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il caso

Segni particolari: gay. Ma in medicina non è discriminazione

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61enne grida alla discriminazione per un referto ospedaliero che lo definisce «paziente omosex». Ma l'informazione è importante se si tratta, come in questo caso, di un reparto di malattie infettive. Dobbiamo piegare la Medicina alla causa Lgbt? 

Attualità 02_10_2025

Il medico scrive sul referto «paziente omosex» e subito si scatena la reazione della comunità Lgbt che urla alla discriminazione. È successo in un ambulatorio di Pescara dove un sessantunenne si era recato per una visita. L’uomo ha denunciato il trattamento discriminatorio in un post sui social e poi su un’intervista al Messaggero: «Mi sono sentito umiliato, mi chiedo se avrebbero fatto così con un paziente eterosessuale», ha spiegato indignato.

Non si è invece fatta attendere la replica della Asl di Pescara, la quale in una nota ha ribadito che «non vi è stata alcuna violazione della privacy del paziente, la dicitura era riportata solo nel referto di prima visita ambulatoriale, consegnato esclusivamente all'interessato». Sempre secondo la versione della Asl, la decisione di inserire quel dettaglio, cioè il suo orientamento sessuale, sarebbe stata assunta dalla dottoressa che ha redatto il referto dopo aver ricevuto il consenso esplicito del paziente, alla presenza di testimoni.
«Non vi è alcuno stigma, nessuna dispersione di dati e nessuna violazione della privacy», ha ribadito la Asl, sottolineando che l'annotazione non è presente né negli atti di accettazione né nella documentazione interna di ricovero.

L'azienda ha poi spiegato che si tratta di un'informazione anamnestica utile per valutazioni epidemiologiche e per eventuali profilassi legate alla prevenzione di patologie sessualmente trasmissibili.

Ed è qui il punto che ci interessa maggiormente commentare. Come si legge molto bene dal referto pubblicato dall’uomo sui social, il reparto ospedaliero in questione che ha visitato il paziente è quello di malattie infettive. È ragionevole che, in un reparto del genere, possano essere raccolte informazioni anche su quelli che sono gli stili di vita dei pazienti, perché non solo l’anamnesi, ma anche la diagnosi e la prognosi seguenti possono essere interessate da quell’informazione ed essere orientate al meglio per la sua salute.

Nel caso specifico, l’essere o no omosessuale, non è un giudizio morale sulle sue condotte, e neppure una discriminazione nei confronti di un paziente considerato diverso, ma soltanto la necessaria presa in carico di un’informazione che orienta il curante verso un approccio che tenga conto di fattori che per lui sono importanti.

Ora, qualunque medico sa che chi pratica l’omoerotismo è più soggetto di altri all’esposizione di malattie sessualmente trasmissibili e lo è proprio in ragione dell’alta promiscuità a cui vanno incontro gli omosessuali. Qualche dato? Il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti ha pubblicato numerosi rapporti che evidenziano l'elevato rischio di HIV tra MSM (Maschi che fanno sesso con maschi ndr.).

Inoltre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riconosciuto che gli MSM sono una popolazione chiave a rischio elevato di HIV e altre malattie sessualmente trasmissibili, a causa di comportamenti sessuali ad alto rischio e accesso limitato a servizi sanitari. «A livello globale, il rischio di contrarre l'HIV è 26 volte superiore tra gli MSM rispetto alla popolazione generale. Inoltre, le popolazioni MSM presentano tassi relativamente elevati di prevalenza e incidenza del virus dell'epatite C (HCV)».

E ancora: l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) ha pubblicato rapporti che mostrano un'incidenza significativamente più alta di HIV e altre MST tra MSM in Europa, rispetto ad altre popolazioni. 

E infine ci sono anche numerosi studi pubblicati su importanti riviste scientifiche, come ad esempio lo studio impressionante di The Lancet che ha raccolto 9.278 studi pubblicati tra il 1980 e il 2023 sull’HIV in Africa. E che ha sancito: «Gay, bisessuali e altri uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (MSM) sono colpiti in modo sproporzionato dall'HIV». 

Dunque, visto l’alto tasso di rischio non c’è da stupirsi se in un reparto di malattie infettive il medico, in scienza e coscienza, voglia sapere chi ha davanti, fosse anche solo per una banale influenza. Diverso sarebbe il caso se questa informazione, che attiene sì alla sfera personale, ma anche a quella sanitaria, come abbiamo visto, fosse stata richiesta in un reparto di ortopedia per una visita al menisco. O in allergologia per una sospetta allergia alle graminacee.

Lo stesso accade in un qualunque reparto di pneumologia quando si presenta un paziente fumatore. Anzi, a lui si chiede persino la frequenza giornaliera di sigarette fumate, tanto che per i più accaniti non si esita a scrivere “tabagista”. O quando in un servizio ospedaliero di diabetologia si presenta per il primo accesso un paziente obeso visto che è noto lo strettissimo legame tra il diabete e l’obesità.

Ma tutte queste ovvietà scompaiono quando si presenta alla pubblica attenzione la casta Lgbt, sempre pronta a lagnarsi di inesistenti discriminazioni ricevute. Casta, che tra l’altro, esibisce l’essere omosessuale con l’orgoglio nei pride e nei pubblici dibattiti, salvo poi pretendere la privacy quando le circostanze lo richiedono.

Ora per l’Asl e per la dottoressa in particolare rischiano di aprirsi le porte di una verifica interna al termine della quale, speriamo, venga sancito che non c’è stata alcuna discriminazione. Sarebbe un problema per la medicina e per la libertà dei medici.