Dalla Sindone a San Michele fino... alle radici dell’Europa
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Trenta chilometri in dieci ore per giungere al cuore della cultura europea con lo sguardo a Cristo Crocifisso e Risorto: è l'esperienza vissuta sabato scorso da duecento pellegrini in cammino dal Duomo di Torino al santuario micaelita piemontese.

Dieci ore di cammino, dall’alba al tramonto, lungo i trenta chilometri che conducono Dalla Sindone alla Sacra di San Michele, alle radici dell’Europa: il tema indica il punto di partenza e quello di arrivo, ma soprattutto la profondità dell’esperienza vissuta sabato scorso da duecento pellegrini, alla vigilia dell’Esaltazione della Croce. «Un pellegrinaggio da Cristo Crocifisso e Risorto all’esperienza unica della cristianità», che ha ancora molto da dire ai nostri giorni: per coglierne la portata basterebbero queste parole di don Salvatore Vitiello, teologo e presidente dell’associazione culturale Logos e Persona APS, nonché ideatore dell’iniziativa, che a La Bussola racconta questo singolare percorso che si proietta nel futuro proprio nella misura in cui si ricollega alle origini della cultura europea.
Qual è la genesi di questo pellegrinaggio?
Il pellegrinaggio nasce dall’ammirazione per le esperienze già in atto in Francia (Parigi-Chartres) e in Spagna (Oviedo-Covadonga). Promotrice è l’Associazione Culturale Logos e Persona APS e l’idea è venuta a me come presidente. L’idea ha poi incontrato il favore dell’Assessorato regionale alle politiche sociali, nella persona dell’assessore Maurizio Marrone, per il valore inclusivo dell’iniziativa. Anche l’arcivescovo di Torino, il card. Repole, ha inviato un generoso ed incoraggiante messaggio. L’esperienza dei menzionati pellegrinaggi è innanzitutto religiosa, ma anche culturale e sociale, e mi sembrava importante che anche l’Italia avesse questa possibilità.
Perché la scelta della Sindone e della Sacra come punti di partenza e di arrivo? Perché non andare, per esempio, in altri santuari più a portata di mano?
Un pellegrinaggio deve includere, per sua natura, un tempo largo e una dimensione anche di fatica fisica, perché esso è il segno del cammino stesso della vita, che certamente non è privo di difficoltà. Il luogo di partenza, la Cattedrale di Torino, che custodisce la Santa Sindone, ci è sembrato il più significativo a livello internazionale e, francamente, non ne individuiamo uno più importante. La Sacra di San Michele, all’interno della via micaelica, rappresenta la testa simbolica dell’Arcangelo, il quale, stendendo le sue ali da Mont Saint Michel in Francia a San Michele Arcangelo in Puglia, protegge l’intera Europa. Simbolicamente è un pellegrinaggio da Cristo Crocifisso e Risorto all’esperienza unica della cristianità che, secondo noi, ha ancora molto da dire al presente e alla modernità.
Duecento persone, di ogni età (compresi anziani e fragili) hanno affrontato un percorso anche faticoso per oltre 30 km: si aspettava tanta partecipazione?
Francamente, no. Nella migliore delle ipotesi mi sarei aspettato una cinquantina di partecipanti, mentre l’evento ha superato le più rosee previsioni, pur prevedendo una iscrizione nominale, impegnativa sul piano personale. Sono state raggiunte quasi le duecento presenze, mostrando che la proposta ha incontrato il favore di molti e, forse, ha risposto ad un bisogno anche di esprimere la propria fede. Oltre la metà dei partecipanti aveva meno di trentacinque anni.
Oltre alla partenza e alla meta, quale esperienza hanno vissuto i partecipanti durante il cammino?
Il cammino si è svolto con grande ordine e compostezza, tra preghiere, canti, meditazioni e tempi di silenzio. I pellegrini, camminando, hanno potuto fraternizzare fra di loro, scambiarsi esperienze, confrontare opinioni e veder nascere esperienze di comunione. Certamente, la fatica fisica non è mancata, soprattutto negli ultimi chilometri e nella salita finale alla Sacra, ma è stata ampiamente ricompensata dall’esperienza di bellezza e di verità vissuta.
Ci spieghi l’altro aspetto del pellegrinaggio: perché “alle radici dell’Europa”?
Le radici dell’Europa sono oggettivamente greco-giudaiche e cristiane. L’Europa è semplicemente inimmaginabile senza il cristianesimo, perché essa, come più volte ricordato da papa Benedetto XVI, non è tanto una regione geografica, quanto piuttosto uno spazio culturale: un modo di guardare e pensare all’uomo, in rapporto con Dio e con la realtà intorno a sé. La Sacra di San Michele è uno degli esempi espressivi più significativi della cristianità, nata da una fede capace di plasmare interamente la cultura.
La Messa conclusiva è stata celebrata in latino (secondo il Novus Ordo): anche la lingua latina è parte di quelle radici che possono restituire un futuro all’Europa?
Non posso definirmi un latinista e dunque non so dire se il recupero della lingua latina possa dare un contributo alle radici cristiane dell’Europa; certamente, però, l’uso della lingua sacra nella Liturgia è un elemento fondamentale, che anche il Concilio Vaticano II, nella costituzione Sacrosanctum Concilium raccomandava. Il latino è poi una lingua straordinariamente sintetica ed efficace che obbliga all’uso della ragione e in questo senso, certamente, tale recupero è urgente per l’intera modernità.
Ci sarà una prossima edizione?
Sì, certamente, è già prevista la seconda edizione nell’anno 2026: sarà sabato 12 settembre 2026, memoria del Ss.mo Nome di Maria. Speriamo in quell’occasione di raddoppiare le presenze.