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Sinodo avvelenato, scelta di campo Cei: appoggiare i gay pride

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La CEI pubblica il documento di sintesi del cammino sinodale e prosegue nel suo intento di tentare di coniugare omosessualità, transessualità e fede cattolica. 

Ecclesia 18_10_2025

È stato pubblicato dalla Cei il Documento di sintesi del cammino sinodale, dal titolo Lievito di Pace e di Speranza, che sarà votato il prossimo 25 ottobre dalla Terza assemblea sinodale delle Chiese in Italia. Molti i temi trattati. Concentriamo il focus sulle tematiche LGBT.

Nel paragrafo La cura delle relazioni della Parte I si possono leggere alcune indicazioni operative: «Che le Chiese locali e le Conferenze Episcopali Regionali promuovano percorsi di accompagnamento, discernimento e integrazione nella pastorale ordinaria di quanti desiderano fare cammini di maggiore integrazione ecclesiale, ma sono ai margini della vita ecclesiale e sacramentale a causa di situazioni affettive e familiari stabili diverse dal sacramento del matrimonio (seconde unioni, convivenze di fatto, matrimoni e unioni civili, etc.)».

Prima interpretazione di questo passo secondo un approccio esegetico letterale: buona cosa quella di tentare di integrare ad esempio in parrocchia i divorziati, i conviventi, i coniugati solo civilmente, le coppie omosessuali unite civilmente. Integrarli, aggiungiamo noi, non significa però ad esempio affidare loro responsabilità significative in parrocchia, sia perché possono essere inadeguati (un convivente non può fare catechismo ad esempio, figuriamoci un persona che pratichi l’omosessualità), sia per evitare lo scandalo, ossia che si possa interpretare l’affidamento di responsabilità a queste persone come un placet alla loro condizione contraria alla morale naturale. Inoltre integrarli, accompagnarli, accoglierli comportano che il parroco e gli altri fedeli devono – è un obbligo morale – persuaderli, nel modo miglior possibile, sul fatto che continuare a vivere secondo quelle condizioni non fa il loro bene perché in contrasto con il volere di Dio.

Queste due riflessioni, tra le molte che si potrebbero articolare su questo punto, mancano completamente nel documento della Cei, ergo è inevitabile leggere il passo sopra citato secondo un diverso approccio esegetico: nella Chiesa cattolica non solo c’è posto per tutti – e questo è doveroso – ma c’è posto per tutto: adulterio, omosessualità, fornicazione, etc. La CEI sposa questa deriva di matrice schiettamente Bergogliana.

La correttezza di questa interpretazione è suffragata anche da un precedente passaggio in cui la CEI scrive: «Non vogliamo rinunciare a tenere ben presente che “lo sguardo di fede rifugge le rigide categorie e domanda di accogliere le sfumature, comprese quelle che a occhio nudo non si vedono” (CEI, Lineamenti per la prima Assemblea sinodale – LAS – 2024, 6)». Le sfumature – che sfumature non sono perché sono toni scuri di colore nettamente distinto dal bianco della santità – dell’omosessualità praticata, dell’adulterio, etc. non vanno accolte, ma rigettate. Si può e si deve accogliere il peccatore, non il peccato. Sarà pure un categoria concettuale rigida, ma date la colpa alla verità che spesso rigida lo è.

L’approccio inclusivo verso il peccato che orienta queste indicazioni della CEI non può che essere applicato anche al successivo punto programmatico: «Che le Chiese locali, superando l’atteggiamento discriminatorio a volte diffuso negli ambienti ecclesiali e nella società, si impegnino a promuovere il riconoscimento e l’accompagnamento delle persone omoaffettive e transgender, così come dei loro genitori, che già appartengono alla comunità cristiana».

Innanzitutto un nota terminologica. Le persone omosessuali sono diventate persone omoaffettive. Mettere l’accento sull’affetto, sul sentimento predispone meglio il cattolico ad accettare l’omosessualità. In secondo luogo il termine “transgender” è ideologico (così come la locuzione “identità di genere” che ricorre successivamente): occorre parlare di persone transessuali. Il “genere” – “gender” in inglese – è la percezione dell’appartenenza ad un sesso che ha una persona. È  un dato soggettivo e quindi può essere fallace. Il sesso invece è un dato oggettivo e dunque di suo è veritiero: occorre riconoscere il sesso e dunque adeguare la propria percezione a tale riconoscimento. Quindi usare la parola “transgender” significa sposare l’etica LGBT: sono io che mi scelgo il sesso.

