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OBAMA

Sempre "estremismo violento", mai "islamico"

Obama riunisce a Washington i rappresentanti di 60 paesi del mondo, per un Summit sull'Estremismo. Un dialogo contro il terrorismo che imperversa in Medio Oriente e in Europa che ripete i soliti luoghi comuni. Ancora una volta si nega la matrice islamica del terrorismo, visto solo come prodotto del disagio sociale ed economico.

Esteri 21_02_2015
Barack Obama

Il 17 e il 18 febbraio scorsi, rappresentanti dei governi, delle amministrazioni locali e della società civile di 60 Paesi del mondo sono stati invitati dalla Casa Bianca a prender parte al Summit sull’Estremismo. A parte alcune remore sull’organizzazione (gli inviti sono partiti solo il 29 gennaio, a quanto risulta), a parte il fatto che Obama ha organizzato l’incontro a Washington dopo aver brillato per la sua assenza a Parigi, all’indomani della strage del Charlie Hebdo, quel che emerge dal Summit è una formula a cui manca una parola. La formula è “Lotta contro l’estremismo violento”. La parola che manca è: “islamico”.

Ovviamente non si tratta di una dimenticanza. L’islam è stato l’argomento centrale del Summit, nominato in tutti gli interventi. Si tratta di una rimozione deliberata, o meglio: di una negazione. “Dobbiamo confrontarci con folli ideologie, adottate da terroristi come quelli di Al Qaeda e dell’Isis e specialmente con il loro tentativo di usare l’islam per giustificare la loro violenza”. Questa è la chiave di tutto il discorso di Barack Obama. Prima del Summit, intervistata dall'Msnbc sull’assassinio di 21 cristiani copti egiziani da parte dell’Isis, la vice-portavoce del Dipartimento di Stato, Marie Harf, aveva sottolineato lo stesso concetto. Quell’omicidio di massa, a suo dire, “mette in evidenza che non stiamo parlando solo di un conflitto in Iraq e Siria e che questo conflitto non si combatte solamente sganciando bombe sui terroristi. Semmai si deve parlare di come possiamo affrontare le cause dell’estremismo in luoghi come la Libia, sul fatto che non vi sia un governo e che non ci siano opportunità per i giovani”. La Harf ribadiva, più tardi nella stessa intervista: “Se io fossi nell’Isis, non sarei preoccupata… niente di quel che stiamo facendo ora sembra destinato a fermarli (…) Non possiamo vincere questa guerra uccidendoli, non possiamo concludere il conflitto uccidendo. Abbiamo bisogno, nel medio e lungo periodo, di affrontare le cause profonde che spingono la gente a unirsi a questi gruppi, la mancanza di opportunità di lavoro”. 

A quanto pare è un vizio del progressisti (durissimo a morire) quello di considerare la mancanza di benessere e di lavoro come la causa di tutti i mali. Combinando i discorsi di Obama e della Harf, se ne deduce che: l’islam è solo un’etichetta e la vera causa dell’estremismo è il disagio economico. Che l’islam sia solo una “etichetta” (o una “sovrastruttura” per usare i termini di Karl Marx), Obama lo dice chiaramente in un altro passaggio del suo discorso: “ … dobbiamo riconoscere che gruppi come Al Qaeda e Isis stanno facendo deliberatamente proseliti nelle comunità musulmane, in particolar modo fra i giovani musulmani. E le comunità musulmane, compresi gli intellettuali e i religiosi, hanno una responsabilità nel respingere questa propaganda. Non solo respingere una folle interpretazione dell’islam, ma anche la menzogna che siamo in qualche modo impegnati in uno scontro di civiltà”. Terzo, ancora una volta: “dobbiamo affrontare le fonti di rimostranze che vengono sfruttate dai terroristi, inclusa la sofferenza economica”. Secondo Obama, “La povertà, da sola, non spinge una persona a diventare terrorista”. E fa l’esempio dei molti poveri che seguono la legge. Ma: “quando la gente, specialmente i giovani, si sente intrappolata in comunità immiserite, dove non c’è ordine né una possibilità di evoluzione, ove non ci sono opportunità educative, dove non c’è modo di sostenere le famiglie e nessuna via di fuga dall’ingiustizia e dall’umiliazione della corruzione, instabilità e disordine ne conseguono e queste comunità diventano luogo di reclutamento per gli estremisti”.

Terrorismo, solo un problema sociale ed economico? Per Obama è soprattutto questo. La religione, dal suo punto di vista, non c’entra. Per dimostrare questo concetto, ritiene che non vi sia alcun legame fra il terrorismo e un credo particolare, ma che la violenza sia trasversale a tutte le religioni. Quali? Il presidente Usa se l’era già presa con i Crociati, di 1000 anni fa. La Harf gli fa il coro facendo esempi più recenti, ma non più calzanti. Quale “terrorista cristiano” cita il leader guerrigliero ugandese Joseph Kony, che è membro di una piccola setta apocalittica molto più vicina all’animismo e alle sue tradizioni (il signore della guerra africano ha 88 mogli) che non a qualunque confessione cristiana. E spesso si cita come “terrorista cristiano” anche Anders Behring Breivik, che si definiva massone e probabilmente non era nemmeno quello. Il segretario di Stato John Kerry, scrive sul Wall Street Journal che: “l’estremismo violento non può essere giustificato dalla religione. Nessuna interpretazione legittima della religione insegna ai suoi fedeli di commettere atrocità inenarrabili”. E’ un buon auspicio morale, ma non riflette la realtà di movimenti terroristici che invece agiscono nel nome del Corano, con l’esplicita benedizione di ulema e imam. Pensiamo solo a quelli che combattono contro Israele, o hanno combattuto contro gli Stati Uniti in Iraq: nessuna condanna è giunta nei loro confronti da parte dei leader religiosi islamici. Sulla shahada, il suicidio-omicidio islamico, sono state spese ore e ore di parole: tutte di approvazione.

L’amministrazione Obama sta cercando di far quadrare il cerchio, mettere in piedi una coalizione di musulmani contro il terrorismo islamico dell’Isis e di Al Qaeda. Le sue parole sono calibrate apposta per questo scopo, un capolavoro di ambiguità dietro il quale stanno lavorando fior di esperti in comunicazione politica. Ma questi discorsi non contribuiscono affatto a comprendere il terrorismo (islamico), tantomeno a combatterlo. Sorge da Stati falliti e comunità privi di opportunità? E allora come si spiegano gli oltre 5000 volontari dell’Isis che arrivano dall’Europa? Non hanno soldi? Gli jihadisti danesi ricevono pure il sussidio di Stato, mentre combattono in Siria e Iraq. Il terrorismo non è necessariamente islamico? Sicuramente. Ma appare un po’ forzato, per i musulmani stessi, affermare che non abbia alcun legame con l’islam, a fronte di fenomeni quali Al Qaeda e l’Isis, partiti come i Fratelli Musulmani ed Hezbollah, sponsor più o meno occulti del terrorismo come il Qatar, l’Arabia Saudita e l’Iran. Il terrorismo, l’estremismo, il tentativo di costruire con la forza un nuovo Califfato, sono tutti aspetti di una guerra religiosa interna all’islam. Negarlo non aiuta a combatterli. E non aiuta nemmeno l’islam.