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Islamismo

Atleta afgana sotto scorta in Francia: «A Parigi come a Kabul»

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Domenica aveva denunciato sui social la nuova legge afgana che reprime la libertà delle donne. Da allora ha ricevuto minacce di morte da tutto il mondo. Il dramma di Marzieh Hamidi, rifugiatasi a Parigi nel 2021 e oggi sotto scorta, conferma la portata dell’offensiva islamista nel cuore dell’Europa.

Attualità 12_09_2024 English
Marzieh Hamidi (da videointervista di Le Figaro)

«Quante donne devono essere uccise dai talebani affinché il mondo riconosca il crimine dell’apartheid di genere che si consuma lì?», s’è lamentata così Marzieh Hamidi in un video girato a Parigi e lanciato sui social domenica scorsa. Da quel momento, la ventunenne afgana, rifugiata in Francia, è vittima di una valanga di minacce di morte di matrice islamista. Ora è costretta a restare nascosta e sotto scorta.

Marzieh Hamidi (nella foto, tratta da una videointervista di Le Figaro) è un’atleta di taekwondo che ha trovato rifugio in Francia all’indomani del ritorno al potere dei talebani in Afghanistan. Era l’estate del 2021, e Hamidi riusciva a scappare a Parigi giusto in tempo. Oggi, grazie ad una borsa di studio, si allena con la nazionale francese all’Insep (Institut national du sport, de l'expertise et de la performance). È nata in una famiglia di rifugiati afgani scappati in Iran. Là, rifiutati dal governo, hanno sempre vissuto da clandestini, al punto che ai bambini era impedito anche di andare a scuola. Nel 2020, la famiglia è rientrata in Afghanistan con il sogno di restarci per una vita migliore, ma un anno dopo sono tornati i talebani. Trasferirsi in Francia ha significato lavorare con lo sport che le ha salvato la vita portandola fino ai giochi olimpici di Parigi 2024.

Hamidi attualmente è costretta a vivere nascosta e chissà se riuscirà mai a riacquistare la sua libertà. Quella che ha provato a rivendicare per le donne che ha lasciato in Afghanistan e che, adesso, ha perso anche lei, sebbene sia in Francia. La sua polemica nasce, infatti, all’indomani della nuova legge che l’emiro Hibatullah Akhundzada ha fatto pubblicare sulla gazzetta ufficiale afgana solo pochi giorni fa. Il testo, appena sfornato per «promuovere la virtù e prevenire il vizio» a Kabul, va a blindare tutti i precetti islamici già messi in pratica nel Paese. Trentacinque articoli che obbligano le donne, tra le tante cose, a uscire di casa solo se strettamente necessario e a farlo completamente coperte, anche per gli occhi, a non far sentire la propria voce in pubblico e a non cantare.

In particolare, il divieto alle donne di cantare ha fatto molto discutere in Europa. Rilanciato come un retaggio solo talebano, non è niente di nuovo per l’islam. Specie se si considera che qualcosa di simile è arrivato anche in Italia. Qualche anno fa, in provincia di Reggio Emilia, alcune famiglie musulmane della Bassa chiesero l’esonero per i propri figli dall’ora di musica. La cosa scatenò non poche polemiche nella scuola, ma l’anno dopo il numero di famiglie che volle riformulare la richiesta aumentò.

Il Corano ci va giù duro sulla musica perché ritenuta in sé stessa una tentazione. E a renderla materia davvero grave sono le voci femminili. D’altronde l’opinione per cui la musica sia haram perché allontana dalla retta via è molto diffusa anche tra i novelli predicatori che, ormai, su Tik Tok o YouTube hanno un enorme seguito in Europa: un’opinione che si basa sulla critica ai fenomeni occidentali, ma anche su tutta una serie di hadith di Maometto. Nell'islam c'è dell'odio per l'arte e la bellezza.

