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Simposio a Cipro: sempre meno cristiani in Medio Oriente

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Il cristianesimo non deve sparire dalle terre in cui affonda le radici: è il monito del card. Sako durante l'incontro a dieci anni dall'esortazione dedicata loro da Benedetto XVI, che ha riunito patriarchi, vescovi e laici delle Chiese orientali.

Ecclesia 26_04_2023

Sono arrivati da tutte le diocesi del Medio Oriente. Patriarchi, vescovi, responsabili di comunità, religiosi, membri di associazioni e movimenti. Si sono dati appuntamento a Cipro, uno dei quattro Stati appartenenti al Patriarcato di Gerusalemme dei Latini. Una terra questa, dove, oltre ai fedeli cattolici di rito latino, vi sono diverse Chiese orientali sui iuris e dove la presenza cattolica si intreccia con quella dei cristiani ortodossi e degli osservanti di altre religioni.

Radicati nella speranza, questo il filo conduttore dell’incontro, dedicato al presente e al futuro delle Chiese cattoliche mediorientali, organizzato da ROACO (Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali). Un appuntamento che si è svolto nella ricorrenza del decennale dell’esortazione apostolica post sinodale di Benedetto XVI Ecclesia in Medio Oriente, consegnata ai patriarchi, ai vescovi e a tutti i battezzati del Medio Oriente, il 16 settembre 2012, in occasione del suo viaggio apostolico in Libano e pubblicata dopo il Sinodo del 2010.

«Spero che questo incontro possa servire, in primo luogo, ad uno slancio missionario al quale papa Francesco ha dato un forte impulso», ha sottolineato il nunzio apostolico di Cipro e Giordania, l’arcivescovo Pietro Dal Toso, aggiungendo che le sfide sono molteplici, anche perché in questi dieci anni dalla pubblicazione dell'esortazione, sono cambiate moltissime cose in Medio Oriente. «Penso, per esempio, alla guerra in Siria, all’Isis, alla situazione attuale in Iraq, alle tensioni tra Israele e Cisgiordania. Questi dieci anni sono stati anni importanti per quei Paesi che hanno visto cambiare, per molti versi, il loro volto in questa terra martoriata».

È stato il patriarca di Gerusalemme dei Latini, l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, a tenere la relazione d’apertura, inquadrando i lavori di questo importante appuntamento nel contesto del decennale dalla pubblicazione di Ecclesia in Medio Oriente. L’incontro, presieduto dall’arcivescovo Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, ha messo in risalto, sin dai primi interventi, la grande sfida che dovrà affrontare la Chiesa nei prossimi anni: la costante diminuzione della presenza cristiana, che non è solamente causata dal fatto che molti cristiani preferiscono emigrare, ma anche, e soprattutto, dalla diminuzione delle vocazioni religiose, sia maschili che femminili, non più così numerose come una volta. Tutto questo pone un problema fondamentale: l’esistenza dei cristiani in questa terra che vide nascere il cristianesimo.

«Bisogna sostenere e convincere i cristiani a non lasciare la loro terra, bisogna aiutarli a non emigrare», ha detto il patriarca di Baghdad dei Caldei, il cardinale Louis Raphael Sako, intervenendo nel corso dell’incontro. «Sarà davvero grave se il Medio Oriente si svuoterà dei cristiani, spariranno le radici del Cristianesimo. La presenza delle Chiese orientali è minacciata e i cristiani non intravvedono più un possibile futuro, in particolare in Iraq, Siria, Libano e Palestina, a motivo delle sfide politiche, economiche, culturali e non solo». Ma se Atene piange, Sparta non ride: «in Occidente, purtroppo, – è sempre Sako a parlare – stanno venendo a mancare i valori religiosi e umani, c'è una secolarizzazione galoppante, e la vita si sta svuotando di qualunque sacralità. In Oriente, invece, c’è il fondamentalismo, che si trasforma in terrore e terrorismo, e noi siamo minacciati, siamo marginalizzati, perseguitati. Le nostre case e i nostri villaggi vengono occupati, e poi, non ultima, c’è la questione demografica».

L’esortazione di Benedetto   XVI è molto ricca e puntuale. Ma, in questi anni, le cose sono radicalmente cambiate. «Basti pensare – mette in evidenza il cardinale Sako - al documento di Abu Dhabi o all’incontro avvenuto a Najaf, in Iraq, tra papa Francesco e il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani, leader della comunità sciita, che in quell’occasione pronunciò parole di amicizia e di fratellanza verso i cristiani. Ecco, bisogna sfruttare tutte queste cose per vivere da fratelli e da cittadini, per cambiare la mentalità della società che considera i musulmani superiori, mentre gli altri sono trattati come cittadini di second’ordine. I cristiani sono presenti in Iraq secoli prima dei musulmani, oggi invece siamo una minoranza e dipendiamo dagli altri. Basti pensare al Libano dov’erano maggioranza. Oggi, tutti pensano ad emigrare, quando invece i cristiani hanno tanto da offrire ai loro Paesi».

«I cristiani, col passare del tempo, diminuiscono sempre più. Scappano. Chi resta rischia di diventare un oggetto che prima o poi sarà collocato in un museo». A pronunciare queste parole è padre Jiahd Yousseph, monaco del monastero Mar Mousa di Nebek, in Siria, comunità fondata da padre Paolo Dell’Oglio, del quale non si hanno più notizie dal 2013, quando venne rapito in Siria dagli uomini dell’Isis. «I cristiani non sono ospiti in Medio Oriente», aggiunge il nunzio Dal Toso. «Ci sono da sempre e hanno assicurato il loro considerevole contributo alla crescita economica e sociale di queste società, meritano pertanto il pieno riconoscimento dei loro diritti».

«Oggi si parla tanto di diritti dell’uomo. Anche noi cristiani vogliano riconosciuti i nostri diritti, come i musulmani – dice il cardinale Sako – che invece hanno alzato le barriere. È improcrastinabile separare la religione dallo Stato, ma tutto questo chiede un sostegno diplomatico e politico, anche esterno, nei confronti dei cristiani, verso i quali ora c’è una persecuzione, seppur discreta, non pubblica, che si traduce con l’impossibilità per un cristiano di essere ministro, oppure lo vede costretto a subire l’occupazione della propria casa o della propria terra come avviene in Palestina».

Il patriarca Pizzaballa, da parte sua, ha ribadito che non possiamo concepire il nostro stare in Medio Oriente soltanto e semplicemente come un diritto, il che ci renderebbe fatalmente parte fragile in un conflitto o in una guerra. «Stare e restare nel territorio delle nostre Chiese, lacerato da ogni forma di violenza e conflitti, sarà sempre più per noi una vocazione e una scelta», ha sottolineato. «Le tante sofferenze di questi ultimi anni, con la conseguente crisi economica che ancora viviamo, possono essere una grande occasione per noi, per il clero e per i nostri fedeli: essere una Chiesa povera tra i poveri». E conclude: «Sappiamo bene come in Medio Oriente la politica avvolga la vita ordinaria in tutti i suoi aspetti. L’opzione preferenziale per i poveri e i deboli non fa della Chiesa un partito politico. Prendere posizione, come spesso ci è chiesto, non può significare diventare parte di uno scontro, ma deve sempre tradursi in parole e azioni a favore di quanti soffrono e gemono e non invettive e condanne contro qualcuno. La Chiesa, come Cristo, condanna sempre il peccato, mai il peccatore. Per i cristiani l’unica posizione possibile da assumere è quella del loro Maestro, a servizio della vita di tutti».