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PERSECUZIONE CONTINUA

Siria, assalto ai cristiani nelle aree islamiste

A Idlib, ultima “sacca” di resistenza delle milizie jihadiste che da sette anni combattono il governo di Bashar Assad, continuano violenze e soprusi ai danni delle comunità cristiane. Nell’area da diversi giorni i miliziani del gruppo qaedista Hayaat Tahrir Al Sham (ex Fronte al-Nusra) continua a sequestrare case, terreni e beni dei cristiani. «È il nostro bottino di guerra». Intanto sabato gli stessi ribelli sono stati accusati di un attacco chimico alla periferia di Aleppo, con 100 intossicati.

Esteri 01_12_2018

A Idlib, la provincia siriana che costituisce l’ultima “sacca” di resistenza delle milizie jihadiste che da sette anni combattono il governo di Bashar Assad, continuano violenze e soprusi ai danni delle comunità cristiane.
Nell’area grande quasi come l’intera provincia di Idlib e circondata da una zona smilitarizzata presidiata da militari turchi e russi che impediscono il contatto tra miliziani e truppe governative, da diversi giorni i miliziani del gruppo qaedista Hayaat Tahrir Al Sham (ex Fronte al-Nusra) continuano a sequestrare case, terreni e beni dei cristiani.

Lo racconta Pierre Balanian in un articolo per AsiaNews in cui emerge che il 25 novembre il Patriarcato degli armeni cattolici, conferma che da parte dei gruppi terroristici islamici di Idlib è in corso una confisca dei beni dei cristiani fuggiti durante la guerra.
Un abitante di Gisr el Sheghur - che ha voluto mantenere l’anonimato - è fra coloro che hanno occupato una casa abbandonata. Egli stesso dichiara che il gruppo qaedista “ha informato tutti gli abitanti che hanno occupato case appartenenti ai cristiani fuggiti, di lasciarle o accettare di versare un affitto mensile” all’organizzazione terroristica islamica.

Vi è anche l’esproprio delle case dei cristiani lasciate in procura a loro amici o vicini di casa. La milizia jihadista non riconosce tali procure legali, le case più belle vengono assegnate ai capi islamici; altre case o negozi vengono venduti o affittati.

I cristiani nella provincia di Idlib, composti soprattutto da armeni e greco-ortodossi, hanno dovuto fuggire da quei luoghi nel 2012. Noti per essere benestanti e proprietari di terreni e case, hanno abbandonato tutto, fuggendo in zone controllate dal governo. Molti altri hanno optato di emigrare all’estero: alcuni solo temporaneamente in Turchia, Libano o Armenia; altri hanno scelto di non ritornare mai più e sono andati in Europa, America, Australia.

I cristiani della provincia erano concentrati soprattutto all’interno della città di Idlib, ma anche nei villaggi circostanti dell’hinterland agricolo ed industriale, come pure nei nuovi centri urbanizzati di Gisr el Sheghur, Halluz, Yaacobibya ed Al Ghassaniya. Agli inizi del 2012, tanti cristiani hanno subito feroci persecuzioni ad opera di Daesh. Molti di loro sono stati decapitati, con la scusa di essere “sostenitori del regime di Damasco”.

Da quando i gruppi armati islamici hanno preso il controllo della provincia, gli atti di persecuzioni e terrorismo verso i cristiani si sono accresciuti mentre lo Stato Islamico e il Fronte al-Nusra hanno rapito molti religiosi e demolito chiese e monasteri insieme ad altre fazioni integraliste alleate.

Hayaat Tahrir Al Sham controlla quasi il 70% dei territori della provincia di Idlib con migliaia di combattenti siriani e stranieri mentre il rimanente 30% del territorio della “sacca” è controllato da milizie comunque ostili ai cristiani tra i quali il “Partito Islamico Turcomanno” vicino ad Ankara, “Sekur al-Ghab” (Falchi delle Foreste), Ansar al-Tawhid (Apostoli dell’Unità), Haras al-Din (I Guardiani della religione); Ajdad al-Caucaz composto da ceceni e azeri turchi e Jeysh al-Izza (Esercito della Gloria). Solo uno sparuto gruppo appartiene all’Esercito Siriano Libero definito “moderato” in Occidente.

Sul fronte militare la situazione di stallo a Idlib potrebbe venire compromessa dalle conseguenze dell’attacco chimico condotto con ordigni caricati con cloro proprio dalle milizie dell’ex Fronte al-Nusra contro i sobborghi della città di Aleppo.

Un attacco denunciato sabato scorso da Damasco e Mosca che avrebbe provocato oltre 100 intossicati. Il Pentagono ha chiesto alla Russia di consentire un'indagine indipendente ma la rappresaglia dell’artiglieria di Assad e dei jet russi non si è fatta attendere, concentrati i primi sulla zona meridionale della regione, nei distretti di Maarrat an Numan e Latmana mentre i jet di Mosca hanno colpito postazioni controllate dai ribelli a sud e a est di Aleppo.

"I caccia hanno colpito le posizioni di artiglieria dei terroristi nella zona, da dove sono stati condotti i bombardamenti sui civili di Aleppo con armi chimiche", ha detto il portavoce del ministero della Difesa russo, il generale Igor Konashenkov.
I media siriani vicini al governo affermano inoltre che da giorni le truppe lealiste dislocate nell'aeroporto militare di Abu Dhuhur, si preparano a un assalto per rafforzare il controllo del tratto di autostrada che collega Hama con Aleppo minacciato dai qaedisti.

A turbare il difficile processo di pace in Siria, al centro dei negoziati ripresi ieri ad Astana, in Kazakhstan (dove è in corso l’undicesimo ciclo di colloqui politico-militari tra Russia, Turchia e Iran, assieme a delegazioni del governo e delle opposizioni siriane e alla presenza, come osservatori, dell'Onu e della Giordania), ha contribuito la notte di giovedì l’ennesimo raid aereo israeliano che ha colpito obiettivi nei pressi di Damasco.
Le forze siriane hanno dichiarato di aver abbattuto un jet israeliano nella notte ma Israele nega l'abbattimento e non conferma i raid che avrebbero colpito alcuni depositi d'armi delle forze filo-iraniane schierate a fianco del presidente Bashar Assad
L'agenzia di stampa ufficiale siriana Sana aveva affermato che la difesa antiaerea di Damasco era entrata in azione ad Al Kasua, circa 20 chilometri a sud della capitale per rispondere ad alcuni raid.

Le forze armate israeliane hanno confermato che un missile antiaereo siriano è caduto in un'area desertica sulle alture del Golan. In settembre, le forze armate israeliane avevano affermato di aver effettuato almeno 200 attacchi aerei in Siria negli ultimi due anni, impiegando circa 800 tra missili e bombe.
Secondo diversi media arabi, tra agosto e settembre, i raid israeliani in Siria hanno ucciso almeno 113 militari e combattenti filo-iraniani.