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PAPA FRANCESCO

“Concilio non negoziabile. E va fatto un Sinodo italiano”

Nell’incontro di ieri promosso dall’Ufficio catechistico nazionale della Cei, Bergoglio ha ribadito la necessità di indire un Sinodo italiano. Il pontefice argentino ha anche detto che «il Concilio è magistero della Chiesa» e aggiunto, con un possibile riferimento alle derive del Cammino sinodale tedesco, che chi non segue il Vaticano II non sta con la Chiesa.

Ecclesia 31_01_2021

A differenza dei rumors che si erano diffusi sulla stampa internazionale dopo l’indiscrezione riportata dal vaticanista don Antonio Pelayo, non c’è alcuna operazione chirurgica in vista per Papa Francesco. Dopo lo stop della scorsa settimana causato dal ritorno della sciatalgia che lo aveva costretto a non celebrare Messa e Vespri e a rinviare l’udienza con il corpo diplomatico, il Pontefice ha ripreso a pieno regime la sua attività.

Ieri, ad esempio, Bergoglio ha ricevuto in Sala Clementina i partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza episcopale italiana di fronte ai quali ha pronunciato un discorso d’importanza non trascurabile. In presenza del cardinal Bassetti e di monsignor Russo, rispettivamente presidente e segretario della Cei, il Papa è tornato ad insistere sull’opportunità di indire un Sinodo della Chiesa italiana. Lo ha fatto in termini più perentori rispetto al passato, probabilmente nella consapevolezza che questo scenario - già largamente auspicato - non scalda i cuori dei presuli italiani. “La Chiesa italiana - ha detto Francesco - deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi”, indicando anche il perimetro entro cui muoversi: quello segnato da lui stesso nel discorso al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze del 2015. “Nel Convegno di Firenze - ha continuato Bergoglio - c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo; adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare”.

Una strada caldeggiata in un editoriale di due anni fa firmato da padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, che fece da apripista del dibattito negli ambienti del cattolicesimo democratico e a cui seguì nel settembre dello stesso anno un articolo del suo predecessore, padre Bartolomeo Sorge, nel quale il “probabile Sinodo” veniva inserito nel solco del primo Convegno ecclesiale del 1976 attribuendogli il compito di riprendere la svolta interrotta all’epoca. Quel Convegno, nel quale prevalse un linguaggio più sociologico e meno biblico (secondo il giudizio pubblicato sulla Civiltà Cattolica nove anni dopo), venne superato nel 1985 dall’appuntamento di Loreto, più influenzato dal nuovo clima del pontificato wojtyliano.

Lo scopo dell’assise cara a padre Sorge - che ne fu uno dei protagonisti - era quello di “tradurre il Concilio in italiano”: un’espressione simile a quella utilizzata ieri da Papa Francesco secondo cui “la fede va trasmessa in dialetto”, riferendosi non “a quello linguistico, di cui l’Italia è tanto ricca”, ma “al dialetto della vicinanza, al dialetto che possa capire, al dialetto dell’intimità”. D’altra parte, ricevendo in udienza poco più di due anni fa il gesuita oggi scomparso, il Pontefice elogiò pubblicamente l’articolo sul “probabile Sinodo”, sostenendo di averci trovato una “chiarezza che ha fatto tremare, non dico la politica italiana, ma sicuramente almeno la Chiesa italiana”. Il pezzo di padre Sorge, peraltro, non si limitava ad attribuire all’agognato Sinodo il compito di riprendere quella svolta iniziata nel 1976 e poi interrotta, ma arrivava a tirare le orecchie ai vescovi italiani per non aver dato ancora seguito alle indicazioni espresse da Bergoglio nel Convegno fiorentino del 2015.

Non è un mistero, infatti, che le gerarchie ecclesiastiche del Belpaese siano decisamente meno entusiaste dei gesuiti di fronte alla prospettiva di un Sinodo della Chiesa italiana. In questi sei anni sono cambiati i vertici della Cei ma quello che Francesco aveva definito nel 2019 “un rumore ultimamente arrivato a Santa Marta”, dando l’idea che la sua indizione fosse imminente, è rimasto ancora tale, non traducendosi in realtà. Lo stesso cardinal Bassetti, succeduto a Bagnasco alla guida della Conferenza, non ne ha mai invocato espressamente l’apertura, pur definendo “stupendo” e “da approfondire” il discorso tenuto da Bergoglio a Firenze. Le parole di ieri pronunciate dal Papa, con l’utilizzo dei termini “deve” e “adesso” a proposito dell’inizio del processo sinodale da parte della Chiesa italiana, potrebbero contribuire a sciogliere i dubbi sopravvissuti tra i vescovi.

