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GRECIA

Vince Syriza, il partito della rivoluzione impossibile

Elezioni parlamentari in Grecia. Vince Syriza, la coalizione di partiti di estrema sinistra. Alexis Tsipras, il suo leader, promette una rivoluzione contro le politiche di austerity volute dall'Ue. Ma ha i numeri per farla, questa rivoluzione? Sia i conti pubblici che i numeri in parlamento suggeriscono il contrario.

Esteri 26_01_2015
Alexis Tsipras

Elezioni in Grecia, il risultato è chiaro: ha vinto Syriza, la lista di Alexis Tsipras, un conglomerato di liste di sinistra, marxiste, neocomuniste, ecologiste e socialiste massimaliste. Il suo scopo era quello di sfidare l’Unione Europea e i diktat della troika. Ha colto nel segno. Ma sarà rivoluzione?

Sì, a giudicare dalle prime dichiarazioni di Alexis Tsipras: “I greci hanno mostrato la strada del cambiamento all'Europa”, ha detto subito dopo gli exit poll, parlando di "nuova Europa basata sulla solidarietà" e definendo la troika "una cosa del passato. Il voto contro l'austerità è stato forte e chiaro". "Oggi il popolo greco ha fatto storia". No, a giudicare dai numeri: per tutta la notte la lista dei partiti di Tsipras ha lottato per avere la maggioranza assoluta, raggiungibile con la conquista del 151mo seggio parlamentare. Alla fine non ce l’ha fatta. Il listone di estrema sinistra è cresciuto di 20 punti percentuali in appena sei anni (16% nel 2009, 27% nel 2012,  e 36% in queste elezioni), diventando il fenomeno politico greco di inizio secolo, il risultato più evidente della sofferenza greca nella crisi economica. Ma questo risultato non è comunque sufficiente a permettere a Tsipras di governare serenamente e senza scendere a patti con altri partiti. E per lui è un problema grave, perché il secondo partito risulta essere ancora Nea Dimokratia (conservatori, sostenitori del governo uscente) e il terzo partito è sempre Alba Dorata, con il suo 6,3% dei voti, dichiaratamente neofascista. Si tratta di alleanze impossibili per l’estrema sinistra greca, antifascista e contraria all’austerity europea fatta rispettare da Nea Dimokratia. L’alleanza possibile è con il Kke, il più stalinista dei partiti comunisti europei, che però considera Syriza come una sinistra “borghese” e dilettante. E con il quale, dunque, potrebbero esserci attriti non da poco. L'unico partito che finora si è offerto di appoggiare un governo Tsipras è To Potami, moderato ed europeista, quarto partito di Grecia con quasi il 6% dei consensi. Si tratta di una formazione ideologicamente molto diversa da Syriza e un governo fra i due implicherebbe numerosi compromessi da entrambe le parti.

Ci può essere un altro freno alla volontà rivoluzionaria del nuovo leader greco, non solo gli equilibri parlamentari, ma anche altri numeri: quelli dell’economia. Di cosa stiamo parlando quando nominiamo l’austerity?

La crisi greca è scoppiata nel 2009, quando si diffuse universalmente il timore che Atene non fosse in grado di ripagare i suoi debiti. Dopo meno di un anno di collasso, la “troika”, costituita da Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Commissione Europea, nel 2010 ha concesso un prestito alla Grecia di 110 miliardi di euro, per impedirle di andare in bancarotta e provocare conseguenze a catena in tutti i sistemi finanziari europei. Nel 2011 la crisi è peggiorata, anche perché il governo greco (che allora era socialista) non ha effettuato i necessari tagli alla spesa pubblica che avrebbero consentito di contenere il rosso. Nel 2012, dopo un anno di negoziati, la “troika” ha approvato un secondo prestito di 130 miliardi di euro, arrivando così a un aiuto complessivo di 230 miliardi di euro. Questi prestiti non sono gratuiti. Per garantire che questo capitale (pagato dal contribuente italiano, fra gli altri europei) non finisca nel nulla, la troika ha chiesto ai greci di rispettare una tabella di marcia di riforme. Dopo le elezioni del 2012, il governo Samaras (conservatore) ha approvato l’attuale pacchetto di misure di austerity, il sesto dall’inizio della crisi. Si tratta di una manovra da 13,5 miliardi di euro, distribuita in due anni (2013 e 2014) consistente sia in tagli alla spesa pubblica (per 10 miliardi), stipendi e pensioni compresi, sia in aumenti di tasse (i restanti 3,5 miliardi). Non si trattava solo di effettuare tagli lineari, ma di dare all’economia greca una struttura più solida, attraverso liberalizzazioni (quelle delle professioni protette dal monopolio di Stato), deregolamentazioni (nei mercati dei beni, dei servizi e dell’energia), una riforma della burocrazia statale, fusione di tutte le assicurazioni sanitarie private in un unico ente.

