Babiš ha vinto le elezioni, ma Praga e Bruxelles provano a sabotarlo
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Il presidente ceco Petr Pavel, sostenuto dall’establishment dell’UE, sta ostacolando la formazione del governo Babiš, a motivo del suo conflitto di interessi. Eppure il vincitore delle elezioni ha già presentato una soluzione. Bruxelles segue lo stesso copione visto in Romania.
L'establishment liberal-socialista che governa le istituzioni europee e condiziona molti degli Stati membri sta sostenendo il presidente della Repubblica Ceca, Petr Pavel, eletto nel 2023 grazie al sostegno dei partiti al governo a Praga e a Bruxelles, nella sua decisione di non riconoscere la guida del governo del Paese al vincitore delle elezioni del 3-4 ottobre 2025: Andrej Babiš. Si recita sotto i nostri occhi la stessa trama che abbiamo dovuto osservare lo scorso anno in Romania, dove, come descritto su queste pagine, proprio l’intervento dell’allora presidente della Repubblica, Klaus Iohannis, europeista convinto e sostenuto dall'establishment di Bruxelles, aveva dato l’avvio all’invalidazione delle elezioni e poi al bando dalla vita pubblica del vincitore conservatore e cristiano Calin Georgescu.
Così, in questi giorni, come se nulla fosse, sicuri della complicità del silenzio massmediatico, gli stessi gruppi di potere “il-liberali” cercano di delegittimare le elezioni di ottobre, dopo averle perse, azzoppando il risultato del voto popolare che ha premiato il movimento sovranista di Babiš, Azione dei cittadini insoddisfatti (Ano, nell’acronimo ceco), e le compagini di destra che hanno concluso accordi per la formazione di un governo conservatore, identitario e fiero di stare in Europa nel rispetto dei trattati. Possibile che anche i nostri leader e i gruppi politici europei a cui fanno riferimento non abbiano il coraggio di denunciare la congiura antidemocratica a cui, ancora una volta, le istituzioni europee stanno lavorando?
Ebbene, il presidente Pavel, parlando lunedì 17 novembre alla radio nazionale ceca, ha dichiarato che se Babiš «non fosse in grado di risolvere in modo soddisfacente il suo conflitto di interessi, allora nominandolo contribuirei alla creazione di una situazione illegale» ed è forse meglio che Ano, in quanto partito vincitore, nomini un candidato alternativo. Nel giorno dell’anniversario della Rivoluzione di Velluto, mentre Babiš, presidente di Ano e potenziale prossimo primo ministro ceco, era accolto da cori di applausi e fischi durante la visita al memoriale in via Národní, nel centro di Praga, e ricordava come gli eventi del 1989 furono il "fattore scatenante" che portò la libertà, le elezioni libere e la democrazia nella Repubblica Ceca, il presidente Pavel ha minacciato proprio le fondamenta della democrazia svilendo la volontà popolare.
Ovviamente Babiš ha già presentato a Pavel, il 14 novembre per la precisione, la soluzione di affidare a fiduciari tutti i propri interessi e proprietà che possano adombrare un conflitto con la carica di primo ministro. In ogni caso lo stesso Babiš avrebbe comunque 30 giorni di tempo, previsti dalla legge, dal momento della sua nomina per risolvere qualsiasi conflitto derivante dalla sua proprietà del conglomerato industriale Agrofert. Babiš è proprietario di centinaia di aziende in tutta l'Europa centrale (che spaziano dall'agricoltura alla chimica e all'assistenza sanitaria), molte delle quali ricevono sovvenzioni e appalti pubblici nazionali e comunitari: ciò è incompatibile con la carica governativa. Durante il suo precedente mandato, dal 2017 al 2021, il trasferimento della società in fondi fiduciari era stato ritenuto insufficiente sia dai tribunali cechi sia dalla Commissione europea, da qui le rinnovate assicurazioni pubbliche della scorsa settimana dello stesso Babiš.
Dunque l’uscita del presidente Pavel è più una minaccia che un opportuno richiamo alla legge, è un’entrata in campo di parte e dalla parte dei perdenti di “casa” e di Bruxelles che vogliono, per lo meno, la soddisfazione di aver ottenuto lo scalpo del vincitore. Ano ha prontamente respinto l'idea proposta dalla massima autorità istituzionale del Paese e il suo primo vicepresidente Karel Havlíček ha insistito sul fatto che «il nostro candidato è unico, e questo è Andrej Babiš», sottolineando che il partito ha ottenuto un numero record di voti e aveva già formato una coalizione di maggioranza anti-immigrazione e contraria alle follie del Green Deal, con la Spd (Libertà e democrazia diretta) e con il gruppo anti-UE "Automobilisti per sé stessi".
Il presidente della Repubblica ha anche fatto sapere di aspettarsi che il nuovo governo si allinei alle sue posizioni personali in materia di sicurezza e affari esteri, senza che la Costituzione gli conferisca alcun potere del genere, confermando tutti i sospetti di combutta con le sfere di potere europee. Sarà ripetuto il copione preparato a Bruxelles e recitato in Romania dall’allora presidente della Repubblica, Klaus Iohannis, contro il voto popolare e il candidato eletto? E il silenzio coprirà anche questa nuova infamia, in attesa della “prova del fuoco” a Budapest la prossima primavera?
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