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VIOLENZA

Senago, il problema degli uomini è il rifiuto della virilità

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È nella natura dell'uomo la tendenza all'aggressività e al combattimento, solo con l'educazione si argina l'aggressività e la si dirige verso l'aggressore e a difesa di donne e bambini. Ma è ciò che la modernità condanna, spingendo l'uomo a sfogare le proprie emozioni, che rischiano di diventare violenza incontrollata.

Famiglia 07_06_2023

Il nostro articolo sui fatti di Senago ha suscitato diverse reazioni. Alcune di queste hanno posto una domanda: e gli uomini? Possibile che il genere maschile non abbia responsabilità? Forse non tutti gli uomini sono pericolosi, ma come gestire quelli che lo sono?

Ottimo tema che, come al solito, affronteremo partendo da lontano.
Una costante osservata nei miei anni di lavoro clinico è la seguente: nelle famiglie in cui non c’è un padre e i figli vivono con la madre, quando il figlio maschio cresce e si affaccia all’adolescenza c’è il rischio che abbia dei comportamenti aggressivi e violenti nei confronti della madre (soprattutto se questa non è stimata). Questa cosa rientra immediatamente se in casa c’è il padre. Questa osservazione è confortata da diverse ricerche (clicca qui).

Il fatto è questo: il ragazzo pubere comincia a produrre testosterone che, letteralmente, ne inzuppa il cervello codificandone addirittura le strutture. Il testosterone inclina i maschi in comportamenti aggressivi e competitivi; in poche parole: a combattere. I cambiamenti fisici del corpo sono perfettamente in sintonia con questo destino legato al maschio: egli sviluppa altezza, forza, robustezza necessari per una vita da guerriero. Non è una costruzione sociale, non basta aprire il servizio militare alle donne: come spiega Ettore alla moglie Andromaca, «La guerra è cosa da uomini». Quindi ogni maschio è un natural born killer, un assassino nato? Solo potenzialmente.

Il mondo maschile ha costruito, nei millenni, un sistema educativo per arginare la naturale aggressività maschile, per indirizzarla verso il nemico, l’aggressore; e utilizzarla per proteggere donne e bambini anziché rivolgerla verso di essi. Questo è il motivo per cui basta la presenza paterna per far cessare gli eventuali comportamenti aggressivi del figlio adolescente nei confronti della madre: il compito del padre è quello di educare i figli a gestire forza e aggressività. Tutto il mondo maschile è impegnato (silenziosamente e clandestinamente) per gestire questi impulsi ed evitare catastrofi.
I gesti di «cavalleria» (che sopravvivono nonostante la furia femminista) non  consistono nel mettere la forza maschile al servizio delle donne? Pagare al ristorante, aprire porte e portiere, porgere il braccio, aiutare la signora ad indossare il cappotto…

E lo sport? Non il fitness, lo sport: non è forse un combattimento simulato, nel quale ogni gesto di aggressività è rigidamente normato e punito severamente? Gli sport, in particolare quelli di combattimento, non hanno forse la funzione preziosissima di insegnare a indirizzare l’aggressività in modo costruttivo?

Pensiamo al rigidissimo codice morale che i bambini, per secoli, all’oscuro degli adulti, si sono tramandati: non si picchiano quelli con gli occhiali (lo scontro deve avvenire alla pari); niente cinque contro uno (lealtà); le bambine non si toccano nemmeno con un fiore (guarda un po'); non si fa la spia («Chi fa la spia non è figlio di Maria…); non si va a frignare dalla mamma o dalla maestra (impara a cavartela da solo).
Non so se il gentile lettore l’ha notato ma, mentre il gioco delle bambine è cooperativo, quello dei bambini è sempre competitivo: se il loro destino è combattere, meglio che si esercitino a farlo a partire dal gioco. E tutto questo, si badi bene, non è una costruzione sociale, anzi: è un vero e proprio codice d’onore che i bambini si tramandano da secoli all’insaputa degli adulti (che lo riproverebbero). Questo codice d’onore che salva donne e bambini dalla naturale (sottolineo naturale) aggressività maschile, si riassume nel detto «Comportati da uomo», forse lo slogan più odiato dalla modernità.

Questo codice comprende anche un altro abominevole detto: «Gli uomini non piangono». Gli uomini non esprimono i loro sentimenti. Questa è una cosa che fa impazzire le femministe a anche tante mogli moderne: gli uomini, evidentemente degli idioti, devono imparare a «esprimere i loro sentimenti, le loro emozioni». Le donne, ovviamente,  pensano alle loro emozioni: malinconia, tristezza, euforia… Aleggia sempre l’equivoco per cui le differenze tra uomini e donne sono sempre e soltanto genitali. Per un uomo, esprimere le proprie emozioni, significa togliere i freni all’aggressività, lasciar scorrere liberamente i fiumi di adrenalina che li inondano quando sono in modalità combattimento. Una donna sa cosa significa mantenere la lucidità quando si trema per l’adrenalina? Quando esprimere le proprie emozioni significherebbe aggredire e colpire selvaggiamente la persona che ci sta davanti?

Non è difficile accorgersi che tutto ciò che gli uomini, in migliaia di anni, hanno escogitato per gestire e indirizzare l’aggressività maschile è saltato. È saltato a causa della modernità, del femminismo, del gender, della cultura woke. I maschi sono seduti su una supercar… senza freni. Non hanno più la preoccupazione di gestire, controllare la propria emotività, anzi: vengono invitati a sfogare liberamente le loro emozioni. Pensando che siano lacrime, mentre sono pugni letali.