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VI RAPPORTO IPCC

"Codice rosso" causa clima. Ma l'allarme ONU è smentito dai fatti

Il VI Rapporto dell'IPCC pubblicato ieri alza ulteriormente l'allarme sull'emergenza climatica con le solite previsioni catastrofiche se non saranno prese immediate misure politiche ed economiche. Ma i dati smentiscono la crescita continua delle temperature, mentre è utile ricordare come nel 1989 l'ONU lanciò l'allarme con cui si davano ai governi solo dieci anni di tempo per invertire la tendenza. Sono passati 30 anni e quelle catastrofi non si sono mai avverate.

Creato 10_08_2021 English Español

«Che barba, che noia». Il tormentone di Sandra Mondaini e Raimondo Vianello si addice perfettamente alla pubblicazione del VI Rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’organismo dell’ONU che si occupa di cambiamenti climatici. Come ampiamente previsto si presenta la catastrofe climatica già in corso con mari che si alzano, temperature globali fuori controllo, eventi estremi che impazzano, ghiacciai che si fondono e così via allarmando. Se continua così sarà la fine del pianeta e alcuni danni sono già irreversibili, bisogna agire immediatamente per salvare il salvabile. Come? Ovviamente eliminando in fretta tutti i combustibili fossili, carbone in testa (ma anche il metano va incluso nella lista degli “impresentabili”) e puntare tutto sulle fonti rinnovabili come eolico e solare. Insomma è “codice rosso per l’umanità”, come ha detto il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, indicando un limite di allarme che non potrà essere superato: dopo il codice rosso c’è solo il disastro.

Il Rapporto dell’IPCC – quella pubblicata ieri è la prima di tre parti, l’ultima delle quali sarà pubblicata nel 2022 – capita a proposito per fare pressione sulla prossima Conferenza internazionale sul clima (COP26) che si svolgerà in novembre a Glasgow, e il cui fallimento è già segnato. «La scienza ha parlato, ora tocca alla politica», è il solito ritornello ripetuto ancora ieri, per accreditare la narrazione secondo cui c’è un mondo scientifico assolutamente concorde nel ritenere che esista una emergenza climatica senza precedenti e poi il mondo dei capi di governo che non hanno una vera volontà di prendere le necessarie misure per biechi interessi elettorali.

Ma appunto, questa è una narrazione, non la realtà. Intanto, quale scienza ha parlato? E qui bisogna ricordare che l’IPCC non è un organismo scientifico, come generalmente si ritiene, ma politico come del resto dice il nome: è un organismo intergovernativo sotto l’egida dell’ONU. Ci sono scienziati al suo interno, ma non solo, e non sono neanche la maggioranza: tanto è vero che l’attuale presidente dell’IPCC, il sud-coreano Hoesung Lee (in carica dal 2015), è un economista, e il suo predecessore Rajendra Pachauri (2002-2015) era un ingegnere. Perciò la contrapposizione scienza-politica è pura mistificazione. Peraltro l’IPCC non produce lavori scientifici propri ma semplicemente sintetizza gli studi esistenti sul clima, ed evidentemente non tutti gli studi, visto che sono migliaia gli scienziati che negano l’esistenza di una emergenza climatica.

È dal 1990 che l’IPCC produce periodicamente i Rapporti di valutazione come quello presentato ieri (il precedente è stato nel 2013-2014) e lo scopo è sempre politico: si crea l’allarme clima (eccesso di emissioni di CO2, anidride carbonica) per spingere poi i governi a prendere le decisioni volute (eliminazione dei combustibili fossili) e convincere l’opinione pubblica ad accettare tasse e limitazioni della libertà che senza uno stato di emergenza non accetterebbe mai.

Se questo vi sembra somigliare moltissimo al meccanismo con cui è nata l’emergenza Covid con tutto quel che ne sta seguendo, ebbene sappiate che non è un caso: c’è un totalitarismo che avanza a grandi passi sfruttando proprio il tema delle presunte emergenze globali (ma avremo modo di riprendere questo argomento) e instillando paura nella popolazione.

Tornando al VI Rapporto di valutazione presentato ieri, c’è un piccolo particolare che esso tralascia, ovvero che non c’è alcuna crescita lineare o tumultuosa delle temperature globali (benché siano aumentate le emissioni di CO2), anzi oggi siamo esattamente al livello in cui ci si trovava all’epoca dell’ultimo Rapporto IPCC (2014), come mostra questo grafico, tratto dal database Hadcrut5 curato dal MetOffice britannico.

In pratica, a un aumento della temperatura nel periodo 2002-2014, succede un periodo multifase caratterizzato dall’evento El Niño (2015-2020) e ora un declino delle temperature che ci riporta appunto al livello del 2014. Anzi, il 2021, per come sta andando finora, si candida ad anno più freddo del 2014 e forse anche del 2005. Chi fa veramente scienza dovrebbe interrogarsi su questi dati, che contraddicono le teorie sul riscaldamento globale causato dall’uomo. E non solo questo: visto che siamo ormai abituati al crescendo di allarmi sul clima, andare a riprendere gli appelli del passato è un sano esercizio di realismo.

Ricordiamoci allora che nel 1989, appena prima del I rapporto dell’IPCC, l’ONU lanciò la Dichiarazione sull’emergenza climatica, nota anche come “Dieci anni per salvare il mondo”. Il direttore del Programma Onu per l’Ambiente (UNEP), Noel Brown, dichiarò che «intere nazioni potrebbero essere spazzate via dalla faccia della Terra a causa della crescita del livello del mare, se la tendenza al riscaldamento globale non sarà invertita entro il 2000». Le inondazioni delle coste e la distruzione di raccolti provocheranno un esodo di “eco-rifugiati” con conseguente caos politico. «I governi hanno una finestra di dieci anni per risolvere il problema dei gas serra prima che la situazione sfugga totalmente al controllo umano».

Il rapporto dell’UNEP, in collaborazione con l’Agenzia USA dell’Ambiente, entrava nel dettaglio: dato che il riscaldamento provoca lo scioglimento delle calotte polari e il livello degli oceani era dato in crescita di un metro, le Maldive e altre isole sarebbero state sommerse dall’acqua, così come un sesto del Bangladesh che in conseguenza dovrebbe fare i conti con 23 milioni di sfollati; e l’Egitto sarebbe stato ridotto alla fame perché un quinto delle sue terre agricole nel Delta del Nilo sarebbero state sommerse causando la perdita del cibo necessario alla popolazione.

Sono passati oltre venti anni dal 2000 e queste – come altre previsioni catastrofiche – non si sono avverate. Né c’è motivo di credere che si avvereranno le stesse previsioni che ieri sono state ripetute per l’ennesima volta. È invece certo che il disastro sarà provocato dalle costosissime politiche climatiche che si sono già dimostrate un fallimento: i fortissimi investimenti già fatti sulle rinnovabili e su tecnologie per ridurre le emissioni di CO2, stanno distruggendo le industrie occidentali, spostando molta della produzione in Cina, dove non c’è alcun vincolo all’uso dei combustibili fossili. Con il risultato che le emissioni globali di CO2 hanno continuato e continueranno a crescere. E non sarà certo l’ennesimo allarme dell’IPCC a cambiare la realtà.