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MEDIA USA

Che fine faranno le armi fornite all'Ucraina

Il Washington Post, con ben tre mesi di ritardo, si fa una domanda che noi, su queste colonne, ci ponevamo fin da subito: che fine faranno le armi fornite all'Ucraina? I precedenti, in Mali, in Siria e in Afghanistan, non sono incoraggianti. Armi fornite agli alleati di allora sono finite nelle mani dei nemici dell'Occidente. Il rischio è grande.

Politica 20_05_2022
Armi americane leggere destinate all'Ucraina

In Mali dodici anni or sono armarono e addestrarono reparti di forze speciali poi passati in blocco con gli insorti jihadisti di al-Qaeda, in Siria hanno addestrato ed equipaggiato migliaia di miliziani anti-Assad poi entrati nei ranghi delle truppe dello Stato Islamico e in Afghanistan hanno lasciato armi per 7 miliardi dollari in mano ai talebani, come riferiva tempo fa un rapporto del Pentagono.

Nonostante questi poco lusinghieri risultati conseguiti negli ultimi anni con forniture di armi poi finite del tutto fuori controllo, gli Stati Uniti sembrano voler proseguire sulla stessa pericolosa strada, non più in Medio Oriente, Africa o Asia Centrale ma bensì in Europa. Dopo miliardi di dollari di armi già fornite all’Ucraina la stampa statunitense si sta accorgendo dei rischi connessi con la perdita di controllo su questi arsenali (che includono missili, cannoni, mortai, esplosivi, mine e droni) ponendosi inquietanti interrogativi.

Il Washington Post ha posto il problema il 14 maggio in un ampio e documentato articolo di John Hudson in cui viene posto il dubbio che le armi americane, ma anche quelle fornite dai paesi NATO europei, non andranno nelle mani giuste e quanto alto sia il rischio che vengano dirottate da trafficanti considerato che l’Ucraina è uno dei principali hub europei del traffico di armi. Il timore è che parte delle attrezzature più sofisticate donate a Kiev, come droni, missili antiaerei e anticarro, possa finire nelle mani degli avversari dell’Occidente o che possa riemergere in futuro in altri conflitti o finire nelle mani di terroristi islamici.

Per William Hartung, esperto del think tank Quincy Institute, rivela che se in Afghanistan “gli Stati Uniti avevano una presenza importante nel Paese che consentiva di avere almeno la possibilità di tracciare i percorsi delle armi, in Ucraina il governo statunitense è cieco in termini di monitoraggio delle armi fornite alle milizie civili e ai militari”. E se l’esempio virtuoso è l’Afghanistan, dove le armi americane sono tutte finite in mani talebane, c’è poco da stare tranquilli.

Secondo Rachel Stohl, vicepresidente dello Stimson Center – “in Ucraina è semplicemente impossibile tenere traccia non solo di dove vanno tutti questi equipaggiamenti e chi li userà, ma anche di come vengono usati”. Il Washington Post ha ricordato che l’Ucraina è sempre stata, fin dalla sua indipendenza post-sovietica, il paradiso dei trafficanti di armi grazie anche alla corruzione endemica e dilagante. Small Arms Survey ha valutato che una parte dei 7,1 milioni di armi portatili a disposizione dell’esercito ucraino nel 1992 fu “dirottata verso aree di conflitto” rilevando un aggravamento della situazione dopo lo scoppio della guerra nel Donbass, nel 2014, quando i combattenti di entrambe le fazioni svuotarono i depositi di armi e munizioni senza che si sappia dove questi equipaggiamenti siano poi finiti. “Non è chiaro – dice Annie Shiel, consulente del Center for Civilians in Conflict – quali misure di mitigazione del rischio o di monitoraggio abbiano adottato gli Stati Uniti e gli altri Paesi, o quali garanzie abbiano ottenuto, per garantire la protezione dei civili”.

Tutte valutazioni di buon senso ma è curioso che i grandi media statunitensi si pongano solo adesso il problema o scoprano che l’Ucraina non è la Svizzera, dopo aver fornito migliaia di tonnellate di armi e munizioni a uno stato corrotto, a rischio di collassare e che arma civili e milizie estremiste della Guardia Nazionale come i battaglioni ultra nazionalisti di ispirazione nazista. Eppure per cogliere i rischi insiti in queste forniture militari sarebbe stato sufficiente leggere la Nuova Bussola Quotidiana che il 10 marzo scorso spiegava come “le armi distribuite alle milizie potrebbero inoltre venire impiegate per compiere azioni criminali o finire sul mercato clandestino che alimenta malavita organizzata e gruppi terroristici, specie in una nazione che registra un elevatissimo tasso di corruzione negli apparati pubblici. Meglio non dimenticare che la mafia ucraina è ramificata anche in Medio Oriente e Caucaso e che almeno due battaglioni di jihadisti ceceni combattono al fianco degli ucraini in contrapposizione alle truppe governative cecene filo-russe presenti anch’esse in questo conflitto. L’ipotesi che un buon quantitativo di missili e lanciarazzi anticarro o antiaerei finiscano nelle mani di milizie jihadiste è in incubo per la sicurezza della stessa Europa che quelle armi sta fornendo a Kiev senza alcun apparente controllo. Di fronte a questa minaccia l’opzione che tali arsenali cadano in mano ai russi o vengano distrutti in battaglia appare quasi auspicabile rispetto al rischio di armare pesantemente malavitosi e terroristi”. 

E’ certamente positivo che istituzioni e media statunitensi si pongano oggi gli stessi interrogativi che la Nuova BQ aveva evidenziato oltre due mesi or sono anche se è evidente che oggi è ormai troppo tardi per porvi rimedio. Ha poco senso ormai chiedersi se non sia il caso di chiudere il recinto quanto i buoi sono già scappati da tempo.