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L'AVVENTURA DEL VIAGGIO - IL PURGATORIO/3

Umiltà, mendicanza e desiderio di purificazione

All'inizio della salita Catone rimanda indietro Dante e Virgilio. Il viator deve compiere, prima di entrare, due riti. Deve cingere d'un giunco in segno di umiltà. E lavarsi il viso dalla fuliggine rimastagli dall'Inferno, per purificarsi.

Cultura 29_06_2014
Virgilio lava il volto a Dante

Ricordate Caronte e Minosse, i demoni infernali mutuati dall’Eneide virgiliana? Con protervia e tono aspro rimproveravano a Dante e Virgilio di trovarsi in un luogo loro non consentito. Virgilio li aveva rabboniti con parole perentorie: «Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole». Cerbero, poi, era stato zittito dalla terra gettata nelle sue fauci.

All’inizio del nuovo viaggio potremmo pensare che tutto sia cambiato rispetto al regno precedente: nuovo è, infatti, il paesaggio, la luce è ritornata ed è bellissima, compaiono il mare e le stelle. Eppure, l’esordio della partenza richiama in parte quella dell’Inferno. Il guardiano del Purgatorio provoca i due viaggiatori a presentarsi, a manifestare le ragioni della loro presenza lì: «Chi siete voi che contro al cieco fiume/ fuggita avete la pregione etterna?/ […] Chi v'ha guidati, o che vi fu lucerna,/ uscendo fuor de la profonda notte/ che sempre nera fa la valle inferna?/ Son le leggi d'abisso così rotte?/ o è mutato in ciel novo consiglio,/ che, dannati, venite a le mie grotte?».

Il maestro Virgilio invita Dante a mostrare reverenza e ossequio nei confronti del veglio: a mani giunte, con il viso chinato, in ginocchio. Poi risponde lui, come è quasi sempre capitato finora. Racconta allora le ragioni del suo intervento nella selva oscura, inviato da una donna del Cielo, Beatrice, che gli ha chiesto di salvare quell’uomo dal baratro in cui si trovava. Dante viator nel canto X dell’Inferno di fronte a Cavalcante de’ Cavalcanti aveva risposto: «Da me stesso non vegno. Colui ch’attende là per qui mi mena forse cui Guido vostro ebbe a disdegno». Con parole simili Virgilio ora spiega il suo compito a Catone: «Da me non venni:/ donna scese del ciel, per li cui prieghi/ de la mia compagnia costui sovvenni».

Poi, racconta che Dante è ancora vivo, ma è stato molto vicino alla morte per la sua «follia». Ricordiamo che questo termine è presente nella prima cantica sia in relazione al viaggio di Dante nel canto II che a proposito di quello di Ulisse nel canto XXVI. Per questo Virgilio gli ha mostrato le anime dei dannati e ora intende accompagnarlo fin sulla cima dell’Eden. Dante ricerca la libertà, proprio come Catone che in suo nome ha rinunciato alla vita ad Utica. La captatio benevolentiae termina con la promessa di Virgilio di portare buone notizie a Marzia, moglie di Catone in vita, quando ritornerà nel Limbo. Catone, però, rivela che ora non è più soggetto al fascino di Marzia, come in Terra. Per lui è sufficiente sapere che il viaggio del poeta mantovano è voluto dal Cielo.

Interessante è notare che in realtà in vita Catone non assecondò sempre i desideri della moglie come afferma il guardiano del Purgatorio («Marzïa piacque tanto a li occhi miei/ mentre ch'i' fu' di là», diss' elli allora,/ che quante grazie volse da me, fei»). Infatti, dopo alcuni anni la diede in matrimonio ad Ortensio. Alla morte di quest’ultimo la donna tornò dal primo marito per rimanere con lui sino alla fine e perché la si ricordasse solo come sua moglie. L’episodio era noto a Dante attraverso la Pharsalia. Qui non viene ricordato, ma è, invece, commentato nel Convivio (IV trattato, capitolo XXVIII) laddove Dante spiega che il ritorno di Marzia da Catone simboleggia il ritorno dell’anima a Dio, una volta morto il corpo.

Catone chiede che si adempiano due riti prima della partenza. Con il primo Dante si deve cingere d’un giunco che troverà ai piedi della montagna del Purgatorio, segno di umiltà, prerogativa fondamentale per il cammino. Con il secondo Dante deve lavarsi il viso, togliendo ogni sporco: compiere il viaggio senza il desiderio di purificarsi dalle scorie del peccato non avrebbe senso. Vita militia est ovvero «la vita è un combattimento contro il male e soprattutto contro il proprio male». Seguendo le indicazioni di Catone, Dante e Virgilio ritornano indietro sulla spiaggia del Purgatorio. Hanno camminato fino a quel momento inutilmente, su una strada sbagliata. Nella seconda cantica Virgilio si troverà fuori dal proprio mondo (non dimentichiamoci che lui è anima del Limbo, primo cerchio dell’Inferno) e dovrà imparare a chiedere sempre indicazioni alle anime purganti. La dimensione della mendicanza ben connota l’uomo medioevale. Il termine «mendicanza» ben descrive l’atteggiamento di umile richiesta di aiuto nella consapevolezza della pochezza della capacità umana e della necessità che sia Dio a soccorrerci e salvarci. Per questo l’uomo cresce in un percorso guidato, in una compagnia. Il Purgatorio richiama il pellegrinaggio medioevale e ben rappresenta l’immagine dell’homo viator, del viandante che si affida ad una guida e a un maestro.

Così, i due ritornano indietro e con la brina mattutina non ancora diradata al sole Virgilio pulisce il volto di Dante, ancora sporco per la caligine infernale. Poi i due discendono nella parte più bassa del Purgatorio. Il poeta scrive: «Venimmo poi in sul lito diserto,/ che mai non vide navicar sue acque/ omo, che di tornar sia poscia esperto./ Quivi mi cinse sì com' altrui piacque». Qui sono chiaramente esplicitate le allusioni al viaggio di Ulisse che una volta giunto di fronte alla nuova terra trovò la morte. Affidandosi, invece, ad una guida e al volere del Cielo Dante riuscirà addirittura a salire la montagna. Giunti sulla spiaggia, «là giù colà dove la batte l'onda», Virgilio strappa un giunco «sovra 'l molle limo» e con esso cinge il discepolo. In maniera sorprendente proprio lì crebbe una nuova pianta.

Proprio lì, sulla spiaggia, Dante vedrà sopraggiungere da lontano, rapidissima, una luce bianca che si rivelerà essere un angelo nocchiero del vascello delle anime purganti. Di questo parleremo la prossima volta.