Beirut bombardata. Alla vigilia della visita del Papa, la pace latita
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Proprio il giorno dopo la festa dell'indipendenza del Libano dai francesi, il 23 novembre l'aviazione israeliana sferra un clamoroso attacco a Beirut, per uccidere il leader Hezbollah, Haitham Ali Tabatabai.
All’indomani del 22 novembre, giorno in cui la Repubblica del Libano ha festeggiato l’ottantaduesimo Giorno dell’Indipendenza dal controllo francese, l'IDF ha sferrato un clamoroso attacco su Haret Hreik, periferia sud di Beirut, che ha provocato sei vittime e almeno 28 feriti.
Bersaglio dell’operazione, rivendicata da Israele, l’alto ufficiale di Hezbollah Haitham Ali Tabatabai, il cui decesso nell’attacco è stato confermato dalla milizia sciita.
In occasione del Giorno dell’Indipendenza il presidente della Repubblica libanese Joseph Aoun aveva tenuto il consueto discorso ufficiale da una sede inedita, il quartier generale dell’esercito libanese a Tiro, capitale del sud, regione quotidianamente colpita dagli attacchi israeliani. Benché pronunciato da un luogo altamente simbolico, il discorso di Aoun è risultato inevitabilmente ambiguo - troppe le pressioni sul fragile Libano, in primis quelle americane - e disconnesso dalla realtà dei fatti.
Il presidente ha affermato che il nuovo Libano è pronto a negoziare, ad accogliere le sfide del “cambiamento regionale” che certi attori interni (leggi Hezbollah) invece non vogliono accettare. Aoun ha invitato la politica e la società civile del Libano e della comunità internazionale, Israele compresa, ad aderire ad una sua “iniziativa” in cinque punti, in realtà un piano già da tempo concordato con gli USA: il dispiegamento dell’esercito libanese, unico autorizzato, nel sud, la consegna di tutte le armi presenti nel Paese nelle mani dello Stato, il ritiro di Israele dal territorio libanese con il ritorno alla vita dei villaggi delle aree di confine e l’impegno per la pace sulla base della “giustizia e del diritto”.
La risposta dello Stato Ebraico all’“iniziativa” presidenziale non si è fatta attendere, ed è stata la peggiore possibile; erano mesi che IDF non colpiva Beirut, fatta salva la costante presenza di droni israeliani nei cieli della città. Quanto a Hezbollah, è ormai evidente che non abbia intenzione di cedere le armi allo Stato, anche se è improbabile che la milizia sciita risponda concretamente all’uccisione di Tabatabai; vaghe minacce all’indirizzo di Israele sono state pronunciate durante i funerali dell’ufficiale ucciso, ma al presente Hezbollah non sembra in grado di dare una risposta militare che non sia meramente simbolica.
Nonostante ciò, il giorno dopo l’attacco a Beirut, IDF ha effettuato esercitazioni in Galilea, al confine con il Libano, e il suo Capo di Stato Maggiore, Eyal Zamir, ha dichiarato: «Potremmo dover tornare a combattere nelle aree dove abbiamo già operato, e ci stiamo preparando per questo»; secondo i media israeliani un’aggressione da nord sarebbe imminente. I fatti recenti non sembrano condurre in questa direzione: il 27 novembre ricorrerà un anno dall’entrata in vigore del Cessate il fuoco tra Libano e Israele. Cessate il fuoco durante il quale IDF ha ucciso in tutto il Libano circa 330 persone, mentre nessun cittadino israeliano è stato colpito da parte libanese.
I media internazionali sembrano ignorare scientemente o non comprendere - impossibile non sapere, nell’epoca dell’informazione globalizzata - la gravità della situazione del piccolo Paese dei cedri. Il Santo Padre Leone XIV giungerà in Libano il 30 del mese per un’attesissima visita apostolica, eppure sembra che nemmeno i media vaticani sappiano o vogliano distanziarsi da una lettura superficiale degli eventi.
Nonostante i ripetuti appelli al Papa perché in occasione del suo viaggio si rechi di persona a visitare le aree del Paese dilaniate dalle aggressioni israeliane, a quanto si apprende da padre Abdo Abou Kassem, capo ufficio del Catholic Media Center di Beirut, la visita del Santo Padre seguirà il programma prestabilito. In un’intervista a Al Mayadeen padre Kassem ha smentito le voci secondo le quali ci sarebbero dei cambiamenti all’itinerario papale, che prevede visite ai santuari di Harissa e Annaya, un incontro con i giovani, una veglia di preghiera ecumenica e una Santa Messa con visita al porto di Beirut.
Se per comprensibili ragioni di sicurezza non sono indicati spostamenti del Santo Padre oltre il perimetro dell’itinerario stabilito, le aree ferite dal conflitto aspettano dal Papa almeno una parola di verità e giustizia, senza le quali ogni messaggio di pace perde di significato.

