CEI e abusi, un rapporto che nasconde più di quanto chiarisca
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È stato presentato come un rapporto sugli abusi commessi in ambito ecclesiale, ma in realtà quella dei vescovi italiani appare come un'operazione autoreferenziale per dimostrare quanto si stia facendo per prevenire e combattere gli abusi. E i numeri riguardano le segnalazioni, ma poco si capisce sulla loro attendibilità e soprattutto sulle caratteristiche di questo fenomeno.

Che senso ha diffondere la notizia di un rapporto della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) che afferma che nel biennio 2023-2024 ci sono state «115 vittime di presunti abusi» nell’ambito ecclesiale? O meglio, qual è il vero scopo di un rapporto che in effetti è la “Terza rilevazione sulla rete territoriale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili”? Perché da come è stato comunicato ci si aspetterebbe un rapporto sugli abusi sessuali commessi da preti, religiosi ed educatori cattolici, e così è passato di fatto sulla stampa. Dal che si ricava una impressione deprimente della Chiesa italiana, visto che si commette in media almeno un abuso a settimana.
In realtà leggendo il rapporto si capisce che la rilevazione – iniziata nel 2020 dopo la pubblicazione nel 2019 delle Linee guida della CEI sul comportamento in caso di abusi - non è tanto concentrata sulla realtà degli abusi in sé quanto sul miglioramento delle strutture ecclesiali nell’intercettare le denunce e ascoltare e accompagnare le presunte vittime. Si ha cioè l’impressione di un rapporto autoreferenziale in cui la Chiesa italiana vuole dimostrare quanto sia brava a mettere in pratica dei provvedimenti per prevenire, conoscere e riparare eventuali abusi. Le parole d’ordine sono formazione, ascolto, accoglienza, trasparenza, collaborazione con le autorità civili, tutti settori in cui si dice si è fatto molto ma su cui si chiede di investire di più.
Da questo punto di vista sì, i numeri sono impressionanti: solo nel 2024 sono stati organizzati «781 incontri di formazione e sensibilizzazione (…) a cui hanno partecipato circa 23mila persone». In pratica è una media nazionale di oltre due incontri di formazione al giorno, ognuno con in media 30 partecipanti. Si ha l’impressione di una mobilitazione sbilanciata se si mettono a confronto non solo i numeri delle segnalazioni ma anche le risorse impegnate nell’affronto di questo problema particolare – per quanto grave – rispetto all’impegno per l’annuncio del Vangelo, rispetto alla preoccupazione di portare Cristo al mondo, come sollecitato anche da papa Leone XIV nei primi discorsi del suo pontificato.
Prova ne è che anche quando si affronta il tema culturale, cioè il come si aiuta a prevenire e combattere un clima di tolleranza degli abusi e di occultamento, non si va mai alla radice del problema che – come diceva papa Benedetto XVI – è anzitutto la crisi di fede. Scorrendo le pagine di questo rapporto invece si è portati a credere che la crisi di fede – soprattutto nei sacerdoti – nulla c’entri con la piaga degli abusi e che la soluzione sia solo una questione di trasparenza e alleanza fra tutte le componenti della società.
Siamo davanti dunque a un approccio del tema degli abusi che sembra fatto apposta per presentarsi bene davanti al mondo e farsene anzi partner; quello stesso mondo ipocrita che tiene l’indice puntato contro la Chiesa mentre è silente e complice con il mare di abusi sessuali che si commettono in ambiti civili, soprattutto a danno dei bambini, come l’associazione Meter di don Fortunato di Noto non smette di documentare. Basti pensare che in Italia – dati del Ministero dell’Interno – si commettono ogni anno circa 40mila reati sessuali con vittime minorenni.
Ciò ovviamente non giustifica neanche uno degli abusi commessi in ambito ecclesiale, ma dà la dimensione del fenomeno.
Ma proprio su questo il Rapporto della CEI alla fine è carente, perché la parte che riguarda i dati reali degli abusi manca di molti tasselli. Le 115 vittime citate – e che fanno titolo – in realtà sono presunte e il rapporto non aiuta certo a capire quante di queste sono vere. I numeri infatti si riferiscono alle segnalazioni, ma quante di queste sono realmente verificate? Quante di queste sono denunciate e accertate dalle autorità civili?
A fronte delle segnalazioni poco si sa di che fine fanno: solo di 42 si ha notizia di passi successivi in ambito canonico: 16 indagini in corso, 11 provvedimenti restrittivi a fine indagine, 6 documentazioni trasmesse al Dicastero per la Dottrina della Fede, 5 processi canonici in corso, 3 archiviazioni e 1 condanna. Teniamo poi conto che ormai quando si parla di abusi nella Chiesa si dà per scontato che siano sessuali, ma andando a guardare nei dati offerti dal rapporto scopriamo che invece una parte importante delle segnalazioni riguarda abusi spirituali e psicologici (31) e 36 sono le denunce per «linguaggio inappropriato (offese, ricatti affettivi e psicologici, molestie verbali, manipolazioni psicologiche, comportamenti seduttivi, dipendenze affettive…)».
Più della metà dunque sono abusi non propriamente sessuali. E tenendo conto che la maggior parte dei presunti responsabili sono chierici e religiosi e più della metà delle presunte vittime sono maschi sarebbe interessante incrociare questi dati; tanto più che mentre la sintesi comunicata sottolinea il dato che «la fascia d’età più colpita tra le presunte vittime è quella di 10-14 anni (31,3%)», si omette che la stessa percentuale riguarda gli over 18: quanti di questi sono maschi? E quante sono le molestie sessuali propriamente dette in questa fascia d’età? Ovvero, quanto c’entra l’omosessualità con gli abusi commessi?
Tutte cose che sarebbe utile sapere per analizzare effettivamente il fenomeno degli abusi nella Chiesa, ma su questo il Rapporto della CEI glissa. E questo la dice lunga su quanto si voglia davvero fare per affrontare il tema degli abusi.