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GUERRA IN EUROPA

Bombardate le città ucraine, altro passo nell'escalation

Missili sulle città e soprattutto sulle infrastrutture ucraine, risposta immediata alla distruzione del ponte di Kerch. E così si compie un altro passo nell'escalation del conflitto. Nel frattempo i russi cambiano il comandante delle operazioni: il generale Surovikin, veterano delle guerre in Tagikistan, Cecenia e Siria. 

Esteri 11_10_2022
Kiev dopo l'ultimo bombardamento

Secondo il governo ucraino sarebbero almeno 84 i missili da crociera lanciati ieri alla Russia nell'attacco alle città ucraine, considerato la diretta e consequenziale rappresaglia per l’attentato dinamitardo compiuto con un camion bomba sul ponte di Kerch che unisce la Penisola di Crimea a quella di Taman, in territorio russo. Kiev sostiene che oltre ai missili sarebbero stati impiegati anche 24 velivoli teleguidati inclusi 13 Geran-2, versione russa degli iraniani Shahid-136.

Di questi gli ucraini dichiarano di averne abbattuti 56, 43 missili e 13 Uav. Dati che è impossibile verificare ma di certo l’attacco russo ha colpito duramente Kiev e molte altre città ucraine. Nella capitale, che non veniva attaccata dai russi dal 26 giugno scorso, è stato preso di mira anche il quartier generale dei servizi segreti (Sbu), accusati da Mosca di aver pianificato e attuato l’attentato al ponte. Nel mirino dei missili russi anche numerose infrastrutture critiche quali le centrali elettriche colpite in otto regioni di cui 4 rimaste senza energia elettrica (Lviv, Poltava, Sumy e Ternopil) e nella capitale dove sono scoppiati oltre 30 incendi.

Kiev lamenta la morte di 11 persone e il ferimento di altre 64, ma mentre il governo ucraino lamenta la natura “terroristica” di questi attacchi subito seguito a ruota dalle cancellerie europee, appare evidente che l’attentato al ponte, sul territorio della Federazione Russa, ha determinato un’escalation ulteriore del conflitto. E, soprattutto, che i russi non sono a corto di missili come periodicamente viene annunciato dai servizi d’intelligence occidentali. Non si tratta di quell’escalation nucleare di cui tanto ci si è preoccupati recentemente in Europa, ma appare scontato che Mosca ora attui una rappresaglia basata sull’attacco alle infrastrutture ucraine quali centrali elettriche, dighe e i ponti sul Fiume Dnepr. Fino a ieri gli ucraini lamentavano che 700 mila persone vivevano senza energia elettrica a causa della guerra e quasi altrettante senza poter disporre di gas: incrementare il numero di cittadini ucraini disagiati potrebbe rientrare nella strategia russa tesa a togliere consenso al governo di Kiev.

Il 9 ottobre il presidente russo Vladimir Putin ha puntato il dito contro l servizio segreto ucraino Sbu per quello che ha definito un "atto di terrorismo" contro il ponte che collega la Russia alla Crimea. "Non ci sono dubbi. Si tratta di un atto di terrorismo che aveva lo scopo di distruggere un'infrastruttura civile di importanza critica per la Federazione russa", ha detto Putin nella sua prima dichiarazione dopo l'esplosione che ha devastato il ponte. Cittadini russi e Stati stranieri hanno contribuito alla preparazione dell'attacco, ha aggiunto il capo dell'agenzia investigativa nazionale Alexander Bastrykin. Il Cremlino ha reso noto che Putin avrebbe incontrato il giorno successivo (ieri, per chi legge) il Consiglio di Sicurezza Nazionale per discutere la risposta all'attacco. L'intelligence statunitense nega un coinvolgimento dell’Occidente negli attacchi al territorio russo, con le recenti rivelazioni al New York Times in cui gli 007 americani accusavano i colleghi ucraini per l’uccisione di Darya Dugina a Mosca, nell’agosto scorso, facendo sapere che non erano stati coinvolti nell’omicidio né ne erano stati informati.

Ieri Putin ha promesso una ''risposta dura'' agli attacchi contro la Russia in un discorso trasmesso dalla televisione pubblica. ''Se continueranno gli attacchi contro la Russia, la risposta sarà dura'', ha dichiarato Putin, affermando che ''le risposte saranno della stessa portata delle minacce alla Russia''. Mosca sembra del resto voler enfatizzare l’impatto degli attacchi al suo territorio. Domenica il servizio di sicurezza interna (Fsb) ha rilevato un "aumento significativo" del numero di attacchi alle regioni di confine della Federazione Russa da parte dell'Ucraina dall'inizio di ottobre con “oltre 100 bombardamenti su 32 insediamenti nelle regioni di Bryansk, Kursk e Belgorod utilizzando razzi, cannoni di artiglieria, mortai e veicoli aerei senza pilota".

