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CORSI PER DOCENTI

Carriera alias a scuola, il governo Meloni s'inchina al gender

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In svolgimento da ieri a Brescia un corso per docenti patrocinato dal Ministero del Lavoro e che promuove il «superamento del binarismo» e la carriera alias. Una procedura, questa, illegale e contraria al bene degli studenti. L’appello di Pro Vita & Famiglia all’esecutivo: «Ritiri il patrocinio». Esso risale al governo precedente, ma l'attuale non ha inteso revocarlo. E il centrodestra, sui temi etici, vira sempre più a sinistra.
- QUATTRO ANNI FA IL VATICANO SMONTAVA IL GENDER, di Fabrizio Cannone

Attualità 01_03_2023

Zitto zitto, tra un’omissione e un passo avanti alla volta, il Governo Meloni sembra procedere lungo la stessa linea tracciata dagli esecutivi di centrosinistra in tema di adesione alla teoria del gender, contribuendo a diffonderla in uno degli ambiti dove può avere gli effetti più deleteri: la scuola. Ad oggi si tratta di casi singoli o iniziative a livello locale, domani chissà.

Fino al 28 marzo, ogni martedì, è in programma a Brescia un corso (iniziato ieri) rivolto ai docenti delle scuole medie e superiori, che ha il fine dichiarato di «valorizzare le differenze». Il corso – previsto all’interno del Pon Inclusione, cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo – ha il patrocinio, tra gli altri, del Ministero del Lavoro e della Rete Antidiscriminazioni Brescia, che riunisce varie realtà associative (diverse di matrice “arcobaleno”) e istituzionali, tra cui l’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia (dipendente dal Ministero dell’Istruzione).

Quali siano le «differenze» da valorizzare è presto detto. Basta dare un’occhiata ai titoli delle varie lezioni per constatare che si tratta della solita solfa sulla fluidità sessuale in chiave Lgbt-eccetera, che vede come retrograda la complementarità maschile-femminile. I titoli, in ossequio alla neolingua, sono già tutto un programma. Si va dalla lezione (di ieri) che propone di passare «dalla rigidità stereotipica alla complessità multipla» a quella conclusiva sul «bullismo omolesbobitransfobico», passando per la lezione del 7 marzo, che intende trattare il «superamento del binarismo» e le «ricadute sulla scuola (nome di elezione, carriera alias)».

Il concentrato di ideologia gender previsto a Brescia non è sfuggito a Pro Vita & Famiglia, che ieri, attraverso il presidente Toni Brandi e il suo vice Jacopo Coghe, ha denunciato l’iniziativa e chiesto al Governo di ritirare il patrocinio del Ministero del Lavoro ed emanare delle linee guida che fermino la diffusione della carriera alias. Quest’ultima è la famigerata procedura inventata da organizzazioni Lgbt e, dietro loro pressione, già diffusa in vari campi della società. Per restare al mondo della scuola, dove la sua adozione è stata fin qui limitata alla scelta (abusiva) di singoli istituti, la carriera alias consente di usare nei registri e in altri documenti scolastici un nome diverso da quello presente all’anagrafe, così da esprimere la cosiddetta “identità di genere” percepita da una data persona, che non si rispecchia nel proprio sesso biologico. Si tratta di un regolamento «illegale», come ricorda Brandi, e che «rischia di instillare negli studenti il dubbio di essere nati nel corpo sbagliato. La scuola non può essere il terreno di propaganda delle istanze LGBTQIA+».

Qualunque persona di buonsenso capisce da sé come la carriera alias contraddica quella che dovrebbe essere la missione propria della scuola, cioè di istruire ed educare al vero. Questa invenzione dell’ideologia Lgbt sostituisce la verità oggettiva (fondata sulla natura maschile-femminile) con la percezione soggettiva, contribuendo non a risolvere bensì ad acuire la confusione di un adolescente rispetto alla propria identità sessuale. Ciò, oltre ad avere ricadute a livello mentale, porta spesso, com’è noto, a interventi ormonali e chirurgici che devastano un corpo sano. Lo ha ricordato, intervenendo sul caso, anche l’ex senatore Simone Pillon, richiamando la vicenda emblematica della clinica Tavistock, nel Regno Unito. «Ogni cedimento alle ideologie affermative, già sbugiardate in Gran Bretagna col caso Tavistock, mette a rischio la salute dei minori con disforia, spesso sottoposti a trattamenti ormonali devastanti o peggio a vere e proprie mutilazioni chirurgiche, condannandoli a infertilità e altre gravi patologie. È probabile che il patrocinio sia frutto di un errore burocratico. Spero e mi auguro che il Ministero voglia revocarlo quanto prima».

Va aggiunto che anche se il patrocinio dell’iniziativa bresciana è stato deciso, nell’ambito del Pon, da un esecutivo precedente - come ha nel frattempo confermato all'Adnkronos il viceministro del Lavoro, Maria Teresa Bellucci, prendendo le distanze dall’iniziativa -, questo Governo avrebbe potuto (e può) in qualunque momento revocare il patrocinio stesso; ma fin qui - seppur sollecitato in tal senso da settimane, come ha appreso la Bussola - non ha voluto farlo.

Del resto, sul tema del gender e della carriera alias in particolare, il Governo Meloni aveva dato fin dalle prime settimane segnali non incoraggianti sul piano della difesa del diritto naturale e dello stesso ordinamento giuridico italiano, che non consente in nessun caso – nemmeno in via provvisoria – di avere una doppia identità. Vedi le parole elusive del ministro Giuseppe Valditara nella vicenda dello scorso autunno al Liceo Cavour di Roma, parole che non andavano alla radice del problema, ossia appunto la previsione della carriera alias; vedi ancora le dichiarazioni, a dicembre, dello stesso ministro, secondo cui «quello della carriera alias è un tema molto delicato. Ci stiamo riflettendo». Eppure, dovrebbe essere chiaro, per quanto detto, che essa non solo è illegittima ma va contro il bene degli studenti.

Il cedimento sul gender non è l’unico sui temi etici: basti ricordare il cortocircuito in materia di aborto, culminato con il voto all’ordine del giorno “salva 194”; e l’accelerazione dell’entrata in vigore delle norme sul divorzio lampo, contenute nella Riforma Cartabia fatta sotto Draghi. In sostanza, pur con eccezioni al suo interno e con una minore spinta radicale, il centrodestra si mostra sempre più appiattito sulle posizioni della sinistra, vuoi per convinzione, vuoi per un senso di subalternità culturale. Se è vero che già durante la campagna elettorale si erano avuti diversi segni di questo appiattimento, è altrettanto vero che in questi primi mesi al potere il Governo Meloni ha fatto, sui temi etici, un preoccupante “salto di qualità”, avallando posizioni via via più discutibili.