Aiuto al suicidio, riecco i cattolici che votano leggi ingiuste
Ascolta la versione audio dell'articolo
Già approvato alla Camera, il 14 luglio sarà discusso al Senato un disegno di legge che richiama, con qualche miglioramento, i criteri indicati dalla Consulta per l’accesso al suicidio assistito e sembra poter raccogliere il voto del centrodestra. Ma il male, anche se “minore”, non può essere approvato.

Ci sono tre cose certe nella vita. Le tasse, la morte e i politici cattolici che votano leggi ingiuste. Forse qualcuno si è distratto, ma sul tavolo del Parlamento giacciono diversi disegni di legge sul fine vita. Pare che uno tra questi abbia le carte in regola per essere votato e votato dalla maggioranza di centrodestra che sui temi sensibili ha dato spesso prova negli anni di essere di centrosinistra.
Il testo è stato già approvato alla Camera e avrebbe dovuto essere discusso al Senato il prossimo 17 giugno, ma grazie all’intervento del capogruppo di Forza Italia, Maurizio Gasparri, l’esame slitterà al 14 luglio. Gasparri ha dichiarato che questo procrastinare servirà a trovare «un punto comune, [dal momento che] c’è un comitato ristretto che sta lavorando».
Il disegno di legge, proposto dai relatori delle Commissioni 2a (Giustizia) e 10a (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) in sede redigente, riguarda l’aiuto al suicidio ed è ancora in fieri. Ciò detto, vediamo cosa prevede attualmente nei suoi lineamenti essenziali. In modo preliminare dobbiamo ricordare che per ben due volte la Corte costituzionale spronò il Parlamento a legiferare sulla materia finché, stanca di tanta inerzia, pensò lei stessa a normare, nel vero senso della parola, il suicidio assistito e lo fece con la sentenza n. 242/2019 (qui un approfondimento) e la sentenza n. 135/2024 (qui un approfondimento).
Il disegno di legge richiama, con un’aggiunta, i criteri indicati dalla Consulta per l’accesso al suicidio assistito. All’art. 2 del Ddl infatti leggiamo: «La presente legge disciplina la facoltà di accesso al percorso di fine vita assistito da parte di una persona maggiorenne affetta da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che reputa intollerabili, tenuta in vita o dipendente da trattamenti di sostegno vitale, già inserita in un programma di cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38, capace di prendere decisioni autonome, libere e consapevoli».
Notiamo innanzitutto che il Ddl usa l’espressione “facoltà di accesso”, una espressione che, in senso letterale, dovrebbe escludere il “diritto di accesso”, configurandosi invece come mera facoltà di fatto, facoltà speculare alla scriminante in capo al medico riguardo al reato di aiuto al suicidio ex art. 580 del Codice penale. In breve, se, in capo al medico, dare la morte non è un diritto, ma solo una condotta depenalizzata – così come molti hanno interpretato le due sentenze della Consulta – ne consegue che parimenti, in capo al paziente, il darsi la morte non è un diritto, bensì una mera facoltà di fatto. Ma le riserve che avevamo espresso a suo tempo in merito a questa interpretazione che vedeva l’intervento della Consulta volto solo a depenalizzare il suicidio assistito e non a qualificarlo come diritto, potrebbero rinnovarsi anche in relazione al suddetto Ddl. Però attendiamo la sua versione definitiva per meglio esprimerci.
Proseguiamo. I criteri presenti nel Ddl ricalcano in massima parte, come detto, quelli indicati dalla Consulta. Però gli estensori del disegno di legge hanno aggiunto anche l’obbligo per il richiedente di essere inserito in un programma di cure palliative, programma che potrebbe dissuadere in modo significativo il paziente dal chiedere la morte.
Altro punto del Ddl da evidenziare è il criterio che fa riferimento ai sostegni vitali: la persona deve essere «tenuta in vita o dipendente da trattamenti di sostegno vitale». In prima battuta non comprendiamo la differenza di significato tra trattamenti di sostegno vitale che tengono in vita una persona e trattamenti di sostegno vitale da cui si è dipendenti. Se si è dipendenti da trattamenti salvavita, vuol dire che senza di essi si muore e quindi il caso della dipendenza da tali trattamenti non può che essere ricompreso nel primo caso dove i trattamenti salvavita permettono di tenere in vita una persona. Ciò detto, manca nel Ddl, a differenza della sentenza n. 135/2024 della Consulta, la descrizione analitica di cosa si debba intendere per trattamenti di sostegno vitale.
