Allarme denatalità: la Humanae vitae aveva previsto tutto
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L'enciclica di san Paolo VI aveva colto sul nascere la questione demografica con cui oggi facciamo i conti: spezzato il legame tra atto coniugale e apertura alla vita, «nazioni un tempo floride conoscono ora incertezza e declino», come scrisse Benedetto XVI decenni dopo. La riflessione di mons. Crepaldi in apertura della Giornata nazionale della Dottrina sociale della Chiesa sabato 22 novembre a Lonigo (VI).
Con grande piacere prendo la parola all’inizio di questa Settima Giornata Nazionale della Dottrina sociale della Chiesa, aprendo la strada agli illustri Relatori. Le mie parole intendono avere prima di tutto un senso beneaugurale per lo sviluppo dei lavori di oggi ed anche di ringraziamento per i relatori e per le due associazioni che ormai da diversi anni organizzano questo evento: La Nuova Bussola Quotidiana e l’Osservatorio cardinale Van Thuân, che ho fondato e presieduto a lungo e che continuo a seguire da vicino. Dalla loro collaborazione nasce non solo la Giornata che stiamo vivendo ma anche l’annuale Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo, giunto alla sua 17ma annata. Mi compiaccio della costanza dimostrata in tutti questi anni: iniziare qualcosa è facile, condurla avanti nel tempo con coerenza di impegno è piuttosto difficile. I Rapporti dell’Osservatorio sono un esempio costruttivo di impegno laicale nel campo della cultura e della civiltà cristiana.
A questo mio breve intervento ho messo il seguente titolo: Dalla Humanae vitae alla Caritas in veritate. Non allarmatevi, non intendo passare in rassegna tutti i documenti del magistero sull’argomento dal 1968 al 2009. Prenderò qualche spunto da queste due sole encicliche le quali, a mio avviso, si collocano una all’inizio dei recenti insegnamenti magisteriali sulla procreazione umana e le politiche della popolazione e l’altra alla loro fine.
La Humanae vitae segnala nelle sue prime righe gli «aspetti nuovi del problema» della procreazione e tra questi indica «il rapido sviluppo demografico, per il quale molti manifestano il timore che la popolazione mondiale cresca più rapidamente delle risorse a disposizione, con crescente angustia di tante famiglie e di tanti popoli in via di sviluppo. Per questo – continua Paolo VI – è grande la tentazione delle autorità di opporre a tale pericolo misure radicali». Come si vede siamo al centro del problema di questa Giornata e del Rapporto di quest’anno. In quegli anni Sessanta gli allarmi ideologici di stampo neomalthusiano si erano già fatti sentire e continueranno più accanitamente in seguito, collegandosi con le nuove esigenze dell’ambientalismo ideologico. Il Rapporto illustra l’origine eugenetica di ambedue questi percorsi. La Humanae vitae non giunse quindi in ritardo, anche se i suoi numerosi detrattori dentro la Chiesa, sia di allora che di adesso, abbiano pensato e pensino proprio questo, ossia che il mondo con le sue esigenze fosse ormai più avanti della Chiesa. È stata fatta perfino una stima di questo cosiddetto “ritardo”, valutato addirittura in 200 anni. Ma il Rapporto mostra che quell’enciclica era più avanti delle esigenze del mondo e ne aveva previsto la deriva negativa.
Tutti sappiamo che oggi le pressioni interne alla Chiesa per un superamento formale autoritativo – quello fattuale sembra essere già avvenuto – degli insegnamenti della Humanae vitae sulla contraccezione sono molto pesanti. Non entro qui in questa questione alla quale penserà Leone XIV, solo osservo che per quanto riguarda il problema denatalità, con tutte le conseguenze sociali connesse, la Humanae vitae forniva delle indicazioni vere e perciò anche attualil.