Giusto pochi giorni Francesco ha ricevuto in udienza Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio che considera il Convegno ecclesiale del 1976 l’atto fondativo della Chiesa italiana e che nel maggio del 2019, da un punto di vista presumibilmente favorevole, aveva analizzato i motivi della mancata realizzazione della proposta fatta dal Papa a Firenze: “Non ci sono dietro forze oscure - aveva scritto lo storico in un articolo su Avvenire - quanto pigrizie, il sopravanzare dei calendari e delle logiche istituzionali”, spiegando inoltre che “si è venuta a creare una qualche sordità ai messaggi, forse per il profluvio di parole del nostro tempo o per uno scarso ascolto”. La posizione di Riccardi è che il Sinodo sia la proposta del Papa per scuotere un cattolicesimo italiano a corto di idee e, d’altra parte, i convegni ecclesiali furono istituiti da san Paolo VI come una sorta di check-up ciclico per monitorare lo stato di salute della Chiesa italiana. Se quello di Firenze del 2015 così come quello di Verona del 2006, nonostante i discorsi carichi di aspettative di Francesco e di Benedetto XVI, non hanno provocato una reazione significativa così come avvenuto dopo Palermo (1995), Loreto (1985) e Roma (1976), allora è anche comprensibile l’insistenza nel dare una scossa ad un ambiente impigrito e sempre meno determinante.

Ma in che termini ed entro quali limiti? Il Cammino Sinodale tedesco in corso, dove - come diceva san Paolo VI - la “parola magica di aggiornamento ha spinto alcuni oltre il segno”, spaventa e non appare certo un esempio da seguire. Ne sembrerebbe consapevole lo stesso Papa Francesco che nel discorso di ieri in Sala Clementina è ricorso ad ammonimenti dal sapore montiniano. Lo ha fatto, non a caso, difendendo il Concilio Vaticano II in termini mai così netti e citando più volte il predecessore lombardo da lui stesso canonizzato: “Il Concilio è magistero della Chiesa”, ha affermato Bergoglio. “O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa”. Francesco ha detto che su questo punto bisogna essere “esigenti, severi” biasimando chi vorrebbe negoziare l’eredità del Concilio “per avere più di questo”. “No, il Concilio è così. E questo problema che noi stiamo vivendo, della selettività rispetto al Concilio, si è ripetuto lungo la storia con altri Concili”.

Il Papa ha chiesto di non fare alcuna “concessione a coloro che cercano di presentare una catechesi che non sia concorde al magistero della Chiesa” e ha proposto il parallelo storico con i vetero-cattolici separatisi dalla Chiesa di Roma nel 1870 e che «sono andati via (...) per continuare la “vera dottrina” che non era quella del Vaticano I», dicendosi “cattolici veri”; e “oggi ordinano donne”. Il riferimento allo scisma vetero-cattolico e all’ordinazione femminile oggi ammessa dall’Unione di Utrecht fa pensare a quanto sta avvenendo nella Chiesa tedesca con lo spettro dello scisma più volte evocato da autorevoli vescovi e la richiesta di aprire alle donne-prete in cima all’agenda sinodale. Non sarebbe la prima volta che Francesco lancia frecciate all’oltranzismo dimostrato dall’episcopato tedesco nello svolgimento del Cammino inaugurato un anno fa a Francoforte.

Un’interpretazione del discorso del Papa che potrebbe essere confermata anche da un’ulteriore citazione di Montini utilizzata ieri: Bergoglio, infatti, ha detto di far sue le parole del suo predecessore pronunciate alla prima Assemblea Generale della Cei dopo il Concilio, definito “grande catechismo dei tempi nuovi”. In quello stesso discorso, immediatamente dopo il passaggio menzionato da Francesco, san Paolo VI precisò che “esso non autorizza certamente, anzi contiene e corregge gli arbìtri dottrinali e disciplinari, che qualche spirito inquieto ne vorrebbe derivare”. Quegli spiriti inquieti che, più di mezzo secolo dopo il monito di Montini, vorrebbero “rinegoziare il Concilio per avere di più” anche sull’ordinazione delle donne: ma anche su questo, come ricordava Joseph Ratzinger a Peter Seewald nel 1997, i Padri conciliari hanno parlato chiaramente nella Lumen Gentium, sostenendo che “dove accade che vescovi nel corso di un tempo molto lungo convengano su una dottrina e attuino una condotta unitaria, si tratta di un insegnamento infallibile, che è espressione di un vincolo, che non hanno creato loro stessi”.

E ieri Francesco, agganciandosi a san Paolo VI, sembra aver lasciato pochi margini di manovra agli “spiriti inquieti” d’oltre Reno: “O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa”.