Aspetto migliorativo del Ddl rispetto alla sentenza della Consulta è quello che riguarda il criterio delle sofferenze insopportabili. I giudici parlavano di «sofferenze fisiche o psicologiche». Il disegno di legge parla di «sofferenze fisiche e psicologiche». Dunque per la Consulta la sofferenza poteva essere o solo fisica o solo psicologica o fisica e psicologica. Per il Ddl la sofferenza deve essere congiuntamente fisica e psicologica. La differenza non è da poco: per i giudici, candidati all’eutanasia potevano anche essere persone fisiologicamente sane che soffrivano solo psicologicamente: depressi, disabili mentali, persone massimamente frustrate dalla vita, eccetera. Per gli estensori del Ddl queste categorie di persone sono escluse, a meno che sperimentino anche sofferenze fisiche.
Ritorniamo ora ai cattolici che votano leggi ingiuste, cattolici presenti anche nelle file di quel centrodestra che ha proposto questo Ddl. Quasi certamente il giro mentale dei proponenti è stato il seguente: meglio una legge sul fine vita elaborata da noi oggi che una legge proposta dalla sinistra domani. Se noi giochiamo d’anticipo, li facciamo fessi perché potremmo varare una legge meno iniqua della loro. È la tesi sposata, ad esempio, da padre Maurizio Faggioni, professore di bioetica all’Alfonsiana e nostra vecchia conoscenza, il quale in un testo pubblicato dalla cattolica Scienza & Vita di qualche anno fa, rammaricandosi che i cattolici non avessero votato una legge sulle unioni civili prima di quella della Cirinnà, così concludeva: «Giocare d’anticipo e non di rimessa può essere opportuno perché sarebbe poi più difficile lavorare su progetti di legge che nascono da visioni antropologiche ed etiche inconciliabili con la legge naturale e, quindi, di ardua perfettibilità» [Il teorema della legge imperfetta e il principio del male minore, in L. Eusebi (a cura di), Il problema delle «leggi imperfette». Etica della partecipazione all’attività legislativa in democrazia, Morcelliana, Brescia, 2017, p. 99].
Posto che qualsiasi norma che legittimi in qualsiasi modo le relazioni omosessuali è inconciliabile con la legge naturale, occorre ricordare che proporre e/o votare una legge ingiusta – come quella che vorrebbe nascere dal suddetto Ddl – seppur meno ingiusta di un’altra, sono atti intrinsecamente malvagi perché proporre o votare a favore di una ingiustizia sono essi stessi atti ingiusti. Non si può approvare, tantomeno per legge, il suicidio, nemmeno quello assistito. Non si può legittimare l’ingiustizia, piccola o grande che sia. Non è lecito approvare il male, nemmeno per scamparne ad uno peggiore. E dunque il male minore non può essere oggetto di approvazione, mai, cioè a dire anche in stato di necessità – il PD voterà di certo una legge peggiore – e anche spinti dalla buona intenzione di evitare danni peggiori.
Sostegni vitali e suicidio assistito, una Consulta a due facce
La Corte costituzionale mantiene i trattamenti di sostegno vitale come prerequisito per accedere al suicidio assistito. Deluse le speranze dei Radicali, ma nemmeno i pro vita esultano. Da un lato la sentenza allarga il bacino di possibili candidati al suicidio. Dall’altro, rispetto al 2019, dà un’interpretazione più restrittiva dei sostegni vitali.
Trans e sacramenti, Avvenire & Co guidano la rivoluzione
Il quotidiano della Cei pubblica ampi stralci di un’intervista a padre Maurizio Faggioni contenuta in un libro - edito dalla San Paolo e a firma di Luciano Moia - che va verso la normalizzazione della transessualità nella Chiesa. Nell’intervista manca un giudizio chiaro sulla transessualità e si affrontano temi legati al battesimo, alla vita matrimoniale, all’educazione dei figli in una prospettiva contraria alla morale naturale e al Codice di diritto canonico.
Suicidio, la Consulta apre all’obiezione di coscienza. Che non reggerà
La Corte Costituzionale ha pubblicato la sentenza sull’incostituzionalità di parte dell’articolo 580 del Codice penale. A determinate condizioni, l’aiuto al suicidio non è più penalmente perseguibile. Eppure la Consulta ha riconosciuto l’obiezione di coscienza a favore dei medici (ma non della struttura ospedaliera), che però è destinata a essere spazzata via, causando l’eutanasia anche della libertà dei medici.