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Se anche Trump abbandona Taiwan alle mire della Cina comunista

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La Cina di Xi Jinping punta a dividere gli Usa da Taiwan. E fa leva su Trump, sulla sua volontà di concludere un accordo commerciale e la sua rivalità con l'industria dei microchip di Taiwan. 

Esteri 04_10_2025
Xi Jinping e Trump nel 2017 (La Presse)

Se le sorti delle alleanze degli Stati Uniti sono tutte incerte, la posizione di Taiwan sembra l’unica solida. O almeno sembrava. Una combinazione di rivalità commerciali e isolazionismo politico potrebbe cambiare la percezione dell’amministrazione Trump nei confronti dell’isola cinese. E Xi Jinping è intenzionato a sfruttare al massimo questo momento di volatilità.

Un’inchiesta del Wall Street Journal, basata su fonti informate dei fatti, rivela uno sforzo diplomatico del regime di Pechino per indurre l’amministrazione americana a cambiare la sua postura sulla difesa di Taiwan. L’isola è una democrazia cinese funzionante da decenni, un governo nato dal ritiro del governo nazionalista nel suo ultimo baluardo dopo che il Partito Comunista di Mao Zedong si era impossessato del resto della Cina nel 1949. Se è sopravvissuta per tutto questo tempo lo deve al fatto di essere un’isola (dunque protetta da 150 miglia di mare dello Stretto di Taiwan) e soprattutto di essere protetta militarmente dagli Usa. Ma non ufficialmente, almeno da quando, nel 1979, l’amministrazione Carter ritirò l’ambasciatore da Taipei e lo trasferì a Pechino, riconoscendo “una sola Cina”, quella comunista. L’appoggio militare alla difesa di Taiwan è rimasto, previsto da una legge interna statunitense (non essendo possibile un trattato internazionale con uno Stato non riconosciuto), ma gli Usa si impegnano a non legittimare l’indipendenza di Taiwan.

Una dichiarazione formale di secessione, agli occhi di Pechino, che vede Taiwan solo come “provincia ribelle”, verrebbe considerata come un casus belli dal regime comunista. Gli Usa, ufficialmente, “non sostengono” l’indipendenza dell’isola. Quello a cui mira Xi è una dichiarazione in cui l’amministrazione Trump “si opponga” alla sua secessione. Fra “non sostenere” e “opporsi” c’è una differenza enorme, sul piano diplomatico. Se gli Usa dovessero dichiarare di “opporsi” a una proclamazione di autodeterminazione del governo di Taipei, la Cina sarebbe di fatto legittimata, anche da Washington, ad agire con la forza. Ma anche senza far ricorso alle armi, Pechino avrebbe una leva fortissima in ogni futura pressione che dovesse esercitare su Taiwan.

La prima amministrazione Trump (2016-2020) era caratterizzata da una politica di ferma difesa di Taiwan da eventuali attacchi militari cinesi. La seconda, iniziata quest’anno, sembra, almeno ufficialmente, intenzionata a continuare questo impegno. «Abbiamo da tempo dichiarato di opporci a qualsiasi modifica unilaterale dello status quo da entrambe le parti - ha dichiarato un portavoce del Dipartimento di Stato - La Cina rappresenta la più grande minaccia alla pace e alla stabilità nello Stretto di Taiwan». Un aggiornamento della scheda informativa del Dipartimento di Stato sulle relazioni tra Stati Uniti e Taiwan, pubblicato a febbraio, ha persino rimosso la frase dell’era Biden che affermava che gli Stati Uniti “non sostengono l’indipendenza” di Taiwan.

Però… Trump, a differenza di Biden, ha evitato di rispondere alla domanda se gli Usa intendessero intervenire militarmente, nel caso la Cina dovesse invadere Taiwan. La nuova dottrina militare americana, inoltre, declassa il potenziale teatro di guerra nel Pacifico come secondario, rispetto alla protezione dell’Emisfero Occidentale (le Americhe).

Xi Jinping, secondo l’analisi del Wall Street Journal, starebbe facendo leva proprio su questo: sulla volontà di Trump di giungere a un accordo commerciale, usando i dazi sulle merci cinesi come leva negoziale. Per ora la guerra tariffaria continua, ma ogni contatto diretto fra Xi Jinping e Trump porta a cambiamenti positivi per Pechino. Ad esempio, con una svolta a U rispetto a quanto finora dichiarato, Trump ha aperto le porte a 600mila studenti cinesi nelle università americane, per poi smentirsi e fare una marcia indietro che ha complicato ulteriormente le cose. In un’altra mossa sorprendente, Trump, l’estate scorsa, ha evitato di approvare un nuovo pacchetto di aiuti militari per Taiwan, per un valore pari a 400 milioni di dollari. Non è una cancellazione degli aiuti, ma è un passo inedito nella consueta politica di sostegno militare. Ed è una decisione presa, secondo fonti del Washington Post, per non ostacolare un eventuale accordo commerciale con la Cina.

Il regime comunista cinese sta anche cercando di mettere in difficoltà il Dipartimento di Stato, guidato da Marco Rubio, il più duro sul dossier cinese, tanto da essere “persona non grata” nella Repubblica Popolare. In una telefonata di gennaio con il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi , Rubio ha ribadito in privato la rassicurazione di non sostenere l'indipendenza di Taiwan. Pechino ha poi reso pubblica la dichiarazione in un resoconto ufficiale della telefonata, senza il permesso degli Stati Uniti, finendo per irritare Rubio.

Mentre procede la trattativa fra Cina e Usa per un accordo commerciale storico, al tempo stesso peggiorano i rapporti con Taipei, sempre per motivi commerciali. Taiwan si troverà ad affrontare una tariffa del 20% sulle sue esportazioni verso gli Stati Uniti, oltre a un’ulteriore imposta su tutti i chip di fabbricazione estera. Trump ha affermato che saranno concesse esenzioni dal dazio sui chip per le aziende che si sono impegnate a produrre in territorio americano. L’obiettivo dell’amministrazione Trump è che le aziende produttrici di chip fabbrichino negli Stati Uniti lo stesso numero di semiconduttori che i loro clienti importano dall’estero. E questo obiettivo è contro gli interessi vitali di Taiwan, maggior produttrice ed esportatrice di semiconduttori al mondo.

Xi Jinping sa che il suo interlocutore alla Casa Bianca ragiona quasi esclusivamente in termini commerciali e nel breve periodo. Mentre l’obiettivo della Cina, la riunificazione con Taiwan, è politico e ideologico ed è di lungo termine: ha atteso fin dal 1949, saprà attendere questi quattro anni di amministrazione Trump per cogliere il frutto maturo. Per questo è un pericolo da non sottovalutare, per un’isola in cui finora, è stato preservato l’unico angolo di Cina in cui si può parlare e pregare liberamente.