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Il NEOCARDINALE

Se Roche dà del “protestante” a chi ama la Messa antica

Secondo il prefetto del Dicastero per il Culto Divino, le reazioni a Traditionis Custodes sono isteriche perché la Messa antica c’è ancora e chi non accoglie le riforme è «più protestante che cattolico». Ma il neoporporato Roche dimentica di dire che il giro di vite contro la Messa è già in corso e che lui è tra i protagonisti della guerra alla Tradizione.

Ecclesia 07_09_2022

Il Concilio Vaticano II è il «più alto livello di legislazione» della Chiesa e poiché «ha decretato che la liturgia deve essere riformata per i nostri giorni» perché «parli efficacemente quale strumento di evangelizzazione», chi si oppone ostinatamente a questa riforma dovrebbe chiedersi se non sia «più protestante che cattolico». È in sintesi quanto ha dichiarato in occasione del concistoro il cardinale Arthur Roche, prefetto del Dicastero per il Culto Divino, stando a quanto riportato da Crux e The Tablet.

«Se una persona va alla Messa in latino e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?», replicheremmo parafrasando una fin troppo celebre espressione di papa Francesco, il quale com’è ben noto si riferiva ad altro. Insomma, chi è Roche per giudicare? È questa la prima reazione a caldo - una di quelle reazioni che il neocardinale definirebbe reazioni «isteriche», per riprendere le sue stesse parole nel corso dell’intervista. Senza mai chiedersi se quelli che lui considera isterismi (secondo la consueta usanza di “psicanalizzare” il “nemico”) non siano piuttosto persone ferite dalla guerra che il suo dicastero sta muovendo contro non un rito, ma un’intera sorgente di spiritualità a cui attingono «anche giovani persone» (così parlò Benedetto…) e non solo vecchi nostalgici. Una guerra che, se non altro, è valsa al presule inglese una porpora “al valor militare”...

Accuserà anche san Paolo VI di infedeltà al Concilio? La riforma liturgica promulgata da papa Montini, infatti, si distacca in molti punti dal dettato conciliare. Basta un’occhiata alla costituzione Sacrosanctum Concilium e confrontarla con l’attuale lex orandi e con le modalità concrete in cui viene attuata. Non solo riguardo ad aspetti apparentemente “esteriori” (ma non meno importanti) quali la raccomandazione conciliare di «conservare» il latino (n. 36), che invece è scomparso; o al gregoriano, «canto proprio della liturgia romana» cui si sarebbe dovuto riservare «il posto principale» (n. 116). Tutti elementi che in teoria (e purtroppo raramente in pratica) dovrebbero esserci a prescindere dalla riforma. Ma soprattutto il Vaticano II aveva ordinato - appunto - una riforma del rito, una sistemazione di quel che già esisteva, come avvenuto per esempio con il messale “transitorio” del 1965. Di fatto invece si è preferito andare oltre: più che una riforma, il Novus Ordo è un rifacimento totale. «L’avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente da quelle esistenti» (n. 23) è di fatto lettera morta. Al contrario, scriveva Ratzinger, «una delle lacune della riforma liturgica postconciliare va indubbiamente cercata nello zelo professionale con cui si è costruito a tavolino ciò che presupporrebbe una crescita nella vita».

Risaliamo ancora oltre, ai principi indicati dalla Sacrosanctum Concilium. Se sulle norme concrete possono sopraggiungere scelte diverse (il che vale, però, in entrambi i sensi di marcia, e non solo per gli “indietristi”…), chi frequenta la liturgia tradizionale non faticherà a ritrovarsi nella “sostanza” della costituzione conciliare, espressa al n. 8: «Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme», un movimento di ascesa ben presente nel Salmo 42 che dà inizio al rito antico. «Ricordando con venerazione i santi», prosegue SC: santi che in quel messale sono nominati ripetutamente e quasi del tutto eliminati invece nella riforma postconciliare. «Aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà»: e cos’altro esprime la posizione tradizionale ad Orientem (molto più efficace del “faccia a faccia” odierno), se non l’attesa escatologica? «Non è importante lo sguardo rivolto al sacerdote, ma l’adorazione comune, l’andare incontro a Colui che viene», scriveva l’allora card. Ratzinger nel suo libro Introduzione allo spirito della liturgia.

Ammettiamo però che la Messa tradizionale sia effettivamente molto diversa dal testo conciliare. L’eventuale differenza in ogni caso non implica incompatibilità, a meno di non considerare il Vaticano II come tabula rasa di tutto quel che c’era prima. Infatti, la coesistenza non era un problema nei pontificati precedenti tesi ad affermare che l’unica riforma possibile avveniva nella continuità e che la Chiesa era sempre quella, prima, durante e dopo. Altrimenti, perché dovrebbe temere il rito di prima? In caso contrario verrebbe da pensare che i veri fautori della “rottura” siano coloro che oggi avversano la liturgia di ieri, perché convinti che negli anni Sessanta non ci sia stata una riforma ma una rifondazione.

L’isterismo pare piuttosto quello dei costruttori di ponti… levatoi: cioè di chi si dimostra aperto a tutti, tendendo la mano verso ogni sorta di lontani, e chiudendosi ai vicini, a chi non chiede altro che di seguire ciò che la Chiesa ha fatto per secoli. Si allargano paterna(listica)mente le braccia di fronte alle lamentele dei figli che cadono nel fossato, dando persino a vedere di assecondarli, come a dire: “Ma di che si lamentano?”. «Non ci sono poi tante restrizioni. La Messa latina tridentina, o la Messa secondo il messale del 1962, è ancora disponibile», ha affermato il cardinal Roche. Certo, è ancora disponibile, ma il giro di vite è già in corso proprio grazie ai Responsa del suo dicastero (per non parlare dello stesso Traditionis Custodes). È ancora disponibile, giusto il tempo di farli sparire, loro, e quella loro liturgia arcaica, intollerabile a orecchie progressiste...

Una liturgia che proprio di recente ha convertito un attore, Shia LaBeouf, che nei panni (nonché nel saio, e nei paramenti) di san Pio da Pietrelcina si è ritrovato a interpretare i gesti della Messa secondo il rito antico, celebrato e amato dal frate con le stigmate. Una Messa che ha profondamente impressionato l’attore. In replica a questa vicenda, il neoporporato ha riposto che la Messa va celebrata «con grande dignità» e che questo non vale solo per il rito antico. Ecco, in fondo, la notizia più eclatante: pur di veder sparire la liturgia tradizionale, sarebbero disposti a celebrare con sacralità quella nuova.