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VITTIMA DEL COMUNISMO

Bossilkov, il vescovo martire ‘chiamato’ dal Crocifisso

Passionista, Eugenio Bossilkov stimolava a meditare sulla grandezza del sacrificio di Gesù e l’essenza del cristianesimo. Devotissimo a Maria, divenne presto inviso al regime sovietico instauratosi dopo l’invasione della Bulgaria. I comunisti lo fucilarono, in odio alla fede, l’11 novembre 1952. Ma intanto lui aveva lasciato splendidi insegnamenti sul martirio e la preghiera.

Ecclesia 11_11_2021

“Ho il coraggio di vivere, spero di averlo anche per subire il peggio, restando fedele a Cristo, al Papa e alla Chiesa”. Sono parole del beato Eugenio Bossilkov (1900-1952), vescovo e martire, modello di vita cristiana in un Paese come la Bulgaria oppressa dal comunismo. Dove si poteva essere uccisi a causa della fede.

Battezzato con il nome di Vincenzo, era nato a Belene il 16 novembre 1900 da umili contadini di antica tradizione cattolica. Simpatico e intelligente, impegnato negli studi, il Crocifisso lo aveva già affascinato da fanciullo. Lo aveva chiamato. Per amore a Cristo, nel 1914, decise di recarsi nel Seminario di Courtrai, in Belgio: il suo sogno era diventare sacerdote passionista. Ma entriamo più profondamente nella vita di Bossilkov per comprenderne non solo la personalità ma soprattutto il suo sacrificio d’amore verso la Chiesa.

Fin dall’infanzia la sua vita è segnata dalla Passione di Cristo. Vincenzo era un bambino vivace. Un giorno si trovava con altri bambini a divertirsi sulla riva bulgara del Danubio. All’improvviso, Vincenzo scivolò e cadde nel fiume. Alle sue grida disperate, la madre, nel tentativo di salvarlo, promise di donarlo a Dio come sacerdote. Un destino segnato dalla grazia divina. Un prescelto al martirio.

A soli 19 anni, allora, indossa l’abito passionista e diventa “Confratel Eugenio”. Ama leggere, studiare, approfondire san Paolo della Croce. Il 25 luglio 1926 è ordinato sacerdote. Nel 1932, su sua richiesta, è mandato come parroco a Bardarski-Gheran, un grosso paese nel centro della pianura danubiana. Lì comincia la sua missione tra il popolo, tra i ragazzi soprattutto. Diviene insegnante di religione in una terra arida e atea. Vive le sue giornate sempre vicino ai giovani: è importante l’aspetto pedagogico del cristianesimo, importante dare il Messaggio ai semi che diventeranno alberi del domani. “Ho passato serate intere argomentando con questi giovani”, scriverà nelle sue pagine.

La Croce e la sua vita, un intreccio che diviene azione pastorale. Il connubio è naturale per un passionista: “Ma ci pensate? Un Dio flagellato, coronato di spine, inchiodato alla croce, per me, per voi, come se tu solo esistessi al mondo?”. Queste parole scuotevano l’uditorio, lo facevano riflettere e meditare sulla grandezza del cristianesimo. Un vero e proprio pericolo per il regime comunista, ovviamente. Radunare folle, trasmettere il libero pensiero non era un’impresa facile per l’epoca. E il regime aveva timore di figure carismatiche come padre Eugenio. A questo quadro, si aggiungeva una fervente devozione a Maria Santissima, nulla di più pericoloso per il regime. Bossilkov trasformò la sua parrocchia in un centro da cui partivano tutte le iniziative mariane della sua diocesi.

9 settembre 1944, una data storica per la Bulgaria: i sovietici invadono il Paese con violenza inaudita. Morte e devastazione, espressa da un regime che subito si impegna nella persecuzione di molti cattolici. Decine di migliaia sono gli uccisi in questo momento così delicato. Ma padre Eugenio non demorde. Prima come “semplice” monsignore, poi come vescovo di Nicopoli, non smette di dedicare la sua vita alla libertà, alla difesa estrema della fede. Sulle orme dei primi cristiani. Le sue parole sono chiare: “Per me il martirio e la persecuzione sono grazie di Dio, nelle quali si afferma la fede cristiana, sono un anticipo di vita eterna per la Chiesa di Cristo su questa terra. Ecco perché accetto la morte come un grandissimo dono. Il solco del nostro sangue traccerà la strada per un futuro radioso e, anche se non vivrò abbastanza a lungo, altri raccoglieranno quello che abbiamo seminato con sofferenza. Là dove regna l’ingiustizia, trionferà l’onnipotenza di Dio”.

16 luglio 1952: Eugenio Bossilkov viene arrestato con una quarantina di sacerdoti, alcune suore e un gruppo di fedeli laici. Per diverse settimane viene torturato: lo scopo dei comunisti è quello di fargli ammettere colpe mai compiute. Il 19 settembre inizia a Sofia il processo farsa contro di lui e gli altri sacerdoti catturati. Davanti alle sue risposte, i giudici si trovano in imbarazzo. Ma è già scritto che deve “sparire”. Il 3 ottobre 1952, viene condannato ingiustamente alla fucilazione. Le sue ultime parole al processo sono una dichiarazione d’amore per il Signore, per il suo ministero: “Non accetto nessuna grazia, perché sento che il Signore mi dà la forza per accogliere la morte, come Lui vuole. Non ho rinnegato nessuno, né Gesù Cristo, né il Papa, né altri”.

L’11 novembre 1952 viene fucilato in odio alla fede, in odio a Cristo. Forza della preghiera, forza della fiducia in Dio. In una delle sue lettere a un amico, scriveva: “La preghiera è la lingua materna dell’anima. Non siamo capaci di fare molte cose, ma pregare possono tutti e dappertutto. Nella preghiera tutto si raccoglie insieme: ciò che viviamo e soffriamo, ciò che ci capita di gioia, dolore e bisogno, ciò che guadagniamo e perdiamo. Lo mettiamo insieme e lo portiamo a Dio… Perché non siamo più zelanti nel servizio di Dio, perché siamo deboli nelle tentazioni? La risposta è una sola: noi non preghiamo o non preghiamo come si deve”. Parole che fanno meditare, e molto. Sul nostro oggi, soprattutto.