Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
PRESIDENZIALI, PRIMO TURNO

Croazia, la destra divisa fa felice i socialisti

Come previsto, il voto di domenica ha premiato l'ex primo ministro socialdemocratico Zoran Milanović e la presidente uscente, Kolinda Grabar-Kitarović, candidata dell'HDZ di centro destra, che ha superato di poco l'altro candidato di centrodestra, Miroslav Škoro, grande novità di queste elezioni.

Esteri 24_12_2019
I tre candidati presidenziali che si sono giocati il passaggio del I turno

Il primo turno delle elezioni presidenziali in Croazia di domenica scorsa ha premiato il candidato socialdemocratico Zoran Milanović, ex primo ministro, il quale ha ottenuto il 29,55% dei voti, e la presidente uscente, Kolinda Grabar-Kitarović, candidata dell'HDZ di centro destra, con il 26,65%, i quali si affronteranno nel turno di ballottaggio di domenica 5 gennaio. Per una manciata di voti (appena il 2,20% in meno della presidente uscente) è invece rimasto escluso dal ballottaggio il cantante Miroslav Škoro, indipendente di centro-destra, grande novità di questa tornata elettorale.

Sebbene fosse dato per sfavorito in tutti i sondaggi che riguardavano i possibili scontri diretti nel secondo turno, tenendo conto dello svolgimento della prima tornata elettorale Milanović appare ora il grande favorito per la vittoria finale. In caso di passaggio del turno da parte di Škoro, infatti, i voti degli elettori della presidente uscente si sarebbero automaticamente riversati sul cantante, mentre ora, come testimoniano numerosi commenti a caldo sul profilo Facebook di Škoro, difficilmente potrà accadere il contrario: il voto a quest'ultimo, infatti, era un voto in aperta polemica con l'HDZ, soprattutto con il primo ministro Plenković.

In questo primo scontro titanico nel centro-destra tra il vecchio - potremmo dire anche un po' decrepito - rappresentato dalla Grabar-Kitarović e dall'HDZ da una parte e il nuovo, rappresentato da Miroslav Škoro e dalle sue istanze identitarie e patriottiche, ha quindi avuto ragione l'establishment attuale.

Come ha tuttavia fatto notare il commentatore Davor Ivanković sul quotidiano Večernji List, si tratta di una vittoria di Pirro, poiché ora Škoro, che ha già annunciato la sua discesa in campo per le elezioni parlamentari del prossimo anno, come leader di una forza politica o di un'alleanza che raccoglie potenzialmente un quarto degli elettori, è perfino più pericoloso per l'HDZ che come Presidente della Repubblica, carica che secondo la Costituzione croata ha poteri molto limitati.

Anche se non è stata coronata dal passaggio al ballottaggio, l'affermazione di Škoro ha dell'incredibile tenendo conto della quasi inesistente esperienza politica di quest'ultimo, dell'assenza di una macchina organizzativa e propagandistica lontanamente paragonabile a quella dell'HDZ (basti pensare che in Bosnia-Erzegovina questo partito ha organizzato autobus gratuiti che hanno portato gli elettori a votare, ovviamente per la Presidente uscente), del mancato appoggio della gerarchia cattolica, che pur non essendosi espressa pubblicamente per uno dei due candidati del centro-destra, tacitamente preferiva la conservazione dello status quo (di questo fatto testimoniano numerosi appelli di parroci ai fedeli di votare la presidente uscente). Si tratta quindi di un movimento dal basso, che, se bene organizzato, può andare lontano.

Se riuscirà a superare l'atavica tendenza alla divisione per motivi di interessi personali che caratterizza il centro-destra croato, davanti a Škoro si aprirà un'autostrada che potrebbe portarlo direttamente al governo del Paese.

Egli rappresenta infatti istanze che possiamo definire, per comprensione, sovraniste, ma che sono in realtà tipicamente cattolico-croate, e questo a motivo della dolorosissima storia recente di questo popolo: l'inglobamento come popolo di serie B nella Jugoslavia monarchica della dinastia serba dei Karađorđević dopo la Prima Guerra Mondiale, le efferate stragi di centinaia di migliaia di croati e cattolici innocenti ad opera dei partigiani di Tito e dei cetnici durante la Seconda Guerra mondiale, la persecuzione durante cinquant'anni di comunismo, e infine la guerra di aggressione serba tra il 1991 e 1995.

Un bacino elettorale che raccogliesse queste istanze, ormai dimenticate e tradite dall'HDZ di oggi appiattitasi acriticamente sui desiderata di Bruxelles, è grandissimo; basti pensare che alle recenti elezioni europee l'ex deputata di coerente fede cattolica del Partito dei contadini, poi espulsa dal partito, Marijana Petir, ha sfiorato il 5% dei voti praticamente operando da sola e quasi solo su Facebook per mancanza di fondi.

Considerando il perdurare della violentissima aggressione verbale anticroata dei serbi, e del mantenimento da parte della sinistra croata di  posizioni nostalgiche filotitoiste, anticattoliche e giustificazioniste delle stragi partigiane e cetniche della Seconda Guerra Mondiale, tale bacino elettorale è praticamente inesauribile. Esso è destinato a esistere anche in futuro: basti pensare alle decine di migliaia di giovani che, bandiera croata alla mano, affollano i concerti del cantante Marko Perković Thompson (vedi le immagini, del tutto inconcepibili per la mentalità italiana, del concerto di Knin del 5 agosto 2015), il maggiore rappresentante del filone identitario-cattolico-patriottico (ma mai nazionalista) della scena musicale pop e rock croata, e vero spauracchio della sinistra croata e dell'establishment serbo, il cui primo figlio è stato tenuto a battesimo proprio da Miroslav Škoro.

È assai prevedibile che per guadagnare i voti dei simpatizzanti di Škoro nelle prossime due settimane Kolinda Grabar-Kitarović accentuerà i toni cattolico-patriottici e punterà allo scontro di visione del mondo tra lei e l'ateo Milanović. Lo spauracchio di cinque anni di presidenza di Milanović forse convincerà molti elettori di centro-destra poco inclini all'HDZ a votare lo stesso per la presidente uscente, tuttavia difficilmente ciò potrà avvenire in una misura sufficiente, poiché sarà impossibile fare dimenticare cinque anni di parole non accompagnate dai fatti e soprattutto la scarsa consonanza di certe idee e abitudini personali della presidente con la sua asserita fede cattolica.