Una legge pro-suicidio? Un disastro per i più fragili
Non c’è un vuoto normativo e il Parlamento non è tenuto ad approvare una legge sul suicidio assistito, che aumenterebbe la pressione sui più vulnerabili. La missione della Chiesa: annunciare la verità, senza compromessi. Dalla diretta con Riccardo Cascioli e Giacomo Rocchi.

È vero che il Parlamento è obbligato ad approvare una legge sul suicidio assistito? Quali ricadute avrà sui più fragili? Ha senso la strategia dei “paletti”? E qual è il compito della Chiesa in situazioni del genere? Queste e altre domande sono state al centro della diretta di ieri dei Venerdì della Bussola, intitolata Fine vita, il compromesso che uccide. Alla conduzione Stefano Chiappalone, che ha intervistato il direttore Riccardo Cascioli e il magistrato della Cassazione, Giacomo Rocchi.
Il giudice ha chiarito che il Parlamento non è in alcun modo obbligato a intervenire: «Sorprende che il Ddl riporti come titolo “Disposizioni esecutive della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019”. Ma in realtà il Parlamento non ha nessun obbligo di approvare una legge esecutiva di una sentenza della Corte costituzionale» e, anzi, in generale «il Parlamento non ha mai nessun obbligo di approvare una legge. Questo è un principio fondamentale in uno Stato di diritto, come il nostro, in cui è il Parlamento che fa le leggi, come dice l’art. 70 della Costituzione». Un principio pacifico, aggiunge Rocchi, anche per la giurisprudenza costituzionale, tant’è che la stessa Consulta, nelle sentenze sul suicidio assistito, auspica un intervento del Parlamento, ma non ha mai detto che questo sia obbligato.
Rocchi ricorda che la sentenza 242/2019 – che ha dichiarato non punibile l’aiuto al suicidio quando ricorrono quattro condizioni insieme – «è applicabile direttamente sia dai giudici penali, sia dalle Asl». E lo conferma, purtroppo, il fatto che almeno sette persone in Italia – sulla base di quella sentenza – hanno fin qui ottenuto l’aiuto al suicidio. Di conseguenza, non esiste alcun vuoto normativo.
L’approvazione di una legge avrebbe l’effetto di accrescere il numero di persone che accedono al suicidio assistito. E deve essere chiaro, spiega Cascioli, che l’idea di porre “paletti” è perdente, come si è visto tante volte nella storia del nostro Paese: vedi le leggi sul divorzio, sull’aborto (una legge, la 194, ipocrita fin dal titolo: “Norme per la tutela sociale della maternità...”) e sulla fecondazione artificiale. «I paletti sono destinati inevitabilmente a saltare perché una volta che si è stabilito un principio è logico assumerne le conseguenze», argomenta il direttore della Bussola. E il principio – sbagliato – in tema di fine vita lo si è già stabilito con la legge 219/2017 sulle Dat (disposizioni anticipate di trattamento), che ha legittimato l’eutanasia.
Una legge ingiusta, inoltre, rappresenta un vulnus per la democrazia. Infatti, come spiega Rocchi, «approvare una legge significa che la responsabilità viene presa dal Parlamento, che rappresenta il popolo italiano». E questo sarebbe peraltro un tradimento perché, ricorda il giudice, l’attuale maggioranza di centrodestra «aveva detto nel programma elettorale che non avrebbe approvato una legge sul suicidio assistito».
Da parte sua, la Chiesa deve annunciare la verità, spiegando che sulla vita umana non si possono fare compromessi di nessun tipo, come ha ricordato ad esempio monsignor Antonio Suetta. Invece, ad oggi c’è un’ampia fetta di mondo cattolico – dal presidente della CEI, il cardinale Matteo Zuppi, a quello della PAV, mons. Renzo Pegoraro – in cui prevale proprio la linea del compromesso; e anche tra i cattolici laici, politici o esponenti di associazioni, è piuttosto diffusa una linea simile, che spesso si appoggia, a sproposito, sul n. 73 dell’Evangelium Vitae. Ma la possibilità di agire per limitare i danni, di cui parla l’enciclica di san Giovanni Paolo II, si riferisce – sintetizza Cascioli – «a situazioni in cui c’è una legge e si può provare a porre un emendamento, a modificarla in senso migliorativo». È lecito dunque votare una modifica giusta, ma non un’intera legge ingiusta: l’EV «non invita certo al gioco d’anticipo, pensando che ipoteticamente potrebbe venir fuori qualcosa di peggio» con un eventuale governo di sinistra.
Eloquente il caso della Legge 40/2004 e del successivo referendum: la Cei, allora guidata dal cardinale Camillo Ruini, scelse di giocare un ruolo politico tendente al compromesso anziché testimoniare la verità tutta intera, con la conseguenza disastrosa richiamata da Cascioli, per cui «alla fine tanti cattolici, tanti preti e vescovi hanno cominciato a pensare o dire che la fecondazione omologa va bene», quando l’insegnamento della Chiesa dice chiaramente che non è così. E poi, a conferma che il compromesso non paga, molti dei “paletti” di quella legge sono stati spazzati via dalla Consulta.
È necessario che la Chiesa torni alla sua vera missione. «Non per niente – osserva Cascioli – Leone XIV nell’ultimo incontro che ha avuto con i vescovi italiani ha sottolineato che la priorità è l’evangelizzazione. Bisogna portare Cristo a tutti gli ambiti della società: la Chiesa deve pensare innanzitutto alla salvezza dell’uomo, non a trovare le formule politiche per risolvere i problemi».
Riguardo al caso della Toscana, la prima e fin qui unica regione che ha approvato una legge sul suicidio assistito, Rocchi spiega che l’impugnazione di questa stessa legge da parte del governo dovrebbe portare la Corte costituzionale a cassarla integralmente per evidente mancanza di competenza (ex art. 117 Cost.), in linea con un precedente: la sentenza della Consulta, in era pre-Dat, sulla legge del Friuli sul testamento biologico.
Comunque andrà a finire, resta il grave pericolo che incombe sui più fragili a motivo della parziale e scellerata depenalizzazione dell’aiuto al suicidio stabilita dalla Corte costituzionale. Un pericolo «grandissimo», sottolinea Rocchi, di cui la stessa Consulta – al netto di una possibile ipocrisia – pare essersi accorta nelle sentenze successive alla 242/2019, sottolineando a più riprese della necessità di aiutare le persone più vulnerabili e di scongiurare il rischio che sia la pressione sociale a indurli a suicidarsi. A tal fine la Corte ha suggerito una serie di misure – dal dovere di garantire adeguata assistenza sanitaria e socio-sanitaria domiciliare continuativa a quello di prendersi cura delle famiglie con pazienti in condizioni difficili – che nel Ddl in esame al Senato, afferma il magistrato cassazionista, «mancano totalmente».
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«Non si può mai perseguire il male, neanche se è minore rispetto a una situazione che si prospetta peggiore». «Affermare la bontà e la necessità delle cure palliative non significa aprire ad altri tipi di intervento». «La priorità della Chiesa è la formazione delle coscienze». Il vescovo di Ventimiglia-Sanremo interviene nel dibattito sul suicidio assistito. Stasera il convegno a Milano di Bussola e ProVita.