Il punto fondamentale è la dottrina del matrimonio di diritto naturale «illuminato e arricchito dalla rivelazione divina». Il riferimento dell’enciclica è «all’ordine morale chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta coscienza è vera interprete». Ciò richiede che qualsiasi atto matrimoniale deve «rimanere aperto alla vita». Una volta eliminato questo principio, secondo la Humanae vitae, ci sarà un «abbassamento generale della moralità» nella vita sociale, verrà perso il rispetto della donna, e la procreazione finirà nelle mani delle autorità politiche: «chi impedirà ai governanti di favorire e perfino di imporre ai loro popoli il mezzo di contraccezione da essi giudicato più efficace?». E non solo mezzi contraccettivi, dato che la Humanae vitae stabilisce lo stretto nesso esistente tra contraccezione e aborto, come poi i fatti hanno dimostrato.
Paolo VI in questa enciclica sull’amore umano stabiliva così che procreazione e natalità rappresentano il primo dei problemi sociali, dalle ripercussioni su tutti gli altri. Se infatti nell’atto coniugale si lascia entrare la violenza reciproca, pur se consenziente, si uccide al suo nascere la società e la socialità. La strada che viene qui indicata ai pubblici poteri «è la via di una provvida politica familiare, di una saggia educazione dei popoli».
Venendo ora alla Caritas in veritate di Benedetto XVI che, come sapete, riguarda lo sviluppo umano nel quarantesimo anniversario della Populorum progressio, il discorso si fa molto concreto e in dialogo con le scienze sociali e soprattutto con l’economia. Al n. 44 si legge che «Considerare l’aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto anche dal punto di vista economico (…) Grandi nazioni sono potute uscire dalla miseria anche grazie al numero e alle capacità dei loro abitanti. Al contrario, nazioni un tempo floride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalità, problema cruciale per le società di avanzato benessere». Il Rapporto dà ampia testimonianza del realismo di queste previsioni.
Benedetto fa una analisi molto chiara dei danni sociali della denatalità: «La diminuzione delle nascite, talvolta al di sotto del cosiddetto indice di sostituzione [oggi bisogna dire, secondo me, anche “molto” al di sotto] mette in crisi anche i sistemi di assistenza sociale, ne aumenta i costi, contrae l’accantonamento del risparmio e di conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la possibilità di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei "cervelli" (…) le famiglie di piccola e talvolta piccolissima dimensione corrono il rischio di impoverire le relazioni sociali e di non garantire forme efficaci di solidarietà».
Come si vede, in questi due documenti ci sono i principali avvertimenti circa la corretta visione della procreazione e della natalità in un rapporto corretto tra privato e pubblico, rapporto che oggi è enormemente confuso: da un lato la procreazione è intesa e vissuta come un fatto privato e insindacabile, dall’altro i comportamenti sessuali vengono indotti e messi in piazza, la denatalità viene pianificata e la sfera privata viene invasa dal sistema politico globale. Ciò che si dice pubblico è in realtà privato e quanto viene detto privato in realtà è pubblico. La visione del matrimonio e della famiglia che la Dottrina sociale della Chiesa propone evade da questa visione, perché per essa quanto è autenticamente personale (personale, non privato!) è anche autenticamente comunitario (comunitario, non pubblico!).
*Vescovo emerito di Trieste
La guerra demografica, ci vogliono estinti
Sabato 22 novembre a Lonigo (VI) si svolge la settima Giornata nazionale di Dottrina Sociale della Chiesa, organizzata da La Nuova Bussola Quotidiana e dall’Osservatorio cardinale Van Thuân, che pone a tema gli argomenti del 17mo Rapporto sulla Dottrina Sociale della Chiesa, dedicato appunto alla guerra demografica. Tra gli ospiti mons. Giampaolo Crepaldi, Ettore Gotti Tedeschi, don Cristian Mendoza e Gianfranco Battisti.
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Pannella & soci ci hanno convinto a non fare più figli per goderci l’attimo fuggente. Ora che ci siamo accorti dell’errore, non ci sono più le condizioni per rimediare. Bel colpo, complimenti alla regia.

