Aborto, un buon “no” da Alberto di Monaco
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Il principe ha stoppato un disegno di legge che mirava ad ampliare le maglie dell’aborto, ricordando «il ruolo che la religione cattolica occupa nel nostro Paese». Un buon esempio, ma lo stesso sovrano non avrebbe dovuto approvare la liberalizzazione del 2009 e 2019.
Lo scorso 19 novembre, in una intervista al quotidiano Monaco-Matin, a margine della Festa Nazionale, il principe Alberto II, dal 2005 alla guida del Principato di Monaco, ha confermato il rifiuto del governo di dare seguito alla proposta di legge volta ad ampliare le maglie dell’aborto. «Comprendo la delicatezza dell’argomento e le emozioni che può suscitare», ha dichiarato il sovrano, aggiungendo di dover rispettare la propria fede e «il ruolo che la religione cattolica occupa nel nostro Paese». Buon esempio di un “Cesare” che mette al primo posto “Dio”, per il bene dello stesso regno, anche se va ricordato che lo stesso principe aveva acconsentito a depenalizzare l’aborto prima nel 2009 e poi nel 2019.
Alberto II ha dunque deciso di non promulgare il disegno di legge approvato dal Consiglio Nazionale (il parlamento del Principato di Monaco) lo scorso maggio (19 voti contro 2), che mirava a legalizzare l'aborto volontario fino a 12 settimane, estendere il limite a 16 settimane in caso di stupro e abbassare l'età del consenso per l’aborto da 18 a 15 anni. Nel respingere la proposta legislativa il sovrano ha ritenuto che «l'attuale quadro rispetti chi siamo, alla luce del ruolo che la religione cattolica occupa nel nostro Paese, garantendo comunque un sostegno sicuro e più umano». Peggiorare una legge che favorisca l’omicidio dell’innocente in utero non equivale a rispettare la fede cattolica e i suoi insegnamenti morali, oltreché l’evidenza scientifica.
Il rifiuto del principe di Monaco ha bloccato il processo legislativo, mantenendo in vigore le norme attuali: l'aborto a Monaco rimane formalmente illegale, sebbene consentito nei casi introdotti dalla legge dell’8 aprile 2009: stupro, rischio di vita per la madre, grave malformazione fetale. Prima della depenalizzazione, l’aborto era vietato in ogni circostanza, le donne che si sottoponevano alla procedura rischiavano fino a tre anni di carcere, i medici fino a cinque anni e la perdita della licenza per esercitare la professione. Dal 2019 il Principato, oltre che nei tre casi citati, non persegue le donne che si sottopongono all’aborto all'estero.
La Costituzione del Principato riconosce il cattolicesimo come religione di Stato; in questo senso, il veto del principe può essere compreso solo riconoscendo che, per la Chiesa, la vita nascente è un bene non negoziabile, al di là di ogni logica utilitaristica o funzionale. La Chiesa insegna che l'aborto diretto è sempre moralmente illecito. L'Evangelium Vitae è esplicita nel giudicare radicalmente ingiusta qualsiasi legge che autorizzi l’aborto: tali norme «sono leggi prive di autentica validità giuridica» e pertanto «non creano alcun obbligo» (EV, 72-73). San Giovanni Paolo II parla di una «tragica parvenza di legalità» e avverte che una democrazia che permetta l'eliminazione dei più deboli «si avvia verso una forma di sostanziale totalitarismo» (EV, 20). Pertanto, l'aborto non può essere contrabbandato mai come un diritto, perché nega ab origine il primo e più elementare dei diritti umani, quello alla vita.
Nel crogiolo di pressioni culturali, affaristiche e legislative che in Europa spingono a liberalizzare sino alla nascita l’omicidio dell’innocente, il Principato di Monaco e il suo principe Alberto pongono una domanda scomoda e tentano di porre un limite al genocidio generalizzato di bimbi nell’utero materno, addirittura assunto come valore costituzionale in Francia e, prossimamente, se approvato, in Spagna. Tuttavia, lo stesso piglio dimostrato nei giorni scorsi avrebbe dovuto determinare una scelta di rifiuto altrettanto ferma nel 2009 e nel 2019 da parte del principe Alberto, quando invece si aprirono spiragli inumani a favore dell’aborto. Nei giorni scorsi, il pur apprezzabile gesto di Alberto avrebbe dovuto includere l’avvio dell'iter di abrogazione delle due normative permissive precedenti, nel rispetto della Costituzione.
Comunque, il rifiuto del principe di liberalizzare ulteriormente l’aborto è un buon primo passo per riaffermare che uno Stato può e deve assumersi la responsabilità di proteggere l'essere umano più vulnerabile e che lo stesso diritto deve mantenere la sua natura originale di difesa e tutela del debole, in questo caso, il nascituro. Un'esigenza fondamentale di civiltà che non ammette eccezioni se si persegue la prosperità e il benessere della civiltà nazionale, così come non è possibile combattere alcuna buona battaglia contro la deriva imposta dalle multinazionali dell’aborto con le buone intenzioni, i bei gesti e la coerenza ‘a metà’ nella difesa della vita umana sin dal concepimento.

