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EDITORIALE

Stati falliti, il triste record dell'Africa

Il Fondo per la Pace ha pubblicato la classifica degli Stati più fragili e instabili. Il peggiore è il Sud Sudan, seguito da altri Stati dell'Africa sub-sahariana, che si conferma essere l'area meno stabile del mondo.

Editoriali 30_06_2014
Rep. Centrafricana

Il Fund for Peace, Fondo per la pace, ha appena pubblicato la decima edizione del suo “Indice degli stati falliti”, ribattezzato a partire da quest’anno “Indice degli stati più fragili”.

Il Fondo per la pace, che ha sede a Washington, è un’organizzazione non governativa impegnata nella prevenzione dei conflitti e nella promozione di stabilità e pace. Per redigere l’Indice, ogni anno i suoi ricercatori consultano migliaia di articoli, saggi e rapporti. Il giudizio su ogni stato si basa su 12 indicatori: quattro sociali, due economici e sei politici. Pur non pretendendo l’attendibilità di un’indagine scientifica, l’Indice fornisce utili indicazioni per l’elaborazione di strategie di intervento; inoltre offre un valido panorama dello stato del mondo, anno per anno, e aiuta a ripercorrere l’evoluzione politica, economica e sociale dei singoli stati e del pianeta nel suo insieme.

Per il 2014 l’assai poco invidiabile primato di stato “fallito”, il più fragile, è andato, su 178 paesi considerati, al Sud Sudan: lo stato più giovane del mondo – è nato il 9 luglio 2011 – e dunque adesso anche il più debole, a causa di uno scontro per la leadership esploso quasi un anno fa e ormai degenerato in cruento conflitto etnico. Dopo il Sud Sudan, nella classe dei paesi definiti “ad altissimo rischio” figurano, nell’ordine, altri quattro stati dell’Africa sub-sahariana: Somalia (in prima posizione dal 2008 al 2013), Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo e Sudan. Apre la seconda classe di paesi – “a rischio elevato” – un altro stato sub-sahariano, il Ciad, seguito dall’Afghanistan. Le classi successive distinguono gli stati in “a rischio”, “gravissimo pericolo”, “grave pericolo”, “pericolo”; e poi, “meno stabili”, “stabili”, “molto stabili”, “solidi” e “molto solidi”.

Un unico stato si trova nella classe dei paesi “molto solidi” ed è la Finlandia. L’Italia occupa una posizione non del tutto rassicurante: è 148esima, infatti, tra Estonia e Lituania, nella classe dei paesi soltanto “stabili”.

Scorrendo l’Indice balza agli occhi il fatto che tutti gli stati africani, salvo quattro, si trovano nelle prime cinque classi, quelle degli stati più pericolosamente fragili. Solo per Sudafrica, Botswana e Seychelles la valutazione è di un semplice stato di “pericolo”. L’unico paese africano giudicato “stabile” è l’arcipelago delle Mauritius. Anche gli stati islamici, a totalità o a maggioranza di popolazione musulmana, compaiono quasi tutti nelle prime classi.

Sembra, in effetti, di osservare l’Indice di sviluppo umano, ma capovolto. Lì, dove si misurano speranza di vita alla nascita, livelli di istruzione, di scolarizzazione e di reddito, gli stati africani sono infatti quasi tutti raggruppati al fondo, nella classe dei paesi a basso e bassissimo sviluppo umano: insieme a loro, gran parte di quelli islamici.

Che stato fragile e mancato sviluppo umano coincidano non deve meravigliare se, per stato fragile, fallito, si deve intendere uno stato che viene meno alle sue funzioni fondamentali: garantire buon governo, unità, sicurezza, ordine pubblico, servizi adeguati, equa amministrazione della giustizia, incentivi alla produzione, democrazia, libertà personali, promozione dei diritti umani, una buona rappresentanza del proprio paese nel contesto internazionale.

Utile risulta anche il confronto tra l’Indice 2014 e l’Indice 2013. Se il Sud Sudan è diventato lo stato più fragile, è però soltanto sesto, se si considerano gli stati in cui la situazione è maggiormente peggiorata nell’arco dell’ultimo anno. In questi termini il primato va alla Repubblica Centrafricana, a causa di un conflitto tra islamici e cristiani prossimo al genocidio, seguita da Siria e Libia, entrambe, come è noto, sconvolte da una guerra civile scatenata da fattori religiosi ed etnici. Considerando un arco di tempo più lungo, il Fondo per la pace ritiene che la crisi in assoluto più grave sia peraltro quella iniziata nel 2011 in Libia con la caduta del regime del colonnello Gheddafi.

L’Indice inoltre dimostra che l’instabilità, il rischio che una situazione si deteriori, non è una caratteristica esclusiva del paesi in via di sviluppo.

Dal 2013 risultano infatti peggiorati, tutti per flessione degli indicatori politici ed economici, paesi tra i più sviluppati del pianeta: la Francia, settima per accresciuta fragilità dello stato, Singapore e Stati Uniti, entrambi ottavi insieme alla Thailandia, seguiti da Svizzera, Olanda, Svezia e Austria, tutte entro le prime 20 posizioni.

È motivo di ottimismo infine il fatto che, per il quinto anno successivo, il numero dei paesi migliorati o che hanno mantenuto le loro posizioni superi il numero di quelli che sono peggiorati: nell’insieme, anche se forse non sembra, il mondo negli ultimi cinque anni è diventano più stabile e sicuro.