Queste riforme sono state effettuate solo in parte, la crescita è ripresa, timidamente, nel 2014. Ma la gente comune greca stenta a vederne i vantaggi, soprattutto considerando che il reddito medio è ridotto a 6-700 euro mensili, la disoccupazione è ancora ai livelli record del 25% (50% fra i giovani) e le ex classi medie sono quasi del tutto scomparse. Tsipras ha avuto buon gioco a definire la crisi economica come una “crisi umanitaria” e a proporre una via d’uscita con una vera rivoluzione alle urne. La scadenza del sesto programma di austerity è coincisa con la fine della maggioranza parlamentare, venuta meno nel momento in cui sono mancati i numeri per eleggere il nuovo presidente della repubblica. Il prossimo programma di austerity sarà dunque negoziato da Tsipras o dalla coalizione di governo che riuscirà a mettere in piedi. Si è spesso dipinto il leader della coalizione di estrema sinistra come un nemico dell’euro. Tuttavia non ha mai proposto, nemmeno nelle scorse elezioni, l’uscita della dracma dalla moneta unica. Quel che Tsipras vuole è un cambiamento nella politica economica europea ed è per questo che i suoi obiettivi appaiono ancora più utopistici. Tornando alla dracma, la Grecia spezzerebbe il tabù della moneta unica, che è finora considerata come una strada a senso unico, ma per lo meno potrebbe tentare di sperimentare le sue politiche sulla sola Grecia. Pretendendo un cambio di rotta dell’intera eurozona, invece, difficilmente troverà altri governi consenzienti e sarà quasi certamente costretto a scendere a compromessi. Le sue richieste sono infatti molto esose: condonare alla Grecia 330 miliardi di debito pubblico, il 60% dal Fondo salva-Stati, il 12% dal Fmi e l’8% dalla Bce. Tsipras pretende anche uno sconto del 27% dalla quota greca destinata al Fondo salva-Stati. In totale, se accettassimo queste richieste, solo in Italia perderemmo crediti pari a 35 miliardi di euro (in Germania 50, in Francia 40). Ce lo possiamo permettere a cuor leggero? Francesi e tedeschi se lo possono permettere? Fra l’altro, sul fronte interno, Tsipras promette anche di cancellare gran parte delle misure di austerity, ripristinando stipendi pubblici e pensioni ai livelli pre-crisi, investendo 2 miliardi di euro di spesa pubblica per la tutela delle fasce popolari più colpite dalla crisi. Il “Piano di ricostruzione nazionale” dovrebbe costare in totale circa 11 miliardi di euro, stando al programma di Tsipras. Una spesa immensa, considerando soprattutto che la Grecia ha ancora un debito pubblico pari ad un insostenibile 174,5% del Pil.

Con quali carte in mano può presentarsi Tsipras alla troika, chiedendo sconti multi-miliardari a fronte della cancellazione di tutte le riforme richieste? Pensiamo alla stessa situazione di un creditore privato con il suo debitore: il secondo richiede al primo il condono di gran parte del suo debito e per di più gli fa vedere che intende riprendere a giocare d’azzardo e a fare grandi acquisti, pur non avendo soldi. La Germania ha già fatto sapere che non ci pensa neppure a rivedere l’austerity. Ma resta il timore di una possibile bancarotta greca, con tutte le ripercussioni che avrebbe sui mercati finanziari. Questo timore è precisamente quel che Tsipras vuole alimentare. Il suo è un ricatto implicito ai suoi creditori: accettate solo una parte del vostro credito, o non vi posso dar nulla e voi rischiate di fallire assieme a me. I prossimi giorni saranno cruciali per capire che direzione prenderà l’Europa, se intenderà mantenere fermi i suoi principi o se, chiudendo un occhio sulla Grecia, creerà un precedente buono per tutte le prossime cattive gestioni della cosa pubblica. Per essendo piccola e periferica, Atene rischia di rivelarsi il grimaldello per far saltare l’Ue. Più ancora rispetto alle altre formazioni di sinistra europee (fra cui i dissidenti anti-renziani del Pd, che ieri cantavano vittoria), lo hanno capito soprattutto gli altri partiti euroscettici. La vincitrice di riflesso del voto greco è Marine Le Pen in Francia, che ha puntato molto sulla vittoria di Syriza, ha fornito il suo appoggio al partito di estrema sinistra, pur essendo di estrema destra, e ora ne raccoglierà i frutti.