L’Afghanistan ha vietato finanche la musica in auto, il trasporto di donne senza velo e la possibilità che le donne siano in presenza di uomini che non appartengono alla loro famiglia e le donne senza un mahram, un accompagnatore che sia un parente uomo. Tutti divieti già generalmente noti nell’Emirato islamico dell’Afghanistan e che sono semplicemente stati meglio promulgati per rafforzare il controllo della popolazione e delle donne in particolare.

Ed è per aver denunciato il nuovo codice talebano e difeso le donne di Kabul, lanciando l’hashtag #LetUsExist, che l’atleta afgana Marzieh Hamidi è rimasta schiacciata sotto un diluvio di minacce di morte. Nel silenzio della stampa generalista e delle femministe, a Parigi, non a Kabul, ha perso gravemente la sua libertà. La prima telefonata è arrivata dall’Afghanistan. «Una voce in pashto – lingua iranica parlata in Afghanistan e Pakistan – mi ha detto di conoscere il mio indirizzo a Parigi», ha raccontato Hamidi. Un minuto dopo il telefono squilla di nuovo e non ha più smesso per due giorni consecutivi, «sembrava stessero facendo una gara di minacce». Tremila telefonate in 48 ore. Poi, non sono state più contate. «Ho ricevuto minacce di morte e di stupro perché mi oppongo ai terroristi e a coloro che li sostengono», ha dichiarato Hamidi.

La polizia francese s’è detta sconcertata per l’accaduto, colpita certamente per la dimensione delle minacce, ma soprattutto per la velocità con la quale da Kabul sono riusciti a intercettare cellulare e indirizzo di una donna che vive in territorio francese. L’entità delle minacce non assomiglia a nessuno dei più recenti casi, come quello di Mila – l’allora sedicenne francese costretta ad abbandonare casa e scuola e vivere sotto scorta per aver offeso Allah –, anche perché questa volta arrivano da tutto il mondo, inclusi il Belgio, la Germania, i Paesi Bassi e la stessa Francia.

Hamidi si domanda come sia possibile che, nel Paese che si rivende come patria dei diritti, si sia costretti a vivere come latitanti per aver difeso le donne afgane. «Non potevo immaginare che esprimermi così, lottare contro il terrorismo islamico, vestirmi all’occidentale, avrebbe significato mettere in pericolo la mia vita. Mi sento come a Kabul quando arrivarono i talebani, anche se sono in Francia». Hamidi riconosce, infatti, che la Parigi di oggi ha problemi simili a quelli di qualsiasi Stato amministrato dall’islam. Racconta di aver imparato presto ad evitare diversi quartieri parigini se vuole andare in giro senza velo, «so bene che a La Chapelle, per esempio, nel 18º arrondissement non posso mettere piede». «Tre settimane fa, ero a Marsiglia con un’amica, non potevamo fare tre passi senza essere toccate, molestate e insultate da gruppi di uomini. Una cosa che non mi è mai successa in Afghanistan!».

Ma anche qui, nulla di nuovo per la Francia di Macron. Ad aprile scorso, un attacco di rara violenza avveniva all’uscita da una scuola a Montpellier. Samara, 14 anni, veniva pestata brutalmente fino al coma perché «non indossa il velo, si tinge i capelli, si trucca e si veste in stile europeo». Queste le ragioni che hanno elencato le tre minorenni autrici del pestaggio selvaggio: Samara era una kouffar miscredente e per questo andava punita con una lezione esemplare. Ancora, ad Achenheim (Basso Reno), durante il Ramadan, una tredicenne sull’autobus che l’avrebbe dovuta portare a scuola veniva picchiata da quattro coetanei con l’accusa di non aver rispettato il digiuno imposto dal mese sacro islamico.

La Francia assiste ad un’offensiva islamista in un’esplosione di violenza che non ha eguali in Europa. La politica della tensione islamica paga sempre più e la società europea, che per l’islam è profana e secolarizzata, non riesce a prendersi cura delle figlie immolate sull’altare del multiculturalismo corretto.



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