso 9 ottobre. Dopo aver detto che Hitler “ha fatto anche cose buone”, il rapper aveva postato una grafica provocatoria in cui mischiava la stella di David con la svastica. Il ban è scattato subito, per istigazione. Alle polemiche che ne sono seguite Musk ha risposto: «Twitter è corretto quando fa arrabbiare allo stesso tempo estremisti di destra e di sinistra».

Per il resto, tutti quelli che erano stati silenziati, soprattutto su temi riguardanti Covid e vaccini, stanno tornando a parlare liberamente. Secondo uno studio dei post pubblicato sul New York Times, i discorsi di odio starebbero aumentando, con contenuti razzisti e antisemiti in crescita. I dati raccolti da Musk stesso dimostrerebbero invece l’esatto contrario: in proporzione al numero di utenti, i discorsi di odio sono visti da sempre meno persone. Il punto, però, non è quello di creare un ambiente più corretto, o di migliorare l’educazione degli utenti, ma quello di eliminare ogni forma di censura per motivi politici. Twitter sta tornando a fare il social network, insomma: una bacheca su cui affiggere messaggi, non più un editore che elimina i contenuti fuori dalla sua linea editoriale.

«Questa è una battaglia per il futuro della civiltà. Se la libertà di espressione è persa anche in America, la tirannia è tutto quel che ci attende», aveva scritto Musk il 29 novembre. Attualmente, in un mondo in cui il politicamente corretto ha imposto la sua egemonia laicista, la battaglia per la libertà di informazione interessa i cristiani più di qualsiasi altro gruppo, per questo è strategica per difendere anche la libertà di religione. Ad attaccare la nuova politica del social network sono paradossalmente quelli che di libertà ci vivono o la predicano: i grandi media progressisti, grandi aziende come Apple. E la Commissione europea. Che mercoledì, per bocca del commissario Thierry Breton, ha minacciato: «C’è ancora molto lavoro da fare, perché Twitter dovrà implementare politiche trasparenti per gli utenti, rafforzare in modo significativo la moderazione dei contenuti e proteggere la libertà di parola, affrontare con decisione la disinformazione e limitare la pubblicità mirata». Altrimenti rischia un divieto a livello europeo o multe fino al 6% del fatturato globale. Come in una Cina qualsiasi.