Ma veniamo al rilievo più importante: la CEI parla di “riconoscimento” delle persone omosessuali e transessuali e delle loro famiglie. Non crediamo che per “riconoscimento” si debba intendere la scoperta che Tizio sia omosessuale o la consapevolezza che Tizio sia transessuale e che Caio e Sempronia siano i genitori di Tizio. Perché mai la CEI dovrebbe incoraggiare un dossieraggio ecclesiale delle persone omosessuali e transessuali? Suonerebbe come una schedatura. Pare evidente che per “riconoscimento” si debba invece intendere “accoglimento senza riserva dell’orientamento omosessuale e della transessualità, appoggiando le famiglie in questo senso”.

Questa interpretazione è avvalorata dal seguente passaggio presente nel paragrafo L’attenzione per la dimensione affettiva: «Che le Chiese locali […] avviino […] équipe che valorizzino le buone prassi pastorali già in atto e che coordinino nuovi percorsi di formazione alle relazioni e alla corporeità-affettività-sessualità – anche tenendo conto dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere – soprattutto di preadolescenti, adolescenti e giovani e dei loro educatori; c. che le Chiese locali vigilino e operino affinché nei vari contesti formativi […] non avvengano forme di abuso psicologico, spirituale e di coscienza, anche nell’ambito dell’orientamento sessuale».

Qui la CEI si sta riferendo a quelle iniziative e realtà pastorali dichiaratamente pro-LGBT come il Progetto Gionata. Ma c’è di più e c’è di peggio: la CEI qualifica la persuasione alla conversione per le persone omosessuali, chiedendo loro di abbandonare questa condizione contraria alla propria dignità personale, come abuso psicologico, spirituale e di coscienza. La CEI sposa quindi l’approccio affermativo tipico di una certa psicologia contemporanea: ti senti gay? Va bene così e non ti dico nulla, altrimenti ti sto facendo violenza. Si potrebbe obiettare che la CEI non scrive esplicitamente che proporre l’abbandono dell’omosessualità rappresenti un abuso, ma, lo ripetiamo, stante l’assenza completa nel documento dei riferimenti dottrinali che qualificano l’omosessualità e la transessualità come condizioni intrinsecamente disordinate, non si può che concludere che la CEI veda ogni proposta volta alla riscoperta della propria eterosessualità come un sopruso.

Anche questa interpretazione riceve l’avvallo da parte di un altro passaggio del documento della CEI che non può che essere la conclusione logica dei passaggi precedenti: «Che la CEI sostenga con la preghiera e la riflessione le “giornate” promosse dalla società civile per contrastare ogni forma di violenza e manifestare prossimità verso chi è ferito e discriminato (Giornate contro la violenza e discriminazione di genere, la pedofilia, il bullismo, il femminicidio, l’omofobia e transfobia, etc.)». Qui la CEI appoggia i Pride e chiede di pregare per la loro buona riuscita. Anche in questo caso si potrebbe obiettare: la CEI, in realtà, vuole appoggiare solo quelle iniziative civili volute per combattere le reali ed ingiuste discriminazioni a danno di omosessuali e transessuali, rifuggendo da qualsiasi deriva ideologica. Risposta: dove sono queste iniziative? Non esistono. La CEI parla di “giornate” e, in merito ai temi LGBT, esistono solo le giornate e il mese dell’orgoglio LGBT. Perciò la CEI appoggia esplicitamente i Pride. Questa è la verità. Tra l’altro, per rifuggire ogni rischio di fraintendimento avrebbe dovuto criticare esplicitamente i Pride, che sono pure blasfemi e sacrilegi, mettendo così in chiaro che il suo sostegno andava solo ad altre iniziative di diversa natura.

Dunque la CEI in questo documento prosegue nel suo intento di tentare di coniugare omosessualità, transessualità e fede cattolica.