Il Cremlino sembra quindi voler premere nella comunicazione sulla minaccia al territorio nazionale e sul crescente ruolo di Usa ed Europa negli attacchi alla Russia con l’obiettivo, non secondario, di cementare il sentimento patriottico e sostenere la chiamata alle armi, anche se parziale, avviata con la mobilitazione di 300mila riservisti. Lo scopo è arginare e poi contrattaccare sui campi di battaglia, dopo le recenti vittoriose controffensive ucraine che hanno portato alla riconquista della regione di Kharkiv e di alcune aree sul fronte meridionale nei territori a nord del fiume Dnepr sotto il controllo russo. La portavoce del comando militare meridionale, Natalia Humeniuk, parlando con la tv di Kiev ha detto che, da fine agosto ad oggi, "sono stati liberati oltre 1.170 chilometri quadrati nella regione di Kherson".

Un altro attacco potrebbe essere in preparazione nella regione di Zaporozhye (una delle quattro annesse alla Russia dopo i referendum di fine settembre) dove fonti filo-russe riferiscono si siano concentrati 5mila “mercenari” polacchi che affiancherebbero le forze di Kiev pronte a cercare di spezzare lo schieramento russo per puntare sul porto di Berdyansk. Un’operazione ardita che permetterebbe di spezzare la continuità territoriale tra il Donbass e la Crimea, minacciando il totale controllo russo sul mare d’Azov conseguito nelle prime settimane di guerra e con la caduta di Mariupol.

L’impiego di contractors stranieri (principalmente americani, britannici e polacchi) era già stato rilevato durante l’offensiva ucraina nell’oblast di Kharkiv. Si tratterebbe di ex militari e combattenti esperti reclutati da alcune società militari private (Pmc) su commessa dei governi di Londra, Washington e Varsavia con stipendi che variano dai mille ai 2mila dollari al giorno. Professionisti dalle qualità ben maggiori rispetto alle migliaia di volontari che si riversarono in Ucraina nei primi mesi di guerra per aiutare le forze di Kiev. Oltre a mobilitare rinforzi, Mosca sta varando contro misure militari che mirano a riassumere l’iniziativa sui fronti di guerra e del resto nel settore di Donetsk le truppe russe continuano ad avanzare lentamente nel settore di Bakhmut. 

Dopo le ultime ritirate e la caduta di Lyman, Mosca ha posto al comando di tutte le forze impegnate nell’operazione speciale il generale Sergey Surovikin, che da giugno comandava le truppe sul fronte meridionale ucraino. "Il generale di corpo d'armata Sergey Surovikin è stato nominato comandante del gruppo combinato di truppe nella zona dell'operazione militare speciale", si legge in comunicato del ministero della Difesa russo dell’8 ottobre. Destinato a sostituire il generale Gennady Zhidko, ha 55 anni, è un veterano della guerra civile in Tagikistan negli anni '90, della seconda guerra cecena negli anni 2000 e dell'intervento in Siria dal 2017 dove si guadagnò la medaglia di “Eroe della federazione Russa” per aver consentito alle forze di Damasco di liberare dai ribelli jihadisti oltre il 50% del territorio nazionale.

Surovikin viene già dipinto in Ucraina e in Occidente come “il macellaio”, termine affibbiato ormai a tutti i comandanti russi avvicendatisi al comando delle operazioni negli ultimi sette mesi. L’Europa del resto non sembra riuscire a emanciparsi dalla linea imposta dalla propaganda ucraina neppure dopo che il presidente Volodymyr Zelensky ha chiesto nei giorni scorsi (per poi ritrattare parzialmente e in modo confuso) alla NATO di attuare un attacco atomico preventivo contro la Russia.

Sul fronte dell’energia il Vecchio Continente rischia il tracollo totale ma al tempo stesso ha fornito dall’inizio della guerra ben 100 miliardi di euro alla Russia (finanziandone di fatto il conflitto) per acquistare gas e petrolio a prezzi altissimi e in quantità del tutto insufficienti. Cifra impressionante, resa nota dal centro studi finlandese per l’energia CREA, che cozza brutalmente con la narrazione delle sanzioni che avrebbero dovuto piegare Putin.