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ORA DI DOTTRINA / 27 - IL SUPPLEMENTO

Wallace, il detective di Gesù

Da ateo a convertito evangelical grazie a un lavoro di indagine da detective investicativo. È questa la storia di J. Warner Wallace, detective vero nella vita che, applicando i metodi investigativi ai vangeli è arrivato ad affermare la loro assoluta credibilità storica.

Catechismo 12_06_2022
J. Warner Wallace

Un caso irrisolto. Così si è presentata la vita, morte e risurrezione di Gesù, come viene narrata dai Vangeli, agli occhi di J. Warner Wallace. Detective investigativo dei casi di omicidi irrisolti, divenuto popolare negli Stati Uniti per la sua presenza alla trasmissione Dateline della NBC, una versione più “professionale” del nostro Chi l’ha visto?, aveva deciso di indagare il grande caso irrisolto della storia umana che per lui, sostanzialmente ateo, era l’esistenza di Dio. Ovviamente adottando il metodo investigativo a lui familiare, per mettersi alle calcagna della figura di Gesù di Nazareth e della pretesa della sua divinità. L’esito della sua ricerca lo porta alla conversione al cristianesimo evangelical nel 1996, quando aveva 35 anni. E da allora le sue abilità di detective vengono messe a servizio dell’evangelizzazione.

Wallace ha all’attivo diverse pubblicazioni, ciascuna delle quali ha la sua corrispettiva edizione per i ragazzi, che imparano così a diventare dei piccoli detective-apologeti, interrogando i testimoni, soppesando le prove, ricercando le evidenze. Perché per Wallace i Vangeli sono degni di credibilità, in grado di mostrare la propria attendibilità. La sua adesione a Cristo è stata un arrendersi di fronte alla capacità di questi quattro testi antichi di rispondere positivamente alle investigazioni di un detective. Alla domanda se sia possibile fidarsi dei Vangeli, la risposta di Wallace è positiva.

Una delle piste di ricerca della sua indagine, che ritroviamo sul suo sito coldcasechristianity.com, riguarda la prossimità temporale dei Vangeli ai fatti narrati. La ragione di questo interesse? Se i Vangeli iniziarono a circolare nel periodo in cui i testimoni oculari – favorevoli o avversi alla persona di Gesù, poco importa – erano ancora vivi, allora il loro contenuto dev’essere vero; diversamente, chiunque avrebbe potuto smentire i fatti narrati, tanto più che si tratta di fatti inauditi e scomodi. Al detective interessa dunque capire quanto gli autori di questi scritti siano effettivamente vicini alle persone, ai luoghi e agli eventi di cui parlano.

Wallace intraprende così un’investigazione per capire quando i quattro Vangeli sono stati scritti, partendo dal 200-250 d.C. circa, metà di secolo che corrisponde alla datazione dei Papiri Chester Beatty, provenienti dal Medio Egitto e resi noti nel 1931. Si tratta di undici manoscritti di papiro, (non rotoli, ma codici!), contenenti testi dell’Antico e del Nuovo Testamento, oltre che frammenti del libro di Enoch e di un’omelia di Melitone di Sardi. In particolare il Chester Beatty I (p. 45) contiene delle parti dei quattro Vangeli e degli Atti. Dunque, conclude Wallace, i Vangeli devono essere necessariamente stati scritti prima.

Ancora Egitto e ancora papiri. I papiri Bodmer, scoperti nel 1952, che profumano di monachesimo antico, in quanto ritrovati a Pabau, dove sorgeva un monastero fondato da San Pacomio e dove il santo è morto nel 348; datati tra il 200 e il 225, contengono il quarto Vangelo. Occorre dunque spingere ancora più indietro, nella linea temporale la ricerca. Si ritrova così il Diatessaron, un’armonizzazione dei Vangeli ad opera di Taziano, che risale all’incirca al 172, ma certamente non dopo il 180, anno della morte dell’autore.
Altre testimonianze antiche antecedono sempre di più la collocazione temporale: nella sua Prima Apologia (150 d. C. circa), San Giustino cita il Vangelo di Giovanni; Eusebio di Cesarea riporta Papia di Gerapoli (+ 130 ca) che menziona i Vangeli di Marco e Matteo. San Policarpo, nella sua lettera alla chiesa di Filippi, cita diversi passi dei Sinottici; Sant’Ignazio di Antiochia, nelle lettere databili intorno all’anno 110 cita Matteo, come fanno anche la Didaché (100 d. C) e la prima lettera di San Clemente I, papa, composta nel 95 o nel 96.

Dunque, le varie testimonianze esterne esaminate ci portano progressivamente a collocare temporalmente i Vangeli antecedentemente all’anno 95 d. C. Ma ci sono ulteriori elementi che spingono indietro di almeno altri quarant’anni. Wallace mette in fila una serie di considerazioni che i lettori di questi approfondimenti di apologetica già conoscono e che risultano rilevanti anche per l’investigazione del detective.

Anzitutto, la data fatidica dell’anno 70, anno della distruzione del centro della vita religiosa del popolo ebraico: il Tempio di Gerusalemme. Gli evangelisti riportano la profezia di Gesù, ma la lasciano con contorni non definiti; Gesù infatti afferma che del Tempio non resterà pietra su pietra che non sia distrutta e null’altro. Ancor più significativo è il totale silenzio di tutti gli altri scritti del Nuovo Testamento. Il che significa che questi testi devono essere stati scritti prima del 70, e quella di Gesù era effettivamente una profezia. Silenzio anche sui fatti che accaddero dopo il 61/62 d. C., anno del martirio di san Giacomo, il Minore, seguito dal martirio delle colonne della Chiesa, gli Apostoli Pietro e Paolo. Impossibile che un’opera attenta come gli Atti degli Apostoli abbia tralasciato l’accaduto. L’unica spiegazione plausibile è che gli Atti siano stati ultimati prima.

Wallace sostiene infine che San Paolo, narrando l’istituzione dell’Eucaristia nella prima lettera ai Corinti (11, 23-26), composta tra il 53 e il 57, attinga dal Vangelo di Luca, retrodatando dunque i Sinottici antecedentemente a questa data. In effetti la somiglianza tra i due testi non può lasciare indifferenti. Luca e Paolo sono infatti gli unici a riportare il comando: «Fate questo in memoria di me». Così come entrambi omettono il duplice comando del Signore: «Prendete e mangiate... Bevetene tutti», presente in Matteo (26, 26. 27), e «Prendete» in Marco (14, 22). Tuttavia questa stretta somiglianza dei due testi non spiega se sia Paolo ad aver attinto da Luca o viceversa. La validità di questo argomento appare invece convincente se considerata assieme al riferimento di Paolo a Luca e al suo Vangelo, presente nella seconda lettera ai Corinti, scritta tra il 54 e il 56 d. C. (vedi qui). Della presenza del terzo Vangelo nelle lettere di San Paolo ne avevamo ulteriormente parlato qui.

L’indagine del detective menziona anche l’indizio del frammento 7Q5 e si conclude con una constatazione logica: «Quando leggiamo quest’elenco di evidenze, ci rendiamo conto come la prima evidenza che viene dall’anno 250 d.C. è verificata dalla seconda evidenza che viene dal 200 d.C. Tutte le evidenze successive continuano così a confermare quelle precedenti. Noi abbiamo veramente un’argomentazione convincente che ci porta ad affermare che i vangeli furono scritti pochi anni dopo gli avvenimenti che essi riportano e ancora durante le vite dei testimoni oculari che potevano confermarli o confutare qualsiasi falsità o esagerazione».