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VOTO CATTOLICO

Cattolici:forti nella società deboli in politica

I cattolici praticanti sono quasi la metà del paese, ma sono scomparsi dalla politica, come dimostrano anche queste amministrative. Ora hanno meno di un anno per organizzarsi. Non si tratta beninteso di ritagliarsi un “partito cattolico” a presidio di una riserva indiana. Si tratta piuttosto di lavorare a proposte e a spazi politici di matrice cristiana ma interessanti e attraenti per tutti.

Editoriali 27_06_2017
Corpus Domini a Milano

Il composto distacco con cui i salotti radiotelevisivi hanno commentato ieri l’esito del turno di elezioni comunali di domenica ha confermato ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto il grosso dei mass media sia organicamente schierato con il centrosinistra. Non era un’analisi della situazione; era un’elaborazione del lutto.

In effetti l’altissimo tasso di astensione dovrebbe però attenuare sia lo sconforto dei vinti che l’entusiasmo dei vincitori. Se in altre circostanze anche solo una parte di quegli astenuti tornasse alle urne la situazione potrebbe cambiare, e oggi non si può dire come.

Al di là di questo c’è però un problema di fondo su cui occorre cominciare a riflettere attentamente. Mai come adesso in tutta la storia dello Stato italiano la presenza nella vita pubblica della gente di fede è stata così dispersa e soprattutto così irrilevante come oggi. Se si confronta la presenza cristiana nella società del nostro Paese con la presenza nelle istituzioni di cristiani espliciti e non complessati cascano le braccia.  

Tuttora in Italia il 49% della popolazione si dichiara cattolica praticante e il 33% dichiara di recarsi a messa una volta alla settimana. Non è una stima nostra. Si tratta dell’esito di ricerche di Renato Mannheimer, un autorevole sondaggista che  per storia personale e per storia politica è ben lontano dall’ambiente cattolico. Sono dati che si ritrovano in un interessante volumetto dal titolo Demoskoppiati? edito l’anno scorso da Jaca Book. Si tratta poi di fare tutta la tara dovuta, e resta da interrogarsi su quanto di preciso e di impegnato corrisponda a tali affermazioni. Al di là di tutto questo, sta di fatto che tali dati sono sintomo certo di una disponibilità e di un’attenzione di cui la Chiesa, e quindi tutti noi, abbiamo il dovere di tener conto.

Mi permetto al riguardo di citare un’esperienza personale. Come moltissimi, anch’io ho partecipato lo scorso giovedì 15 giugno a Milano alla processione del Corpus Domini guidata dal cardinale Angelo Scola. La processione iniziava dalla basilica di San Lorenzo alle Colonne, che dà sulla piazza al centro della “movida” milanese, in un’ora di punta di tale “movida”. Mi aspettavo perciò che la processione venisse ignorata se non disturbata. Invece alla sua uscita dalla basilica sulla piazza è sceso il silenzio, e molti avventori si sono affacciati dai bar, magari con un bicchiere di birra in mano, a seguirne il passaggio con attenzione e rispetto. I pochissimi che abbozzavano qualche commento ironico venivano zittiti. E lo stesso rispettoso silenzio la processione ha suscitato nei passanti e negli avventori dei locali pubblici lungo tutto il suo percorso sino al Duomo. L’episodio mi ha confermato quanto fondate siano le valutazioni di Mannheimer di cui dicevo.

In questo quadro tanto più diviene ingiustificata l’irrilevante presenza cristiana nella vita pubblica del Paese in campo sia politico che culturale e mediatico. Al netto di quei cristiani – così frequenti sulla stampa e nei salotti televisivi ufficiosi cattolici – che considerano l’incontro con Cristo, non tanto come una grazia, quanto come un handicap con cui imparare a convivere, si registra un’assenza quasi assoluta.

Torniamo però da dove siamo partiti ossia al campo della politica. Qui le cose vanno, se possibile, anche peggio. Fra un centrosinistra dove, diremo evocando il famoso quadro di Delacroix,  “la Libertà che guida il popolo” è Monica Cirinnà, e un centrodestra dove invece è Maria Vittoria Brambilla la scelta diventa davvero difficile.  Per il momento possiamo confortarci con il fatto che probabilmente si andrà a votare non prima del prossimo febbraio, ma tale conforto è lecito solo nella misura in cui chi può faccia qualcosa perché il mondo della politica, della cultura e dei media corrisponda un po’ di più alla situazione reale del Paese. Non si tratta beninteso di ritagliarsi un “partito cattolico” a presidio di un perimetro che sarebbe perciò sempre più simile a una proverbiale riserva indiana. Si tratta piuttosto di lavorare a proposte e a spazi politici di matrice cristiana ma interessanti e attraenti per tutti. Da un punto di vista teorico, ossia del pensiero, si tratta di prendere le mosse per esempio dalla Caritas in veritate, che giustamente Ettore Gotti Tedeschi ama definire “l’enciclica della globalizzazione”. Dal punto di vista pratico, ossia dello spazio politico, c’è da sperare nell’imprevisto di un politico, di un gruppo di politici, capaci di appassionarsi non solo alla tattica ma anche alla strategia, e interessati a qualcosa d’altro che vada anche al di là della pur legittima causa della loro personale sopravvivenza.