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EDITORIALE

Scuole aperte in estate? Pessima idea

Tenere aperte le scuole durante le ferie per corsi di recupero. È la proposta di Avvenire, ma significherebbe una ulteriore emarginazione delle famiglie nel compito educativo e consegna dei figli allo Stato.

Editoriali 09_06_2014
Scuola

Il quotidiano Avvenire ha lanciato una proposta che sta facendo discutere: tenere aperte le scuole anche nel periodo di “ferie” in modo tale da attuare corsi di recupero per gli studenti in difficoltà, oppure attività di insegnamento della lingua italiana per i figli di famiglie immigrate. Gli insegnanti, dice Avvenire, di fatto fanno di più dei 36 giorni di ferie previsti dal contratto nazionale e potrebbero essere utilizzati in questo modo. Tutti stanno facendo sacrifici – come si sente dire ormai sempre in questo periodo di crisi – perché non dovrebbero farlo anche gli insegnanti?

L’opinione pubblica potrebbe in genere anche essere favorevole alla proposta, data la svalutazione della figura dell’insegnante nell’immaginario collettivo, oppure per la necessità che qualcuno tenga il bambino quando i genitori non cessano di lavorare perché fa caldo e le scuole sono chiuse.

A parte questo, però, la proposta è solo apparentemente intelligente. Anzi, è da respingere.

Nella scuola italiana si assiste a questo allarmante fenomeno: essa si allarga sempre di più mentre la sua capacità educativa si riduce. Da questo nasce l’emergenza educativa, che però si pensa di risolvere allargando ulteriormente i campi di presenza delle istituzioni scolastiche nell’arco della giornata e, con la proposta di Avvenire, anche dell’anno. La scuola, ormai, è la Grande Mamma o, se volete, il Grande Fratello. 

A scuola ormai si fa di tutto, come se ogni ambito della vita umana e sociale dovesse passare da essa. Razzismo, affettività, sessualità, prevenzione dagli abusi, dalla droga, dal fumo, educazione stradale, rispetto per gli animali, “social day” di vario genere, consulenza psicologica, gruppi di recupero e così via. La scuola diventa sempre di più un grande contenitore di servizi educativi a 360 gradi, sottraendo spazio ad altri soggetti educativi a cominciare dalla famiglia. Come un mega centro commerciale che fa chiudere i piccoli negozianti. Per questo stupisce che si voglia ulteriormente ampliare la gamma di questi servizi e il tempo che bambini e ragazzi dovrebbero passare a scuola.   

Mentre cresce il tempo-scuola, però, diminuisce lo spessore educativo perché di solito ciò che si estende perde di intensità. In questo periodo stiamo leggendo che nella scuola sta per entrare di tutto, da una sistematica cultura gay-friendly ad una serie di strumenti di letture, drammatizzazioni e video che suscitano perplessità e spesso avversione. In un periodo di magra economica, per ampliare il POF (Piano di Offerta Formativa) con nuove allettanti proposte, i dirigenti scolastici, magari in buona fede, imbarcano anche progetti discutibili, utilizzano associazioni o cooperative a forte caratterizzazione ideologica e nella scuola entrano tanti soggetti di cui le famiglie sanno poco o nulla. Come sanno poco o nulla dei contenuti veri dei vari corsi impartiti e delle attività svolte.

Ora, la proposta di Avvenire vorrebbe consegnare ancora di più i nostri figli a questa struttura vorace e, per molti aspetti sempre più emergenti, incontrollata? Vogliamo che la scuola diventi anche un grest estivo? Nel periodo della chiusura delle scuole, le famiglie possono usufruire per l’intrattenimento sano dei figli, di varie attività esistenti sul territorio: i grest parrocchiali, i campi-scuola, le attività delle associazioni, i centri di avviamento allo sport dei comuni. E perché non realizzare anche attività interfamiliari di intrattenimento per i figli, autogestite dal basso? Perché si insiste invece con la proposta di mettere tutto dei nostri figli, perfino il mese di luglio, nelle mani dello Stato? 

Se esistesse nel nostro Paese una reale libertà di educazione e tra scuola e famiglia ci fosse un rapporto veramente organico, allora l’apertura della scuola a luglio potrebbe essere considerata e adeguatamente sviluppata. La famiglia conoscerebbe le attività e si riconoscerebbe nelle finalità delle iniziative estive, si troverebbero spazi per la presenza dei genitori e della famiglia e potrebbe essere un momento aggregativo riempito di senso educativo. Ma questa situazione purtroppo non esiste in Italia e continuare anche in luglio a dare la figlia o il figlio alla struttura pubblica è veramente eccessivo. 

Farebbe diminuire ancora di più la consapevolezza educativa delle famiglie e dei gruppi della società civile, smorzando la loro creatività ed assunzione di responsabilità. Per i cosiddetti “recuperi” e per l’insegnamento della lingua agli stranieri c’è tutto l’anno scolastico ed anche su queste attività è evidente il progressivo spostamento di accento dall’alunno e la sua famiglia alla struttura, con forti fenomeni di deresponsabilizzazione che da un ampliamento di queste attività in estate verrebbero ulteriormente rafforzate.